Premio Nobel in Italia: Denis Mukwege, l’uomo che ripara la speranza

Redazione Ansa - VATICAN MEDIA
Pubblicato il 27-05-2019

Donne torturate e brutalizzate al di là dell’immaginabile, al punto da essere fisicamente devastate

Mukwege è ormai giunto a operare oltre 50 mila donne, ragazzine e anche bambine brutalmente stuprate, con tanta violenza che lo stesso dottore nell’intervista definisce la casistica su cui si trova a intervenire «una nuova patologia: la violenza sessuale accompagnata da violenza estrema».

Lui stesso, nell’intervista racconta ciò che si trova sotto gli occhi in sala operatoria: donne torturate e brutalizzate al di là dell’immaginabile, al punto da essere fisicamente devastate. «Tutte riferiscono la stessa storia», dice il ginecologo. «Di aver subìto stupro di gruppo e violenze di ogni sorta, tanto estreme che presentavano ferite, lacerazioni, ustioni, conseguenze di colpi d’arma da fuoco nei genitali. Non avevo mai visto cose del genere».

Il medico è stato insignito del prestigioso riconoscimento non solo per il suo impegno più che ventennale come chirurgo nella ricostruzione dei terribili danni conseguenti allo stupro, ma anche perché ha sempre accompagnato alla cura delle pazienti anche la denuncia delle cause di questo fenomeno, che vede nella regione congolese dove opera – il Sud Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo – il luogo al mondo dove avviene il maggior numero di violenze sessuali in rapporto alla popolazione.

«Dobbiamo curare», spiega, tra l’altro, nell’intervista di Famiglia Cristiana, «anche bambine e bambini. Da qualche anno le donne che vengono da noi hanno figli piccoli, e spesso sono anche loro, e persino i neonati, ad aver subito violenza sessuale. Un nuovo livello di atrocità».

Mukwege indica chiaramente i responsabili: «Si sa chi sono: gruppi armati e soldati dell’esercito governativo. Il problema è che vige un totale stato di impunità che, se finisse, porterebbe a una sensibile diminuzione dei casi».



Le parole del Premio Nobel ne sottolineano soprattutto l’umanità e la tenerezza verso tutte e ciascuna delle sue oltre 50 mila pazienti. Dice, ad esempio: «Anni fa, fu ricoverata un’anziana. La donna aveva subito dalla violenza gravi complicazioni. Siamo riusciti a riparare le sue lesioni. Ma col passare del tempo fu chiaro che le cure mediche non bastavano. Il suo corpo guariva, eppure non voleva muoversi, parlare o mangiare. Abbiamo capito il perché: questa donna, che era madre e nonna, era stata violentata di fronte alla sua famiglia. Sentiva un’immensa vergogna e uno stigma sociale. Questo caso mi ha aperto gli occhi sulla necessità di un approccio più olistico all’assistenza alle vittime. Lo stupro non distrugge solo i corpi, ma spezza l’anima e rompe il rapporto con i familiari. I sopravvissuti hanno il diritto al sostegno che li aiuti a riprendersi completamente, e non solo per l’aspetto medico. Ogni donna con cui ho avuto a che fare ha avuto in sé stessa una capacità di recupero incredibile per superare il trauma». (Luciano Scalettari – Famiglia Cristiana)


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