Una chiesa francescana di Palermo ospita le reliquie di violenti inquisitori

Gelsomino Del Guercio wikipedia
Pubblicato il 01-06-2019

Ecco la storia di questo "singolare" fatto

Un antico rifugio dei frati francescani…ospita le reliquie di violenti inquisitori. Seguaci del poverello che vivono di carità che "spalancano" le porte della propria chiesa a uomini senza scrupoli, torturatori e omicidi? Come è possibile tutto ciò?

Questa storia arriva da Palermo. E precisamente dal quartiere della Kalsa, in pieno centro storico. Qui si trova uno dei monumenti più belli e carichi di storia della città: la chiesa di Santa Maria degli Angeli meglio conosciuta come "Gancia". Una denominazione, come riporta il sito di informazione Balarm.it, che deriva dal latino "ganea" e allude ad un luogo solitario e nascosto.



La "forza" di questo edificio è innanzi tutto nel luogo in cui è ubicato:  anticamente sorgeva nel più importante quartiere musulmano della città. Ma sopratutto nella destinazione.

La Gancia, infatti, fu costruita dall'Ordine dei Frati Minori di Sicilia per dare rifugio ai pellegrini ed agli stessi frati francescani e viene realizzata a partire dal 1484.

LA CONTROVERSIA TRA FRATI E VESCOVO

A tale proposito è interessante ricordare la controversia tra l'Arcivescovo di Palermo e gli stessi Francescani dopo che papa Innocenzo VIII aveva dato loro il permesso per la costruzione. Tale permesso, riporta sempre Balarm, era stato concesso per realizzare la chiesa "fuori dalla città" e secondo l'interpretazione che comunemente si dava a questo termine, la Kalsa era fuori città.

Tuttavia dal punto di vista geografico era l'esatto contrario, motivo per cui l'Arcivescovo intervenne bloccando i lavori. Fu necessario l'intervento del papa per dirimere la querelle, ed infatti nel 1508 con una Bolla indirizzata al Vescovo di Malta ed al Vicario di Monreale, papa Giulio II autorizzava i Francescani a riprendere i lavori che nel frangente erano stati sospesi.

GLI EPITAFFI DEGLI INQUISITORI

La chiesa viene terminata e consacrata il 26 novembre 1645. Al suo interno, tra cui preziose opere d'arte come il pulpito rinascimentale di Antonello Gagini, e una cappella, quella della Madonna di Guadalupe, che conserva al suo interno ed all'ingresso gli epitaffi marmorei di alcuni dei segretari del Santo Uffizio dell'Inquisizione. Uno di questi è di particolare interesse: il nome scolpito nel marmo è infatti legato ad una storia che sembra la trama di un romanzo, cioè quella di Don Juan Lòpez de Cisneros.

Don Juan era il torturatore di frà Diego la Matina, un frate agostiniano originario di Racalmuto che nel 1644 venne condannato alle galere con l'accusa di banditismo e rinchiuso a Palermo al carcere Steri, oggi museo dell'inquisizione. Il frate riuscì a fuggire, uccidendo con violenza l'inquisitore, e poi venne ri-arrestato e condannato al rogo.

LA BUCA DELLA SALVEZZA

Al convento francescano della Gancia sono legati anche i moti della rivolta antiborbonica del 1860, La Rivolta della Gancia. Infatti è dal suo campanile che suonando la campana a stormo e inalberando una bandiera sul campanile, il 4 aprile, si diede il segnale per l'insurrezione. La campana si conserva nell'annesso cortile. Inoltre sul lato della chiesa di via Alloro, si trova la cosiddetta "buca della salvezza", esempio di pietà popolare non più usuale.

La buca della salvezza è per l'appunto una buca, un foro, scavato sul lato esterno del transetto sulla via Alloro, da Gaspare Bivona e Filippo Patti, due patrioti, che nel 1860, per sfuggire alle milizie borboniche, si rifugiarono all'interno del convento fingendosi morti e nascondendosi sotto alcuni cadaveri di altri patrioti uccisi dai borbonici. Spinti dalla fame i due patrioti scavarono un foro verso l'esterno e, richiamando l'attenzione di alcune donne che si trovavano in un basso di fronte, chiesero il loro aiuto: queste per distrarre i borbonici inscenarono una lite e grazie alla collaborazione di un carrettiere, che li fece fortunosamente salire su un carretto colmo di paglia, i due patrioti riuscirono, infine, a mettersi in salvo.

Sino agli anni sessanta dello scorso secolo era ancora usanza popolare recarsi in pellegrinaggio davanti alla buca per chiedere grazie.

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