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Francescanesimo/Il mondo alla rovescia

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Ancora una vita di san Francesco! si potrebbe esclamare aprendo questo libro». Così inizia la sua biografiastudio Francesco D'Assisi (Einaudi), André Vauchez, lo storico medievista francese che ha profondamente segnato e innovato negli anni Novanta gli studi sulla religiosità medievale con il suo saggio La santità nel Medioevo (Il Mulino), tradotto in 17 lingue, nel quale ha ricostruito sapientemente la diffusione del culto popolare dei santi e la risposta istituzionale che la Chiesa diede con la regolamentazione dei processi di canonizzazione. Professore emerito di Storia medievale all'università di Parigi X - Nanterre, membro dell'Institut de France e dell'Accademia nazionale dei Lincei, direttore della Revue Mabillon , André Vauchez racconta a left la figura di Francesco.

Professore, Francesco si autodefiniva novellus pazzus , vale a dire non un giovane pazzo ma un "novello pazzo". Cosa intendeva?
Francesco usa questa parola riferendosi, in modo più o meno consapevole, a san Paolo, alla follia della croce. A una pazzia che consiste nel voler vivere secondo il Vangelo, prenderlo alla lettera e trasformarlo in vita. Lui non ha mai voluto creare un nuovo ordine religioso ma una nuova forma di vita. Dice nel suo Testamento «haec est vita», questa è la vita. Questa è la pazzia di Francesco, nel senso che il Vangelo era considerato bello, un ideale, ma non era vivibile nel senso concreto del termine. E voler vivere così poteva sembrare ed era, in effetti, una forma di "pazzia", non di dementia , ma di pazzia nel senso paolino. La pazzia della croce.

Lei scrive di un «mondo alla rovescia» di Francesco. Un mondo senza denaro e senza proprietà, in cui prevalesse «una economia della povertà», una società senza potere.
Sì, si ricollega alla pazzia di prima la cui "logica" è di andare contro la logica di questo mondo che mira al potere e alla ricchezza. Francesco propone il contrario, l'opposto. Nell'abbandono di tutti questi valori mondani si ritrova la vera libertà. In un mondo in cui tutti mirano alla ricchezza lui vuole diventare povero, si "libera" dal peso del denaro e del potere. Questo è il suo mondo alla rovescia, una cellula alternativa che fa tutto il contrario della società reale che corre dietro al denaro e al potere. Uomini controsenso che provano a dimostrare che si può vivere senza tutto questo. Francesco poi va anche oltre. Per esempio, dice che il povero costretto a mendicare è in una situazione migliore del ricco che dà perché lui dà semplicemente dei soldi, quello che riceve invece chiede per amore di Dio. Ed è molto più importante l'amore di Dio di quattro soldi. In questo senso c'è un rovesciamento delle posizioni anche a livello concreto, in questo mondo, non nell'altro. Nel rapporto tra le persone. L'obiettivo del movimento francescano è di dimostrare attraverso l'esperienza vissuta che questa vita "in senso contrario" è possibile, contrariamente a quello che si dice e si pensa. È la proposta di una società alternativa rispetto a quella dominante.

Il potere per Francesco è all'origine del male...
Sì, quando si parla di umiltà in Francesco c'è molta ambiguità.Si interpreta la parola nel suo senso morale, di essere gentili con tutti. Si tratta invece di tutt'altra cosa, di rifiutare il potere in quanto questo diventa fonte di abuso, di strapotere e di violenza. Uno che rifiuta denaro e potere rifiuta la violenza. Francesco diceva: se uno riceve dei beni poi deve difenderli ed entra in quel processo di lotta violenta. Quindi, il solo modo di avere rapporti pacifici con gli altri è di rifiutare il denaro e il potere.

Per Francesco Dio è calore, gioia, un fuoco che brucia ed è ravvisabile soltanto attraverso le sue manifestazioni concrete, ha un approccio molto carnale. Per parlare di Dio, lei scrive, Francesco «si serve degli stessi termini dei trovatori quando si indirizzavano alla dama dei loro pensieri, attengono al registro della gioia e della dolcezza».
Il suo discorso su Dio è molto originale ed è legato alla sua cultura che è laica, proprio quella dei Trovatori. Lirica e amorosa, ci sono delle sensazioni concrete, il fuoco, la luce… e questo non solo è originale ma illustra il suo rapporto con Dio che è diretto e non ha bisogno delle solite mediazioni. Per esempio, già la bellezza delle cose basta a dargli la sensazione di entrare in contatto con Dio. Non si tratta di panteismo ma di un contatto con la natura creata da Dio che consente un accesso privilegiato a Dio. Attraverso la contemplazione delle cose traeva felicità, la realtà quindi per Francesco non è un ostacolo alla contemplazione, come sostenevano molti autori monastici dell'epoca. Il rapporto si inverte: è attraverso la mediazione delle cose che si arriva a Dio.

Francesco abbandona la distinzione tradizionale tra anima e corpo che la spiritualità monastica aveva ereditato dalla filosofia antica e si situa dalla parte del corpo delle cose. È questa la grande novità?
Tutto il monachesimo medievale è stato influenzato dal neoplatonismo. Nella tarda Antichità in effetti, la tradizione cristiana aveva subito l'influenza molto forte del neoplatonismo che, tramite Cassiodoro, Cassiano e altri autori, fu tramandata all'Alto Medioevo. Anche se si conosceva Platone solo attraverso delle traduzioni di seconda mano, questi influssi neoplatonici hanno molto segnato il monachesimo non solo in epoca carolingia ma ancora di più a Cluny dove si sviluppò un discorso sulle “gerachie celesti” che deve molto allo Pseudo Dionigi. E tutta questa ideologia che equiparava i monaci agli angeli sviluppava una forte opposizione tra carne e spirito, materia e ragione, ecc. In Francesco, invece, che era un laico e non aveva alle spalle questa cultura monastica, non si trovano queste distinzioni o contrapposizioni. Per lui c'è frate corpo (così chiama il corpo) e l'anima ma non esiste una separazione tra le due, nel senso che noi abbiamo un'anima ma siamo un corpo; quindi solo attraverso il corpo possiamo avere le sensazioni che abbiamo e dunque il corpo è sempre associato alla vita morale e spirituale. Questo non vuol dire che non abbia trattato duramente il suo corpo - alla fine della sua vita si rimproverò di aver trattato troppo male “frate corpo” - ma egli rifiuta addirittura la divisione tra corpo e anima, contro la spiritualità monastica che invece vedeva nel corpo un involucro nel quale l'anima aspettava qua giù come in un carcere di poter tornare in cielo, la sua patria. Questa non è assolutamente l'idea di Francesco, per lui anima e corpo stanno insieme e la terra non è una prigione ma solo l'anticamera del paradiso.

Francesco semi analfabeta. Uomo dell'oralità e del gesto, cantava poemi in francese ma scriveva in volgare umbro e non voleva che lo si correggesse. Che rapporto aveva con la scrittura?
Questo è un discorso molto lungo. È vero che Francesco era un semianalfabeta, lui stesso si definisce illiteratus et idiota. Illiteratus nel senso di colui che non sa il latino. Francesco lo conosceva poco (il suo latino era pieno di barbarismi, come mostrano i due biglietti autografi), l'aveva studiato attraverso la liturgia dopo la sua conversione e quindi ne aveva una conoscenza empirica e parziale. Ma per lui la lingua volgare era fondamentale. Abbiamo poi il problema del francese che all'inizio del Duecento in Italia era un po' l'equivalente dell'inglese per i giovani di oggi, era la lingua del canto, della poesia, delle emozioni e Francesco condivideva questa cultura cavalleresca o di giullare che era in gran parte in francese. Il suo volgare era quello umbro. Non era una lingua, solo un dialetto, però era di tutti, del popolo. La sua scelta di scrivere per esempio il Cantico delle creature in volgare è stata una scelta decisiva perché era la prima volta che uno si rivolgeva a Dio per iscritto in volgare, non diciamo in italiano ma in un dialetto popolare che non aveva ancora delle forme fisse. All'epoca di Francesco si scriveva solo in latino, che scriva in dialetto è un atto veramente significativo e lo fa con l'idea di nobilitare e di abilitare questo volgare e farne un mezzo di espressione per tutta la gente.

Elogiava la semplicità, diffidava della tortuosità delle parole degli intellettuali, diffidava della “lingua vacua”. Per lui si parla di “parola nuova”.
Sì, è un tema a cui ritorna spesso, nelle sue Ammonizioni e nella Regula non bullata. Francesco rivendicava una coerenza tra la parola e la vita: la parola ha senso se si appoggia su di una vita perfetta. Questa è una vecchia rivendicazione dei movimenti popolari, già i valdesi nel XII secolo avevano detto la stessa cosa: la testimonianza a livello del comportamento deve andare di pari passo con la parola. Predicare diventa un discorso vuoto se non c'è la testimonianza della vita. In Francesco c'è una gran diffidenza di fronte ai predicatori del suo tempo che erano contenti dei loro discorsi e non si preoccupavano della loro autenticità personale.

L'uomo per Francesco deve cercare di stabilire con la natura e con tutte le creature una relazione “non violenta”… deve ristabilire l'armonia rotta dal peccato e restaurare tra sé e la natura un rapporto che non sia rovinoso ma fraterno. Per lui, l'esclusione è all'origine della violenza.
Questo è un tema fondamentale in Francesco, illustrato dalla ben nota storia del lupo di Gubbio, sia che sia un lupo vero sia che sia un brigante. In entrambi i casi si tratta di un personaggio che è stato escluso dalla società e perciò è diventato violento. Il suo è un discorso di inclusione: l'uomo non solo non deve essere violento con la natura che lo circonda ma deve ricercare l'integrazione degli emarginati. Francesco non si sente estraneo alla creazione, non ha l'idea dell'uomo che si impadronisce del creato e lo rende schiavo; certo, l' uomo è al centro della creazione, ne costituisce l'apice ma ne è parte integrante, non se ne distacca. Anche questo andava contro la tendenza dominante della teologia e della filosofia medievale che, con la scolastica, poneva l'accento su una rottura tra uomini e animali sulla base della ragione, sottolineando che gli uomini sono degli esseri a parte e tutti gli altri sono esseri inferiori. Francesco invece non stabilisce barriere tra uomini e animali… e persino con le pietre. Il desiderio di sfruttare la natura a ogni costo per Francesco è una forma di dominio e questo certo lo attualizza legandolo a tutto il discorso ecologico.

Professore, un'ultima domanda: non c'è santo meno contestato e più amato al mondo. Come mai?
Ci sono tante ragioni, anche sbagliate. Nell'800 si è fatto di lui l'inventore della poesia e della pittura rinascimentale e anche dell'Unità d'Italia, interpretazioni tutte sbagliate. Ma al di là di queste, io penso che Francesco è un personaggio in cui tutti possono riconoscersi. Nel senso che, pur essendo stato un uomo molto religioso, la sua religiosità non è legata a un'istituzione ecclesiastica. Anche se fu obbediente alla Chiesa di Roma, non ha mai cercato di creare un ordine, fatto che gli è stato imposto dal papato. Lui voleva solo riportare l'umanità a un senso di fraternità con se stessa e questo è un ideale che possono condividere anche le persone che non hanno la sua stessa sensibilità religiosa. E poi i suoi rapporti con l'islam: se si analizzano le due Regule, quello francescano è il primo ordine religioso che abbia avuto un articolo speciale sul fatto di andare a predicare il Vangelo presso i saraceni. Il primo ad avere il desiderio di uscire dalla cristianità per andare verso gli altri: questo è un aspetto nuovo. Francesco stesso, e sappiamo cose precise sul suo incontro con il sultano d'Egitto, mostra un grande rispetto di fronte alle credenze altrui. Non dice male di Maometto, cerca il dibattito. Si comporta in un modo originale quando dice nella Regula non bullata che i Frati che vanno nei paesi dell'islam possono o predicare il vangelo, se il contesto è favorevole, o starci senza fare proselitismo, testimoniando di essere cristiani attraverso il loro modo di vivere. Questa è una vera rivoluzione mentale e quel passo verrà soppresso nella Regula bullata del 1223. Per Francesco, non si tratta più di combattere contro le altre religioni ma di portare una testimonianza di fede e di amore condividendo la vita degli altri.(Left)

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