Lo Spirito di Assisi

Redazione online Vatican Media
Pubblicato il 16-05-2022

Lo “spirito di Assisi” significa l'avvicinamento dei diversi mondi religiosi sulla via del dialogo, per raggiungere l'unica meta: la pace tra i popoli. E', infatti, l'unità della famiglia umana il sogno che si manifestò ad Assisi. Giovanni Paolo II, nell'allocuzione del 22 dicembre di quell'anno, lo diceva con chiarezza: “Presentando la Chiesa cattolica che tiene per mano i fratelli cristiani e questi tutti insieme che congiungono la mano con i fratelli delle altre religioni, la Giornata di Assisi è stata un'espressione visibile delle affermazioni del Concilio Vaticano II. Con essa e mediante essa siamo riusciti, per grazia di Dio, a mettere in pratica, senza nessuna ombra di confusione e sincretismo, questa nuova convinzione, inculcata dal Concilio, sull'unità di principio e di fine della famiglia umana e sul senso e sul valore delle religioni non cristiane”. Il Papa affermò che in Assisi la Chiesa aveva compreso meglio se stessa e la sua missione nel mondo. E, potremmo aggiungere, che con quell'evento di Assisi la Chiesa coglieva con chiarezza uno dei segni dei tempi che ben presto si sarebbe presentato come uno dei nodi centrali della vita del mondo contemporaneo.

E' sorprendente infatti che, proprio negli ultimi decenni del Novecento, un secolo che appariva il più secolarizzato della storia, anzi un secolo in cui si è teorizzata la scomparsa delle religioni, proprio sul finire, si è visto il riapparire delle religioni. Non poche iniziative di dialogo in ricerca della pace sono connesse alla consapevolezza che i credenti possono contribuire alla pace molto più efficacemente di quanto credono. I credenti hanno una forza “debole” di pace, ma efficacissima. E' una lezione esigente che induce tutti a sperare di più e a osare di più, perchè tanti paesi del mondo non conoscano più l'atroce esperienza della guerra o dell'odio civile. Del resto molte comunità religiose, in parecchie parti del mondo, ricevono pressioni o sono tentate di legittimare contrapposizioni e conflitti. Tutti i credenti sono chiamati ad osare di più. Il nostro è un tempo in cui uomini di religione o di etnia diversa di fatto vivono gli uni accanto agli altri. E' l'esperienza dell'Europa di fronte all'immigrazione, ma anche di una nuova comunanza tra Est e Ovest. E' la sfida del mondo africano dove, specie in questa stagione difficile, ci si confronta con le fragilità degli Stati nazionali che le differenze etniche, religiose o d'altro genere possono mettere in discussione. E' la sfida della rinascita delle nazioni, dei rapporti tra religioni e nazioni, dei processi di pulizia etnica in alcune regioni del mondo. Ma è anche la sfida del mondo virtuale in cui si entra sempre più a contatto con tutti: nel virtuale si vive sempre più assieme e siamo destinati a incrociarci con chi è diverso da noi. E', infine, la sfida di un mondo in cui si vede tutto e si vede sempre più la ricchezza di pochi e la miseria di tanti. A tutto questo si è aggiunta poi la ferocia del terrorismo, o meglio dei terrorismi, che sconvolgono la vita del pianeta. Sappiamo bene quel che ha prodotto l'attacco alle torri gemelle di New York. Non mi dilungo su quel che significa la necessaria lotta al terrorismo. Ma sarebbe davvero miope se pensassimo che il futuro del pianeta si possa costruire concentrandosi unicamente sulla lotta a questa terribile piaga e magari facendolo in modo semplificato e puramente muscolare con una sorta di “guerra infinita”.

Certo è che la condizione umana sta diventando sempre più il convivere tra diversi. Ma non è facile questa convivenza: troppe differenze all'interno della mondializzazione inducono verso individualismi irresponsabili, tribalismi difensivi, nuovi fondamentalismi. C'è gente che si sente aggredita e spaesata di fronte a nuovi vicini e a un mondo troppo grande, e quindi si lascia prendere dalla paura del presente e del futuro. Vediamo persone, gruppi e popoli innalzare barriere, vicino e lontano da noi. Costoro chiedono spesso alle religioni di proteggere la loro paura, magari con le mura della diffidenza. Nascono così fondamentalismi di generi diversi che, come fantasmi, pullulano e inquietano. Crescono anche fondamentalismi di carattere etnico o nazionalista, che giungono sino al terrorismo. Il fondamentalismo è una grande semplificazione che affascina giovani disperati, gente spaesata per cui questo mondo è troppo complesso, inospitale, ma che può interessare politici spregiudicati alla ricerca di scorciatoie per il potere. E i fondamentalismi hanno il marchio dell'odio, se non della lotta al diverso religiosamente o etnicamente. Ma la sfida del futuro, anche se il terrorismo viene domato, è racchiusa nella capacità che i popoli hanno di vivere assieme pur restando diversi. Questo sta a dire che la prima e più urgente educazione da fare è quella, appunto, del convivere tra diversi.

E questo orizzonte è importante sia per le civiltà che per le religioni. Del resto, se è vero che i mondi religiosi, fino a qualche tempo fa, potevano ignorarsi l'un l'altro, oggi non è più così. In ogni caso era certamente più facile, anche se non meno dannoso, restare lontani gli uni dagli altri. Oggi le religioni convivono nello steso territorio. Ma perseverare in una mutua ignoranza porta rapidamente verso un pericoloso inasprimento. Responsabili religiosi isolati si trovano talvolta costretti in orizzonti troppo nazionalisti. L'universalità, che è propria delle diverse tradizioni religiose, si libera nel contatto e nel dialogo con le altre religioni. E in effetti gli incontri tra uomini di religioni diverse che si sono susseguiti negli anni, a partire da quello di Assisi, hanno messo in rilievo ciò che unisce, facendo restare in piedi anche ciò che differenzia e divide.

L'esperienza della Comunità di Sant'Egidio, che ha riproposto di anno in anno la preghiera di Assisi nelle diverse città europee, mostra la fecondità di questi incontri. Non si tratta di simulare un facile irenismo e tanto meno di trovare un minimo comune denominatore religioso. Il dialogo vero e sincero non appiattisce. E', invece, l'arte paziente di ascoltarsi, di capirsi, di riconoscere il profilo umano e spirituale dell'altro. Il dialogo è un'arte della maturità delle culture, delle personalità, dei gruppi. Non è facile il dialogo, anche perchè non è nè metodo nè una strategia. Il dialogo è uno stile di vita. E' una spiritualità, quella di San Francesco, appunto. O, se volete, quella di Giovanni XXIII che amava dire: cerchiamo quel che unisce e mettiamo da parte quel che divide. Non si tratta di attutire la propria identità. Semmai è vero il contrario, solo chi è davvero credente può dialogare con efficacia. Essere credenti, ossia cogliere la profondità della propria fede.

E le religioni, se scendono nel profondo del loro credo, sono una scuola di convivenza e di pace. Esse non hanno la forza politica per imporre la pace ma, trasformando l'uomo dal di dentro, invitandolo a distaccarsi dal male, lo guidano verso un atteggiamento di pace del cuore. Nell'appello che concludeva l'incontro di Milano, promosso dalla Comunità di Sant'Egidio nel 1993, firmato dai rappresentanti di tutte le religioni mondiali, si legge: “Il nostro unico tesoro è la fede. Il dolore del mondo ci ha fatto chinare sulle nostre tradizioni religiose alla ricerca di quell'unica ricchezza che il mondo non possiede: abbiamo sentito echeggiare dal profondo un messaggio di pace ed emergere energie di bene. E' l'invito a spogliarci di ogni sentimento violento e a disarmarci di ogni odio. La mitezza del cuore, la via della comprensione, l'uso del dialogo per la soluzione dei conflitti e delle contrapposizioni, sono le risorse dei credenti e del mondo.” E l'appello si conclude così: “Innanzi tutto però dobbiamo riformare noi stessi. Nessun odio, nessun conflitto, nessuna guerra trovi nelle religioni un incentivo. La guerra non può mai essere motivata dalla religione. Che le parole delle religioni siano sempre parole di pace!”

Le religioni hanno una responsabilità decisiva nella convivenza: il loro dialogo tesse una trama pacifica, respinge le tentazioni a lacerare il tessuto civile, e libera dalla strumentalizzazione delle differenze religiose a fini politici. Ma questo richiede audacia e fede. Richiede coraggio. Chiede che si abbattano con la forza morale, con la pietà, con il dialogo, tutti i muri che separano gli uni dagli altri. Grande può essere il compito delle religioni nell'educare all'arte del convivere. Grande è anche il compito delle religioni nel ricordare che il destino dell'uomo va al di là dei propri beni terreni - come molte insegnano -, e che si inquadra in un orizzonte universale, nel senso che tutti gli uomini sono creature di Dio. Da sempre i loro santi e i loro saggi scrutano un orizzonte globale. E tra questi San Francesco è esemplare e da tutti ammirato e accolto.

Di fronte alle numerose guerre che ancora dilaniano il pianeta possiamo chiederci se le religioni non siano in verità sconfitte dalla guerra. Credo che l'icona di Assisi e lo spirito che ne è scaturito, continuino a parlare misteriosamente dell'unità del genere umano. Ripeto che attorno allo “spirito di Assisi” si è dato vita ad un proficuo dialogo tra uomini di religione. Tanti e tanti incontri si sono succeduti, compresi quelli che lo stesso Giovanni Paolo II ha tenuto ancora in Assisi. E non è senza significato che Benedetto XVI abbia voluto aprire l'incontro di preghiera per la pace a Napoli con un suo intervento diretto. L'amicizia, la conoscenza, la stima reciproca sono state dimensioni forti che hanno favorito la resistenza al demone del conflitto. E abbiamo visto che le diversità, se collocate nell'orizzonte dello spirito di Assisi, non sono il grande ostacolo.
E il conflitto fra religioni, civiltà e culture non è inevitabile. E si deve affermare anche che le diversità non debbono scomparire. Rinunziarvi vorrebbe dire cadere nel relativismo, che renderebbe tutto uguale e quindi sradicato dalla storia. Non è questo il sentire dei popoli. La preghiera della gente, quella che sgorga dalla sofferenza, quella che matura nella disperazione, quella che esprime la gioia, segue i percorsi secolari differenti. E le grandi tradizioni religiose si sono fatte carico delle invocazioni di milioni di persone, rivolte non agli uomini ma a Dio. E tutte queste preghiere differenti sono radicate in identità profonde: nel bisogno di essere salvati. La differenza rappresenta la ricca geografia spirituale del mondo contemporaneo. E questo non deve scoraggiare. Differenza e dialogo sono le guide per allargare lo sguardo al mondo interno, sono le vie per trovare senso in una convivenza tra gente di religione diversa. Il dialogo non è un fatto accademico, ma un modo di vivere ogni giorno da parte di migliaia e migliaia di credenti. Frequentare le grandi tradizioni religiose, coglierne la spiritualità, non è perdere la propria identità in una confusione da moderno mercato. Anzi, è far crescere l'amore mediante la stima in un mondo complesso ma popolato di pensieri, di santità, di fede. E' una garanzia per il futuro del mondo. La cultura e la pratica del dialogo trovano nello “spirito di Assisi”, all'inizio di questo nuovo secolo, già così ferito da incredibili conflitti, una via e una indicazione.

La fede deve diventare cultura di riconciliazione e di dialogo, ossia un modo di vedere largo, un modo di amare senza confini, un modo di vivere che non riduce le cose ai nostri schemi, che non restringe il mondo alle nostre abitudini mentali. Ognuno deve aprire le finestre della propria mente e allargare le pareti del proprio cuore. E' facile, molto facile, essere sensibili solo a quello che ci sta vicino, solo a quello che ci tocca e ci commuove; e ignorare ciò che sta lontano da noi. L'amore è anche un cuore ospitale a ciò che non ci tocca direttamente. L'ignoranza è funzionale all'egoismo. E nell'ignoranza appassiscono l'amore, la generosità, l'audacia, la passione. La forza dell'amore spinge ad uscire da sè per recarsi nei cuori degli altri al fine di creare una cultura d'amore, una civiltà dell'amore. La forza della riconciliazione è una energia concreta che fa superare ogni ripiegamento su di sè e aiuta ad alzare il proprio sguardo e la propria azione verso l'universalità della famiglia umana. E questo chiede ascolto rinnovato del Vangelo e attenzione critica a quel che accade nel mondo. Ci troviamo, infatti, in una situazione complessa che chiede a noi di essere uomini evangelici che sono esperti di umanità. Insomma dobbiamo conoscere il Vangelo e il mondo. San Girolamo diceva che l'ignoranza delle Scritture è ignoranza di cristo; noi potremmo aggiungere che l'ignoranza dei giornali è ignoranza degli uomini.

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