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Una mano galeotta

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Dopo le correzioni scoperte dallo studioso Attilio Bartoli Langeli, Felice Accrocca trova una terza modifica al testo della Regola.

Straordinario Francesco! Meglio e più dei prestigiatori di gran classe, il Santo di Assisi è sempre capace di sorprendere. Concentriamoci un attimo, infatti, sulla sua Regola, quella confermata da Onorio III il 29 novembre 1223, riferimento ideale per tantissimi uomini e donne sparsi per il mondo intero, conservata nel suo originale presso il Sacro Convento di Assisi. Tutti la diciamo “Regola di Francesco”. Quest’affermazione, tuttavia, è vera e falsa al tempo stesso. Vale a dire: è impossibile negare la presenza di Francesco in quel testo, ma è vero pure che Francesco non ne fu autore unico, potendo dirsi lo stesso del cardinale Ugo di Ostia e dei frati.

Ciò non è, di per sé, straordinario, perché tali testi sono, per loro natura, frutto di tante mani. Quel che è straordinario sono invece le scoperte fatte di recente sul documento originale. Qualche anno fa, infatti, un importantissimo studio di Attilio Bartoli Langeli consentì agli studiosi di prendere coscienza del fatto che proprio tale documento presenta chiari “indizi di una genesi sofferta, di una procedura in più punti straordinaria, di un itinerario non rettilineo”. In particolare, lo studioso segnalava – fatto mai rivelato, prima di allora, da alcun altro – all’attenzione degli studiosi, “due parole riscritte, esiti di correzione su rasura”. Vale a dire che nel documento che noi abbiamo si trovavano, in origine, due parole diverse, poi raschiate, sulle quali furono riscritte quelle che abbiamo ora.

Questa era, in realtà, una situazione piuttosto comune, perché accadeva spesso che lo scriba che redigeva in bella forma il documento potesse distrarsi, anche per stanchezza, e scrivere una cosa per un’altra. Quel che è strano, nel nostro caso, è che la correzione non fu fatta dallo scriba, ma da un’altra mano, che “non pare avvezza al compito” e che utilizzò anche un inchiostro diverso da quello adottato per tutto il resto del testo. Le due parole riscritte si trovano in Regola bollata II, 11 e X, 9. In II, 11 si legge: “Terminato, poi, l’anno della prova” (finito vero anno probationis): ebbene, la parola “anno” fu scritta in un secondo momento, dopo che ne fu raschiata un’altra, con tutta probabilità “termino”. In origine c’era scritto dunque: “finito, poi, il termine della prova…”; tale formulazione sembrò però troppo vaga, quindi si pensò di correggere specificando che il periodo avrebbe dovuto avere la durata di un anno, in conformità con quanto Onorio III aveva stabilito nella lettera Cum secundum, del settembre 1220.

La seconda correzione compare in X, 9: i frati avrebbero dovuto desiderare “di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità”. Anche qui la parola “pazienza” è frutto di una correzione posteriore, sempre di altra mano, anche se è impossibile capire cosa vi fosse scritto in origine.

Una terza correzione è stata da me individuata solo molto di recente (si veda il saggio pubblicato su Collectanea Franciscana nel giugno di quest’anno), sempre nel versetto II, 11. Nel documento finale troviamo infatti: i frati, terminato l’anno della prova, “siano ricevuti (recipiantur) all’obbedienza”. Ebbene lo scriba aveva vergato il verbo al singolare (recipiatur); in tal modo il testo che in un primo tempo era stato preparato e accolto dal Pontefice dipendeva strettamente dal dettato della Regola non bollata che, nel passo parallelo (II, 9), scriveva più o meno allo stesso modo (“finito, poi, l’anno e il termine della prova sia ricevuto all’obbedienza”).

Che il verbo fosse in origine al singolare lo si deduce agevolmente dal fatto che l’abbreviazione che sostituisce la “n” mancante, oltre ad essere stata tracciata con inchiostro diverso da quello utilizzato per tutto il resto del documento (uguale, peraltro, a quello con cui è stata riscritta la parola anno), differisce da tutte le altre: in effetti, per abbreviare “m” e “n” lo scrittore si serve di norma di un segno ‘a fiocco’, cosa che si può facilmente osservare anche nelle parole che precedono e seguono quella presa in esame. Tale segno era abitualmente utilizzato dagli scrittori nelle litterae gratiosae. In questo caso, invece – unico in tutto il testo –, una linea orizzontale compare sopra la “a”, a riprova del fatto che non fu lo scriba a vergarla, ma una mano che, al termine del suo lavoro, rivide il testo e lo emendò. La correzione fu effettuata prima della chiusura del documento, poiché nel registro vaticano, su cui fu trascritto, si legge, in modo chiarissimo, il testo così come noi lo conosciamo oggi.

Di chi la mano galeotta? Indubbiamente di un personaggio di primissimo piano, perché colui che trascrisse il documento nel registro di curia ne recepì tutti i cambiamenti. Onorio III in persona? Il cardinale Ugo di Ostia in accordo con il Papa? Le ipotesi, ovviamente, sono destinate a rimanere tali. Certo è che Francesco d’Assisi non cessa, in ogni tempo, di sorprendere, di incuriosire, d’inquietare, additando a tutti la centralità del Vangelo.


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