home

Curiosità/Si fa presto a dire “cognato”

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Studiare le forme della parentela “significa raggiungere il cuore stesso di una società”.
Lo scrive il filologo classico Maurizio Bettini, chiamando a testimoni studiosi del calibro di Claude Lévi-Strauss ed Émile Benveniste, nel suo saggio “Affari di famiglia” (il Mulino). A dispetto del titolo allusivamente pop, quello di Bettini è un dotto excursus sulla parentela nella letteratura e nella cultura antica, nel quale si analizzano le radici e l'evoluzione di termini che, a volte cambiati di segno, sono stati accolti nel lessico comune.

A proposito del termine “cognato”, per esempio, di cui la cronaca va assai disquisendo in questo periodo, il libro di Bettini ci informa che gli antichi romani facevano differenza tra “agnati” e “cognati”: i primi erano i consanguinei imparentati per via maschile (è il caso, tra gli altri, dei figli maschi o femmine del fratello e dei fratelli maschi o femmine del padre) ed erano considerati in posizione preminente rispetto ai secondi, i consanguinei per via femminile (il figlio o la figlia della sorella e il fratello o la sorella della madre). Ma se il legame agnatizio determinava “più stretti legami di colleganza”, la categoria dei cognati, per quanto in apparenza più generica, poteva indicare “qualsiasi tipo di consanguineo”.
Rivestiva un'importanza, per così dire, riassuntiva. Il cognato, nella Roma antica, era semplicemente il parente, colui che condivideva il medesimo ceppo genealogico e quindi antenati comuni (da “co-nascor”, nascere insieme).

Salta così agli occhi una prima differenza sostanziale rispetto all'uso odierno del termine “cognato”.
Per i romani era un consanguineo, per noi è diventato invece ciò che si definisce “parente acquisito”, nobilitato e caricato di importanza da un termine latino che allude alla parentela pura. I romani riservavano invece ai parenti per via di matrimonio la qualifica di “adfines”, “una sfera più nebulosa e meno definita di quella dei cognati” (romanamente intesi, naturalmente).
Nelle fonti, scrive Bettini, troviamo documentata l'appartenenza agli “adfines” di suocero, genero, nuora, patrigno, matrigna e figliastri. Parrebbe assente il riconoscimento esplicito del cognato come oggi lo intendiamo, vale a dire il fratello o la sorella del proprio coniuge e il coniuge del/la proprio/a fratello/sorella.

Come mai, allora, e attraverso quali passaggi si è arrivati all'odierna accezione di “cognato”?
Bettini lo spiega con un passo di Modestino, giurista vissuto nel III secolo dopo Cristo: “Sono ‘adfines' i parenti del marito e della moglie, detti in questo modo per il fatto che due ‘cognationes' (parentele) diverse tra loro si uniscono tramite un matrimonio, e l'una così si trova a confinare con l'altra”. Lo stesso Modestino, spiega Bettini, “fornisce una giusta esegesi di questa immagine linguistica: tramite una relazione di matrimonio, infatti, due ‘cognationes' prima distanti diventano ‘confinanti' fra loro, si trovano a condividere un medesimo ‘finis'”. L'adfinis è dunque “qualcuno che si è impegnato con me in un progetto comune, ovverosia nel matrimonio fra due appartenenti alle nostre rispettive cerchie”. Va notato, peraltro, che l'adfinitas (categoria alla quale appartiene il cognato attualmente inteso) può sviluppare, secondo la prudente visione romana, sia “un significato metaforico di ‘compartecipazione'”, sia quello peggiorativo di “complicità”: la vicinanza parentale si realizza “tramite una forma di ‘società', un consorzio stabilito tra le parti”. (ilfoglio.it)

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA