fede

Credo la Risurrezione della carne e la Vita eterna

fr. Domenico Paoletti ofmconv pixabay
Pubblicato il 29-01-2020

Noi siamo il nostro corpo perché attraverso il corpo passa tutto di noi

Noi siamo il nostro corpo perché attraverso il corpo passa tutto di noi. Meglio dire: attraverso la nostra corporeità, perché il corpo è “più” del corpo e riguarda tutto il nostro modo di essere. Tutta l’attenzione al corpo: a che serve “star bene” e “voler bene”, se il corpo non vive per sempre? Da qui le riflessioni su corporeità ed eternità. Dopo aver considerato di nuovo la domanda di senso (qual è il senso del nostro corpo? Quale il senso dei sensi?), alquanto rimossa dalla nostra cultura incurvata sull’immanenza, abbiamo richiamato la centralità del corpo, principio cardine nella rivelazione cristiana tanto che il corrispondente atto di fede poggia sul “corpo” di Gesù, la carne è il cardine e della salvezza (caro cardo salutis).

«La risurrezione dei morti (della corporeità) è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo cristiani» (Tertulliano, De resurrectione mortuorum, 1,1). Noi cristiani crediamo in Dio creatore della carne, nel Verbo fatto carne per salvarci, nella risurrezione della carne, nel compimento della creazione e della redenzione della (non dalla) carne. Nel presente contributo diamo inizio a un ripensamento dell’ultimo articolo del Simbolo apostolico che riguarda proprio la corporeità: “Credo la Risurrezione della carne, la Vita eterna”. Un insegnamento non solo centrale e costante nel cristianesimo ma sempre accompagnato dalla precisazione che, quando si parla di risurrezione della carne, va fatto riferimento alla risurrezione di “questa carne”, di “questi corpi” concreti.

Un Credo che, per la difficoltà di declinarlo nel linguaggio di oggi, risulta ancora legato a categorie della cultura premoderna e pertanto non riesce ad intercettare le domande più profonde, a coinvolgere realmente l’uomo contemporaneo. Si constata anzi che tale verità, centrale nella fede cristiana (fondata sulla Risurrezione di Cristo “nel suo vero corpo”) e ragione ultima della esistenza, non è sentita come importante dagli stessi cristiani praticanti. Crediamo nella vita eterna? Recenti inchieste ci dicono che molti cristiani più che rifiutare questa prospettiva di speranza, connaturale all’inquietum cor nostrum, incontrano enorme difficoltà nella sua comprensione.

La fede nella risurrezione della carne è condivisa solo da una minoranza, e la maggior parte dei cristiani crede non tanto nella Risurrezione quanto nell’immortalità; ma le radici di questa carenza di fede sarebbero da ricercare anche nella catechesi e nell’omiletica correnti. I dati offerti dalle indagini sociologiche ci segnalano una distanza, più che dal credo della Chiesa, dalla sua presentazione linguistico-semantica. La difficoltà linguistica, se non viene affrontata con un nuovo paradigma teologico in ricerca e in dialogo con questo nostro cambiamento di epoca, porta senza volerlo a un oblio delle “questioni ultime” sul senso e il fine della vita. Va riconosciuto che in realtà questo articolo di fede nella risurrezione ha fatto problema fin dall’inizio agli stessi discepoli di Gesù che, scendendo dal monte della Trasfigurazione, discutevano tra di loro su che cosa volesse dire “risorgere dai morti” (cf Mc 9, 10).

Una delle prime eresie che la Chiesa ha dovuto contrastare è la gnosi che nega la “carne” di Gesù, e quindi la risurrezione della carne. Inoltre ricordiamo il passaggio dall’iconografia di età patristica, che vede al centro il Pantocrator (trionfo della croce e della vita) a quella del Medio Evo, con al centro il giudizio finale; ricordiamo nel periodo tridentino lo spostamento della beatitudine al termine di questa vita; ricordiamo come il catechismo di Pio X, opponendosi alle istanze del modernismo in teologia, accentua la lettura fisicista dell’al di là, con un linguaggio troppo esclusivamente emotivo-affettivo. Il movimento biblico, liturgico e teologico del secolo scorso ricerca un linguaggio di fede che sia fedele alla Rivelazione e agli uomini di oggi: è il movimento che prepara e genera la riforma del Concilio Vaticano II.

I testi conciliari propongono il credo con una impostazione fondata sulla Parola di Dio e con un linguaggio più personalista adottando «di preferenza il linguaggio dell’amicizia, dell’invito al dialogo» (Paolo VI), pur con la difficoltà ad entrare profondamente nei cambiamenti accelerati della modernità che mettono in discussione le vecchie visioni dell’uomo, della storia e del mondo. Nel dopo-Concilio alcuni interventi del magistero riconoscono un disagio nel popolo di Dio nel credere alle verità ultime, ribadendo però che se non si dà risurrezione crolla la fede cristiana. Si avverte forte l’esigenza di un ripensamento linguistico dell’ultimo articolo del credo, ma non si va oltre la staticità dello schema linguistico consolidato lungo la storia, con alcune interessanti novità generative: in particolare il riconoscere sempre più al centro della fede la categoria “comunione”, legando così meglio la relazione tra storia e Vita eterna, e la “prospettiva cristocentrica”.

Il Catechismo della Chiesa cattolica (CCC) riserva ben 72 numeri all’articolo del credo “La Risurrezione della carne, la Vita eterna”. Il testo mira per sua natura a un equilibrio tra la tradizione (con un riferimento al magistero, in particolare alla Costituzione Benedictus Deus di Benedetto XII e al cap. VII della Lumen gentium) e il tentativo di una reinterpretazione del “logos” della fede a partire dalle nuove esigenze e sfide dell’oggi. Il CCC cerca di mettere insieme prospettive antropologiche esistenziali, linguaggio fisicista e fine-compimento dell’uomo, del creato e della storia; ma non supera l’ambiguità inevitabile tra codice fisicista e codice simbolico. Interessante è l’avere individuato l’essenza della vita eterna nella categoria della “relazione” con Dio e con tutti e tutto: una specie di fraternità universale che coincide con il compimento della nostra esistenza relazionale-comunionale nel mondo.

I catechismi delle Conferenze episcopali dei vari Paesi, con accentuazioni diverse, a seconda delle diverse culture e sensibilità, cercano di tenere insieme le principali dimensioni della Rivelazione cristiana espresse nella Dei Verbum: storico-progressivo-escatologica, cristocentrica, sacramentale, personalista e comunitaria-trinitaria. Alcune innovazioni comunicative Nella catechesi, grazie alla ricerca teologica e al mutamento culturale, oggi si tende a privilegiare sempre più le prospettive antropologico-esistenziali e relazionali-comunionali. Il problema che si avverte nel rendere comprensibile e credibile la proposta cristiana della Risurrezione della carne, sembra risiedere nel fatto che la novità riguarda il piano verbale della comunicazione, non è ancora diventata paradigma linguistico-culturale. Lo schema interpretativo infatti è ancora quello precedente, e non aiuta a collegare vita presente e vita futura, questa vita “feriale” e l’evento pasquale, centro e cuore dell’annuncio cristiano, fondamento della speranza.

Già Paolo VI, a conclusione del Concilio, affermava che la Chiesa deve essere fedele a Dio e all’uomo con il dialogo e la ricerca di un “logos”, linguaggio capace di dialogare con “l’uomo fenomenico” e le scienze che lo descrivono. Occorre studiare la nuova cultura per essere capaci di scorgere e valorizzare i “semina Verbi” anche oggi presenti, e così rileggere la verità con nuove ermeneutiche che ne colgono, con diverse e convergenti prospettive, la bellezza sorprendente e la corrispondenza di questo annuncio con la ricerca e il cammino dell’uomo. Uno studio questo, all’interno della dinamica della Veritas semper indaganda: la consapevolezza che nessuna interpretazione riesce ad esaurire la verità. Il presente mostra una molteplicità di interpretazioni, e si vive la ricerca e l’attesa di una sintesi sapienziale sempre di là da venire. L’attuale fatica a credere la risurrezione e l’eternità chiede non solo un diverso linguaggio comunicativo (una nuova semantica collegata al nuovo paradigma) ma soprattutto esige che l’eternità si veda in qualche modo realizzata, anticipata, quindi significativa per la vita concreta di ogni giorno.

La domanda fondamentale è questa: la risurrezione e l’eternità danno senso, luce, verità, fondamento alla vita presente, al corpo che siamo (che viene concepito, nasce, cresce, si trasforma, invecchia e muore)? E il corpo in qualche modo manifesta, segnala l’eternità? Il corpo rimanda a un compimento, grazie all’eternità che lo abita? Ci sono nel corpo segni di eternità? E quali? O forse la risurrezione riguarda un altro corpo in un altro mondo? Quale mondo? E quale relazione tra questo corpo e quello che risorge? Sono le domande che ci accompagnano nelle nostre riflessioni, provocate e attraversate dalla intentio di cercare e riconoscere nella fenomenologia del corpo segni, dinamiche e logiche di risurrezione e di eternità. Non è forse la stessa corporeità, come dicevamo nell’ultimo articolo, aperta e in attesa della fede nella risurrezione di Gesù Cristo e, quindi, della sua stessa risurrezione nel corpo? È possibile una nuova ermeneutica della fede nell’eternità del corpo per autocomprendersi meglio? La crisi della fede, nella molteplicità delle sue con-cause, può derivare anche dal prevalere (nell’esprimere il mistero della Risurrezione e dell’eternità) di schemi interpretativi mutuati da altre culture più che dai diversi paradigmi presenti negli scritti neotestamentari, in particolare dall’Evento fondamentale della Risurrezione di Gesù Cristo.

La fede è in crisi perché il paradigma prevalente dell’annuncio non aiuta a gustare la salvezza già in atto nella storia e a vedere la trasformazione della corporeità in prospettiva di compimento. La questione del “dopo”, anche se pone l’interrogativo fondamentale (“c’è un dopo personale- relazionale?”), rimane estranea alla cultura di oggi con le sue diverse visioni. La cultura tecnocratica, che si va diffondendo inarrestabilmente dovunque, privilegia il presente fino ad esaltare l’attimo fuggente o la compressione del tempo fino a farlo coincidere con lo spazio: “tutto qui ed ora”. Tale paradigma tecnologico deriva dalla visione storicista che, chiusa alla realtà trascendente, vede solo la continuità della specie e contribuisce alla sua evoluzione. Simile è la visione naturalistica per la quale con la morte l’esistenza umana personale giunge alla sua fine totale e definitiva. Tale tendenza a ricondurre l’uomo alla natura è molto diffusa, specialmente in un contesto dove prevale la mentalità scientista. Nello stesso tempo è assimilabile alla visione orientale, in particolare buddista. Anche i vari movimenti fluidi e sfuggenti, come la New Age, che confluiscono nell’ecologismo-ambientalismo, leggono la natura come un grande organismo vivente che riassorbe tutto in sé, in un panismo panteistico.

Tutte queste visioni non concordano con il vero annuncio cristiano, anche se vi si possono riconoscere elementi e aspetti interessanti che vanno valorizzati e inclusi in una visione cristiana integrale e universale. Il linguaggio simbolico dell’articolo del Credo su “La Risurrezione della carne e la Vita eterna” va pertanto rivisitato, purificandolo da simboli fisicisti (corpo materiale che risorge, fuoco, pene, inferno-luogo fisico, ora e dopo) con simboli relazionali processuali (comunicazione-comunione, unione-pienezza, germe-realizzazione, compimento). In primo luogo e continuamente occorre cercare e riconoscere un collegamento “strutturale-vitale” con l’Evento fondante: la Pasqua, per superare la difficoltà che, sulla scia della visione tradizionale, ancora tende a interpretare la Vita eterna come un frutto delle buone opere, come un premio che viene dopo.

Riaprendo l’Ufficio escatologico, che era “chiuso per restauro” (von Balthasar), occorre dedicare attenzione non solo al modo di risvegliare la domanda di senso sull’origine e sul fine del nostro vivere, ma alla domanda insopprimibile di eternità che giace anche sotto la coltre immanentistica. Una domanda che purtroppo non viene intercettata dalle nostre proposte ancorate a una semantica e simbolica non più significative per l’uomo del nostro tempo, agitato da incessanti cambiamenti che impongono una radicale revisione dei paradigmi disciplinari, anche all’escatologia. Poiché la Risurrezione della carne - Vita eterna (non crediamo che queste due verità di fede si possano separare) ha come fondamento, oggetto, modello e motivo di credibilità la Risurrezione di Gesù Cristo nel suo vero corpo, ne faremo argomento del nostro prossimo articolo, attenti a scorgere nella narrazione evangelica ulteriori segni e significati per ridire oggi il Credo.

di Domenico Paoletti, ofmconv - pubblicato su San Bonaventura Informa

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