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E «Io se fossi Dio» ora sembra preghiera

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

L'inedito. Esce in dvd il contestato brano dell'80 riscritto da Gaber nel '91: da invettiva a «laica invocazione»



Spiazzava, Giorgio Gaber. In modo anche feroce, pur di riuscire a far riflettere su ciò che gli stava a cuore. E malgrado questo sia stato forse addirittura uno dei veri motivi per cui si andava a vederlo, da tanto costringeva rimettersi in gioco e motivare davvero scelte e pensieri, certo il suo repertorio resta costellato di pagine discusse. Anche dolorose, per chi si sentiva colpito (od offeso) da certe sue provocazioni.
Esempio sommo, Io se fossi Dio. Il maxi-singolo pubblicato nel 1980 da un'etichetta di discomusic (i discografici più noti l'avevano rifiutato), con cui il Signor G, usando l'artificio di proclamarsi laica divinità, smascherava finta solidarietà, giornalismo che speculava sul dolore, politica come gioco di potere. E gridava lo sgomento della gente perbene da¬vanti al terrorismo. Il fine del 'Dio' di Gaber, laico ma non poi così distante da chi crede, era etico: ritrovare rigore morale. Però, certo, la faccenda fece scalpore. E ottenne i seguenti risultati: assordante silenzio della critica, minacce delle Brigate Rosse, polemiche da destra e sinistra, accuse di qualunquismo e critiche da chi si sentiva ferito da quel tirare in ballo il Signore. Eppure oggi, quasi trent'anni dopo, Gaber - sarà per questo che davvero va ricordato - spiazza ancora.
E proprio nel momento in cui torna in circolo la ferocia di Io se fossi Dio. Non l'originale del 1980, mai ripreso in video, ma la riscrittura del 1991 che è edita (per la prima volta) nel cofanetto Giorgio Gaber Gli anni Novanta , due dvd e libro. In che modo provoca il 'Dio' gaberiano nel '91? Intanto sembra un 'Dio' laico che abbia deciso di intervenire stamane, sull'oggi del 2009. Perché nel nuovo testo il Signor G parla di «magistrati con smania di esser popolari»; dice «in ospedale si fa morir la gente accatastata fra gli sputi / mentre nel palazzo comunale c'è una mostra sui sanniti»; intuisce il dramma dell'esodo mondiale di «popoli in via di assestamento»; denuncia omertà mafiose di fronte a finti perbenismi («persone buone… che ammazzano con tal freddezza che Hitler al confronto fa tenerezza»); grida di politici collusi sempre in tv con le loro «maschere di cera». Il tutto come nell'80 e sempre senza il misurino delle convenienze bipartisan con cui troppo spesso lo elogiano. Perché Gaber era uno scomodo, non cercava consenso. Quand'era vivo, non era facile affrontarlo davvero. Soprattutto, perché magari – e attenti alla nuova sorpresina 'gaberiana' – dopo che col suo 'Dio' aveva appiccicato al muro con sonori schiaffi, d'un tratto, volava alto. Come disse, dell'uomo non parlava mai, «senza rispetto e pietas». E la Io se fossi Dio del '91 la chiuse così: «Peccato che anche Dio ha il proprio inferno, l'amore eterno per gli uomini». Che risposte, allo squallore, dava Gaber: provocava, magari feriva, ma poi ribaltava il piano. Fino a far diventare il suo Dio-etica da Vecchio Testamento vicino al Dio-Amore cristiano, in un percorso (laico, certo, ma estremamente preciso) che avrebbe battuto sino alla fine cercando un Umanesimo nuovo.
Gaber colpiva per ricostruire e sapeva che non si può farlo senza valori. Senza l''inferno' del suo Dio. Già, senza l'amore per l'uomo. Che poi, a pensarci bene, forse oggi è anche più scomodo di certi schiaffi. Ma è anche per questo che ci manca tanto uno come il Signor G. Quel signore sornione che ci sbatteva contro il muro e poi ci spronava a cercare un senso. Come un giorno, poco prima di andarsene, disse anche giù dal palco. «Il mondo è agghiacciante, ma noi ci siamo. E dobbiamo ripartire dalla persona. Assumendoci le nostre responsabilità».

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