opinioni

Educazione civica derelitta

Corriere della Sera Ansa/Tino Romano
Pubblicato il 10-07-2020

Materia di importanza cruciale, rischia di trasformarsi in progetto vago e fumoso

Nella difficoltà generale di trovare risorse e nuovi assetti per far ripartire la scuola, parlare delle decisioni prese per una singola disciplina può sembrare questione di poco conto. Ma non è così, perché Dio si annida nei dettagli e perché certe scelte sono rivelatrici di un’idea di fondo. Adesso tocca all’Educazione Civica, la più cenerentola di tutte le educazioni (fisica, musicale, artistica, ecc.), la disciplina che più di ogni altra conferma che la scuola in Italia si basa quasi esclusivamente sull’istruzione, sulla trasmissione di nozioni e sulla professionalizzazione molto più che sulla formazione del bambino e del ragazzo. La legge, di cui sono state recentemente pubblicate le linee guida, era già stata approvata lo scorso agosto, come sempre «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». E senza l’intenzione di abilitare altri docenti per questa «materia», salutata come una grande «novità» per la scuola di domani. Uso le virgolette perché davvero l’Educazione Civica è tutto fuorché nuova. Anzi, almeno sulla carta esiste da più di sessant’anni e dal 2008, per volere dell’ex ministro Gelmini, si chiama «Cittadinanza e Costituzione». Le virgolette sono d’obbligo anche per parlare di «materia» perché l’Educazione Civica consisterà in un’ora alla settimana da ricavare dal monte ore di tutte le discipline e, questa sì che è una novità, sarà insegnata non più dal prof di Storia, ma da tutti i docenti. Con una differenza importante: mentre quelli di Lettere e di Diritto possiedono un’abilitazione per insegnarla, tutti gli altri no. E qui viene da chiedersi: avere delle conoscenze specifiche è fondamentale oppure no?

Perché, se lo è, non si capisce come possa insegnarla chi non è titolato, mentre, se non è necessario, non si comprende perché richiedere un’abilitazione ai docenti di Lettere e di Diritto. A meno che il ministero non voglia in questo modo sottintendere che per l’Educazione Civica non serve una specifica preparazione ma basta l’esperienza. In questo caso l’abilitazione diventerebbe un quid in più, ma non un criterio di selezione. Se le cose stanno così, anche stavolta l’Educazione Civica sarà il solito vestito di Arlecchino, un progetto vago e fumoso, ricavato da mille ritagli, in cui ciascuno procederà secondo il suo buon senso. Come con la didattica a distanza: ci sarà chi farà cose straordinarie, chi ci proverà con risultati alterni, chi butterà lì quattro informazioni perché non se la sente di fare di più e chi lascerà perdere. E con un sospetto: il ministero, per settembre, sta valutando di ridurre le ore di lezione a quaranta minuti. Il tempo sottratto alla durata canonica serve per dar vita a questi ibridismi? In caso affermativo, non è detto che ne valga la pena, mentre è sicuro che si lavorerà con meno agio, sacrificando più che mai il tempo del dialogo, dell’ascolto e della discussione con gli studenti per limitarsi, come al solito, esclusivamente ai contenuti disciplinari.

Provvedimenti così strutturati, in nome di una interdisciplinarietà tutto sommato improvvisata, rischiano, specialmente in assenza di un personale specializzato, di diventare soltanto l’ennesima incombenza a cui stare dietro senza che si offra a tutti gli studenti qualcosa che finora, per scelta, si è insegnato in modo saltuario. L’Educazione Civica, invece, è di un’importanza cruciale e meriterebbe le migliori risorse a disposizione e la più profonda attenzione perché può insegnarci ad abitare spazi comuni, ad educare alla diversità, a conoscere le nostre istituzioni e a prenderne parte, a discutere la Storia da un punto di vista etico, ad acquisire uno sguardo sul presente e sulle grandi questioni che lo agitano senza rimanere in balia dell’emotività o della propaganda. Presentarla come una novità soltanto per averle restituito il vecchio nome di battesimo e reinserirla scaricandone confusamente sugli insegnanti l’intera gestione è un errore.
A riprova della non-novità va ricordato che una parte del colloquio orale dell’esame di Stato è destinata all’«accertamento delle conoscenze e delle competenze maturate dal candidato nell’ambito delle attività relative a “Cittadinanza e Costituzione”»: vi assicuro che è sempre un momento imbarazzante — molto spesso il più imbarazzante del colloquio — in cui è difficile capire cosa chiedere e in cui è raro percepire una preparazione e, soprattutto, un’abitudine a discutere di quegli argomenti da parte dei ragazzi. E non è colpa loro: in pochi hanno modo di «maturare» quelle «competenze» perché, nonostante esistano delle generiche indicazioni, la verità di fondo è che non è ancora chiaro cosa intendiamo per Educazione Civica, né quali siano i suoi capisaldi imprescindibili e nemmeno le modalità migliori per insegnarla. Anzi, è con tutta probabilità questa mancanza di accordo che rende la materia zoppa sin dal 1958, l’anno in cui è nata.

È come se l’istituzione, da una parte, fosse consapevole della necessità di insegnare questo sapere ma, dall’altra, ne fosse combattuta perché inevitabilmente l’Educazione Civica finisce per avere a che fare con la politica, cosa di cui la scuola ha da sempre paura. Basta l’esempio più immediato: la nostra Costituzione riesce a essere divisiva ancora oggi perché ha una chiara postura politica — è laica e antifascista — e dunque insegnarne anche solamente i principi fondamentali vuol dire ammettere senza riserve laicità e antifascismo per ripercorrerne il processo che ha portato all’affermazione di questi e non di altri principi. E la cosa, lo vediamo ogni 25 Aprile, è meno scontata di quanto si possa credere.
Sarebbero questi i nodi da sciogliere per renderla davvero una novità e per riportarla in classe con la dignità che merita. E sarebbero da sciogliere in fretta perché la scuola ha un’urgenza impellente di restare in ascolto di ciò che accade fuori, sia la pandemia o i movimenti antirazzisti di tutto il pianeta, e l’Educazione Civica ci serve come il pane per ragionare su tutto questo. Piuttosto che presentarla in maniera raffazzonata, sarebbe più coraggioso dire che nella scuola che sogniamo questa materia non avrebbe ragione di esistere perché la scuola sarebbe un’istituzione improntata ogni momento alla trasmissione dell’educazione. Anzi, in quella scuola, anche il ministero che se ne occupa si chiamerebbe così.

Marco Balzano - Corriere della Sera

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