Le visite dei pontefici
“Custodi e accompagnatori”, che cercano “di curare le ferite, in vite segnate da eventi tremendi”. Così mons. Benedetto Tuzia, vescovo ausiliare di Roma, ha definito gli agenti di polizia penitenziaria, durante l'omelia della messa celebrata il 30 giugno nella chiesa di San Francesco di Sales, in occasione della festa di San Basilide martire, loro patrono. Agli agenti di polizia penitenziaria, ha proseguito il vescovo, spetta il compito di “custodire la speranza”, cioè “custodire quel resto di umanità, di innocenza, di bontà che è nel cuore di ognuno, anche delle persone attraversate da tremende situazioni”. Si tratta, infatti, del “sigillo che Dio ha impresso nel cuore di ciascuno di noi e che nessuna forza di disumanità può cancellare”. La messa romana, celebrata nella chiesa adiacente al carcere di Regina Coeli, è stata concelebrata da mons. Giorgio Caniato, ispettore generale dei Cappellani delle carceri italiane, e dai cappellani, alla presenza, oltre che degli agenti, delle autorità civili, del Ministero della Giustizia, del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, degli Istituti Carcerari e della Scuola di Formazione di Roma. La Festa di San Basilide martire – discepolo di Origene, specializzato nello scortare i condannati al luogo del supplizio e a sua volta incarcerato e martirizzato per la sua professione di fede - si celebra in tutti gli istituti penitenziari italiani, a livello locale, provinciale o regionale. I cappellani nelle 205 carceri italiane sono attualmente 240. Secondo gli ultimi dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il numero dei detenuti in Italia e' oggi pari a 67.542, di cui 24.944 stranieri (36,93%), a fronte di una capienza regolamentare di 44.218 unita' e di una tollerabile pari a 66.905. Nel gennaio scorso, le persone ristrette negli istituti di pena erano 65.737.Il SIR ha rivolto alcune domande a mons. Caniato.
Mons. Caniato, qual è il ruolo dei cappellani nelle carceri?
“Dal punto di vista giuridico, i cappellani sono operatori come tutti gli altri. Il carcere è una struttura dello Stato laico, che riconosce ai detenuti il diritto alla pratica religiosa e chiede ai ministri di culto cattolici di entrarvi per poter svolgere la propria attività pastorale. Oltre ad essere a fianco dei detenuti nella partecipazione al loro trattamento rieducativo, i cappellani aiutano anche gli agenti a svolgere il loro compito, in uno spirito di reciproca collaborazione, pur nella rispettiva diversificazione di compiti”.
Come giudica, dal suo punto di vista, la situazione delle carceri italiane?
“A mio avviso, tutte le carceri andrebbero tutte distrutte: il carcere, di per sé, è antiumano e anticristiano, e spesso la rieducazione avviene solo sulla carta. La mia lunga esperienza nelle carceri mi ha fatto constatare che il carcere non educa: i detenuti diventano davvero capaci di cambiare vita solo se trovano persone che siano in grado, attraverso la loro testimonianza, di condurli a rivedere la propria esistenza. E' questo anche il ruolo dei cappellani: ho visto cambiamenti notevolissimi, in persone devastate da esperienze sbagliate che hanno saputo mutare direzione. Ma di certo queste sono cose che non si leggono sui giornali…”.
Uno dei punti nodali è il reinserimento dei detenuti, una volta scontata la pena…
“In una società come la nostra, in cui non si riconosce più alcuna oggettività ai valori morali e nella quale qualsiasi comportamento viene giustificato in nome del primato della soggettività dell'individuo, il reinserimento degli ex detenuti nel tessuto sociale rischia di essere sempre più un'utopia, o al massimo un obiettivo enunciare esclusivamente a livello teorico. Perfino i regimi di semilibertà, o l'affido, sono strumenti che vengono utilizzati quasi sempre solo dal punto di vista formale. Ci sono detenuti che vogliono veramente redimersi, ed altri che hanno sempre fatto quello e che hanno intenzione di continuare a farlo. Per i primi, se non ci fosse il volontariato cattolico che si incarica di predisporre percorsi che aiutino gli ex carcerati ad uscire dal circuito dell'illegalità, l'alternativa sarebbe il nulla. Ci vorrebbe un reale cambiamento di mentalità, sia da parte degli addetti ai lavori che dell'opinione pubblica: altrimenti, lo stigma nei confronti delle persone che affollano gli istituti di pena è destinato a rimanere ”.
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Scheda – Gli agenti di polizia penitenziaria
Il Corpo di Polizia Penitenziaria, costituito da circa 43.000 unità di personale di ogni ruolo e qualifica - tra cui circa 3.500 donne - svolge i suoi compiti istituzionali nei 205 istituti penitenziari della Repubblica e nelle strutture e servizi ad essi connessi, assicurando la custodia, l'osservazione e il trattamento di detenuti e internati. La polizia penitenziaria è al servizio del Paese, perché opera per la difesa della legalità e per la sicurezza dei cittadini. E' un Corpo di polizia ad ordinamento civile, istituito con legge 15 dicembre 1990 n. 395 e posto alle dipendenze del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria nell'ambito del Ministero della Giustizia. La Polizia Penitenziaria garantisce la sicurezza all'interno degli istituti, nell'area immediatamente esterna ad essi, ma anche all'esterno, lungo i percorsi previsti per le traduzioni dei detenuti, nei luoghi esterni di cura, in caso di piantonamenti per motivi di salute, ma anche presso le aule giudiziarie durante lo svolgimento dei processi.
(Agensir)
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