Le visite dei pontefici
“Eravamo illetterati e sottomessi a tutti”. Così scrive Francesco nel Testamento,
ricordando gli inizi della fraternità. Nella minorità esprime
la sua relazione con l'altro. “Tutti siano chiamati semplicemente frati
minori”, scrive nella Regola non bollata, e subito aggiunge a commento
le parole di Gv 13,14: “e l'uno lavi i piedi all'altro”.
La minorità
parla attraverso l'altro, attraverso il servizio e il prendersi cura che
crea la vicinanza e ci rivela fratelli. Non solo frati, ma frati minori,
appunto. La minorità è dunque via alla fraternità e nell'essere fratelli
ci si scopre tutti minori.
L'una non è possibile senza l'altra. Nel
Memoriale, meglio noto come Vita seconda, Tommaso da Celano
racconta come lo stesso Francesco intendesse vivere la minorità.
Leggiamo: “Un giorno disse al suo compagno: Non mi sembrerebbe di
essere frate minore se non fossi nella disposizione che ti descriverò. Ecco
– spiegò – essendo superiore dei frati vado al capitolo, predico, li ammonisco,
e alla fi ne si grida contro di me: Non è adatto per noi un uomo senza
cultura e dappoco. Perciò non vogliamo che tu regni su di noi, perché non
sei eloquente, sei semplice ed ignorante. Alla fine sono scacciato con obbrobrio,
vilipeso da tutti.
Ti dico: se non ascolterò queste parole conservando
lo stesso volto, la stessa letizia di animo, lo stesso proposito di santità, non
sono per niente frate minore”. Subito riconosciamo nelle parole di
Francesco un episodio che abbiamo avuto occasione di ricordare
proprio sulle pagine della nostra rivista. Tommaso probabilmente
fa riferimento al capitolo delle stuoie. Il punto di vista però è differente.
Il colloquio ora si svolge tra Francesco e un altro frate, di
cui Tommaso tace il nome. Il capitolo è ormai concluso, forse da
tempo. Perché Francesco ne parla proprio adesso? Il tema questa
volta non è quello della Regola.
Il tema è quello della minorità alla
quale Francesco dà un volto nuovo. Rileggendo attentamente il
testo, le parole di Francesco ci risultano sempre più familiari fi no
ad evocare altre parole e un altro colloquio tra maestro e discepolo
o meglio tra fratello e fratello, quello con frate Leone. “Ti dico:
se non ascolterò queste parole conservando lo stesso volto, la stessa letizia
di animo, lo stesso proposito di santità, non sono per niente frate minore”.
Francesco parla della letizia di animo. Sì, la letizia, la perfetta letizia!
Non è un semplice racconto, non è un invito, non è un desiderio.
È la realtà concreta del suo vivere, di chi sa conservare nel cuore la
gioia anche di fronte al rifiuto e al disprezzo del fratello. “Vattene, tu
sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e
tali che non abbiamo bisogno di te”.
Sono le parole conclusive del ben
noto apologo sulla Perfetta letizia alle quali Francesco risponde: “E
io sempre resto alla porta e dico: “Per amore di Dio, accoglietemi per questa
notte”. E quegli risponde: “Non lo farò. Vattene dai Crociferi e chiedi là”.
Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che
qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima”. L'altro
continua ad essere fratello. Francesco continua a guardarlo così,
conservando lo stesso volto. Qui è la vera letizia. Ed è l'altro nome
della minorità.
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