Le visite dei pontefici
I. Una sensibilità nuova
1. La coscienza della dimensione e della funzione profetica della vita cristiana in quanto tale, è evidente caratteristica nella Chiesa delle origini, ma era andata perduta, ed è stata recuperata solo nei tempi recenti. Sacerdozio e profezia oggi potrebbero sem-brare due mondi estranei, vista la fisionomia che ha assunto il ministero da Trento in poi: una fisionomia sacrale, uomo “non di que-sto mondo”, con santità personale individualistica, concentrato sulla gestione dei sacramenti, specie l'eucaristia, e come figura pub-blica “sacra” e quasi “estranea” alla cultura e alla vita di tutti. Concilio ha sposato la concezione orientata dai tria munera (profezia, sacro, responsabilità), nel contesto della Chiesa locale e nell'ottica missionaria, e quindi proponendo una santità legata al cammino del popolo di Dio dentro le vicende storiche. Da qui il recupero della relazione sacerdozio- profezia: a partire dall'enfasi su Cristo profeta, sui carismi speciali e anche semplici, sulla storicità del popolo in cammino nel tempo, sul dialogo autentico ed efficace den-tro le culture, le angosce e le speranze degli uomini. Questo carattere “profetico” e questa dimensione si ritrovano in tutti gli ambiti e le vocazioni cristiane, secondo il Concilio: tanto per i sacerdoti che per i religiosi e anche per i laici.
2. Alcune citazioni: per i laici: “Con la testimonianza della vita e la virtù della sua parola, Gesù Cristo, il grande profeta, ha proclamato il Regno del Padre e continua a svolgere la sua funzione profetica fino alla sua gloriosa manifestazione, non soltanto per mezzo della gerarchia che insegna in suo nome e con la sua potestà, ma anche per mezzo dei laici, che pertanto costituisce suoi testi-moni, concedendo loro il senso della fede e la grazia della Parola (cf. At 2,17-18; Ap 19,10), perché la forza del Vangelo risplenda nella loro vita quotidiana, familiare e sociale” (LG 35). Per i religiosi si vedano le sette note del “contributo” della vita consacrata alla Chiesa (LG 44), o la ricchezza dei due paragrafi di Vita Consecrata (84-85) dedicati a questo aspetto e i molti altri riferimenti sparsi nell'esortazione. Per il sacerdozio dirò più sotto, ma ricordo qui il recente discorso di Benedetto XVI (12/3): “Nel tempo in cui viviamo è particolarmente importante che la chiamata a partecipare all'unico Sacerdozio di Cristo nel ministero ordinato fiorisca nel ‘carisma della profezia': c'è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo... Il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale, dal suo essere profondo”.
3. Una diffidenza dolorosa: chi conosce le vicende della vita consacrata nei decenni recenti, certamente sa che l'uso del vocabolario “profetico” applicato ai religiosi appare nei testi del magistero “romano” solo nel 1980 (Optiones Evangelicae) e durante quel decennio e oltre, tale lessico aveva generato fastidio e anche censure. Diffidenze e critiche erano arrivate fino dentro il Sinodo del 1994. Fu Giovanni Paolo II a sciogliere dubbi e resistenze, dando via libera a questa qualità in VC, alla luce della storia stessa della vita consacrata e della ecclesiologia rinnovata da una vivace pneumatologia cristologica. Così sarà pacificamente usato questo linguaggio nella istruzione Ripartire da Cristo (2002): che parla senza paura di forza profetica e di testimonianza profetica (RC 1,8,26,33,36). E oggi non si ha paura di parlare di ruolo profetico, di carattere profetico, ecc.
II. Sacerdozio e profezia
1. Già in Pastores dabo vobis (1992): frutto del Sinodo (1990) su “Formazione sacerdotale nelle circostanze attuali”, si usa una ventina di volte il vocabolario della “profezia/profetismo/profetico” parlando della vita e dell'esercizio del ministero, comincian-do dal legame stretto fra servizio della Parola e sacerdozio (ne parleremo domani). In particolare si ripete il richiamo alla “testimo-nianza profetica” parlando del celibato sacerdotale (“rappresenta un valore profetico per il mondo attuale”: 29) e la povertà (“signifi-cato profetico... urgente nelle società opulente”: 30). Anche insistendo sulla formazione culturale di qualità si dice che serve a ri-spondere alle sfide culturali e a rendersi “partecipe della missione profetica di Gesù” con una sapienza alimentata dalla contempla-zione e dal discernimento ecclesiale (PDV 72). Si potrebbe completare il discorso con Pastores Gregis (2003), che usa questi voca-boli per il vescovo e per il popolo di Dio. (nn. 3,12,44). Non mancano quindi elementi autorevoli per aprire questo discorso.
2. Dal punto di vista biblico: il sacerdozio raramente è associato alla funzione profetica, anche se ci sono sacerdoti che agi-scono con profezia (cf. Zaccaria). Sono ministerialità distinte e spesso conflittuali: le inadempienze dei sacerdoti e il loro ritualismo vuoto viene stigmatizzato dai profeti con parole dure (cf. Ger 2,8; 18,18; Ez 7,26; 22,26; Amos 7,10-17; Os 4,6; Mic 3,11; Sof 3,4; Ml 2,6- 8). Anche nel Nuovo Testamento sappiamo che si dà risalto all'opposizione che fanno “i capi dei sacerdoti” all'insegnamento e alla prassi di Gesù, e a loro si attribuisce responsabilità nella condanna. Tuttavia troviamo nella Bibbia anche delle figure che met-tono insieme gesti tipicamente sacerdotali con quelli profetici: si potrebbe citare anzitutto Abramo sul Moria, Mosè sul Sinai, poi Samuele per es. nelle consacrazioni e nei sacrifici, Elia sul Carmelo, senza essere della “classe” sacerdotale (come poi si è costituita), esercitano l'uno e l'altro ruolo. Nella transizione dalla tradizione giudaica al tradizione cristiana, dobbiamo osservare che i Vangeli non parlano di sacerdozio né per Gesù né per i suoi discepoli. Tanti sono i titoli dati a Gesù, mai sacerdote. Il vero trattato di cristolo-gia sacerdotale è quello della lettera agli Ebrei: ma rappresenta un distacco dalla centralità del culto e del rito, per dare risalto a una prospettiva nuova: il “sacerdozio della Nuova Alleanza” - di cui Cristo è unico “sommo sacerdote” e unico mediatore - stabilita nel cuore, fondata nell'ultima Cena e aperta alla partecipazione di tutti i battezzati, come dice 1Pt 2,4-5. Cristo esercita la sua mediazione sacerdotale per mezzo del sacerdozio ministeriale, che è suo strumento (in persona Christi). Mentre tutti sono invitati all'offerta per-sonale (Rm 12,1s).
3. Una storia complicata: solo in tempi successivi si è visto emergere il modello sacerdotale sacrale (legato direttamente al culto) come un archetipo e schema dominante: su cui hanno influito usi e costumi sia ebraici/biblici che culturali (religioni). L'intreccio tra monachesimo e ministero ordinato ha conosciuto resistenze prolungate (Benedetto), tentativi di integrazione (Agosti-no), rese graduali e rivincite (Gregorio VII); e dai mendicanti in poi cammini paralleli, fino alla scelta paradigmatica del Vaticano II sul “presbitero in cura d'anime” (PO 1). Sulla base di un sacerdozio non come dignità personale e privilegio nel gesto eucaristico, ma come diaconia ecclesiale, basata sulla partecipazione ai tria munera, si sviluppano alcune specificità: missionarietà ampia, diaconia nella comunità (carità pastorale: PO 14), dedizione alla Chiesa locale. E il sacerdozio dei religiosi? È rimasto all'inizio nel limbo di una dualità alternativa poco chiara; oggi si sente l'esigenza di superare i dualismi paralleli, anche a motivo del grande sviluppo auto-nomo dell'identità sacerdotale diocesana; ma restano ancora da scoprire le caratteristiche distinzioni, senza negare le evidenti con-vergenze e identità. VC non vi ha dedicato che scarsa attenzione (cf. Sequela Christi, 2009/2).
III. Dai discorsi ai percorsi
1. I sacerdoti-religiosi conservano il “tasso profetico? Abbiamo visto all'inizio che i documenti del magistero, dal Vatica-no II in poi, mettono in risalto la natura e la funzione profetica del servizio sacerdotale – a beneficio della natura profetica di tutto il popolo di Dio – quale ruolo ha la dimensione profetica così tipica e peculiare della vita consacrata, nel modo di vivere ed esercitare dei sacerdoti religiosi? Negli ultimi tempi il “sacerdozio” diocesano ha fagocitato ogni altra modalità esistente, sia grazie alla ricon-siderazione del sacramento come sorgente della spiritualità specifica, sia per l'enfasi sulla chiesa locale o particolare. Nel contempo la parrocchia diocesana è diventata centro di numerosi servizi e di riti, ma anche svincolandosi da una gestione sacrale poco creativa, per iniziative che sanno di profezia. Inoltre i preti diocesani sono diventati più “missionari” (cf. i fidei donum); mentre contempora-neamente i religiosi sacerdoti hanno accettato di entrare nel sistema diocesano, il quale sta tessendo una ragnatela che tutto controlla e coordina. Ai carismi dei religiosi restano scarsi spazi, manovre difficili, dati gli onnicomprensivi programmi diocesani. La conse-guenza è l'isolamento dei sacerdoti religiosi a double face: come risorsa chiusa in se stessa, sbadata e dedita alla sua sopravvivenza; e poi se sono parroci come marginali alla propria comunità religiosa a motivo di ritmi e urgenze pastorali che gestiscono con autono-mia. Ma neppure sono “diocesani” nel cuore: solo di passaggio in quel compito, colorano la pastorale comune spesso con stravaganze improvvisate; potrebbero di punto in bianco finire in tutt'altro contesto e ambiente, senza alcun disagio. Allo sguardo dei sacerdoti “diocesani” oggi i sacerdoti religiosi appaiono nella pastorale parrocchiale “spaesati” e arruffoni, non aggiornati e non creativi; e in quella non parrocchiale liberi battitori, a volte geniali, altre volte defilati. Resta comunque una identità liquida, confusa e povera. Ep-pure il carisma della vita consacrata e quello del sacerdozio, uniti insieme dovrebbero fornire risorse originali spirituali e anche ec-clesiali.
2. Come ravvivare il carattere profetico: bisogna fare una riflessione nuova sulla differenza fra spiritualità propria dei sa-cerdoti diocesani e spiritualità che deriva dall'unione di due diversi carismi (sacerdozio e vita consacrata). La riflessione in questa prospettiva è ancora debole e confusa. Dove appare oggi il carattere di frontiera, di marginalità profetica, di centralità della Parola, di dialogo esploratore, di comunione come “realtà teologale”, di risposta evangelizzatrice di fronte alle nuove sfide, nelle migliaia di parrocchie che i religiosi hanno in mano in tutto il mondo? C'è il rischio che il modello tridentino del sacerdote si perpetui più fra i religiosi-sacerdoti che tra i preti diocesani. Basti pensare alla crisi dei “fratelli”: segnale di una clericalizzazione che non lascia loro spazio e identità. Per molti dei vescovi la vita consacrata è percepita e valorizzata dal punto di vista della gestione e manutenzione delle esigenze e delle urgenze territoriali, e non tanto dalla visuale di una Chiesa ricca di carismi da coordinare e di risorse profetiche da mettere in gioco. Se perfino Pastores Dabo Vobis insiste sull'aspetto profetico – come abbiamo visto all'inizio – in riferimento alla identità sacerdotale (diocesana), i sacerdoti religiosi dovrebbero sentirsi in questo più degli altri interpellati e invitati ad uscire al largo (come del resto ha indicato anche Ripartire da Cristo).
3. Già in passato un particolare bisogno nella Chiesa ha generato nuove figure sacerdotali: il missionario fra i pagani, il predicatore itinerante, lo studioso professore, l'educatore geniale, il direttore spirituale illuminato, il profeta di nuove forme di solida-rietà, il mistico dell'universalità, il poeta dei popoli umiliati, l'artista intuitivo di nuove libertà, ecc. Oggi quella “testimonianza pro-fetica di fronte alle grandi sfide” (VC 84-95) e in “alcuni areopaghi della missione” (VC 96- 103), che ci si aspetta dai religiosi in linea generale, riguarda anche la ministerialità sacerdotale dei religiosi: chiamati ad agire, come si dice, in persona Christi e in per-sona Ecclesiae, ma con una peculiarità che nessuna omologazione o inserzione funzionale può annullare, pena la sterilità e la inutilità della vocazione stessa. Non si tratta di riesumare la forza paradigmatica della santità vissuta dai religiosi, che per secoli è stata data come modello ai sacerdoti diocesani, che sentivano il loro ruolo più legato alla funzione che al sacramento. Oggi la teologia del sa-cramento e la ecclesiologia hanno dato sufficiente sostanza ad una spiritualità autonoma dei preti, anche se ci si deve sempre edifica-re a vicenda ed emulare sulla via della perfezione. Si tratta di esplorare gli orizzonti nuovi, le nuove sfide e le nuove urgenze, e non vivere a cespuglio. Così per fare un esempio nel campo del munus docendi, come immago Ecclesiale, verba Christi praedicans, pro salute mundi (Sinodo 1985), darei risalto a queste diaconie: una predicazione itinerante più che l'attività sacrale; il primato sulla Pa-rola più che sui sacramenti; la dislocazione alle frontiere sociali e culturali, più che la stabilità parrocchiale-territoriale; la forza profe-tica più che manutenzione senza fantasia del bisogno religioso; i nuovi areopaghi e le nuove sfide, più che la ripetitività sorniona; prediche ardenti e meno melassa buonista (come qualcuno dice di noi). Dove sono oggi i famosi frati predicatori itineranti?
4. E per fare delle esemplificazioni: fra i valori tipici da recuperare e da immettere sempre di nuovo con inventiva carisma-tica, citerei ancora: la capacità di vivere in trasparenza la conformazione a Cristo e al suo Vangelo; lo stile pastorale più centrato sulla relazione e il dialogo con le persone e meno sulla esecuzione dei programmi o sulle strutture; saper abitare la propria umanità con calore e vulnerabilità e da qui trarre ispirazione per la riscoperta della paternità spirituale e della fraternità solidale e la comunicazio-ne empatica e creatrice di comunione; saper santificare il tempo con disciplina e sapienza, in un contesto di tempo accelerato e fram-mentato in maniera parossistica. E ancora: c'è bisogno di testimoni e profeti di misericordia come terapia che tutti rigenera a speran-za e non come sanzione paternalista o punitiva (cf. i frati confessori); la promozione della giustizia in relazione anche con le nuove emergenze economiche, ecologiche, antropologiche, valorizzando il principio della gratuità e la logica del dono (Caritas in Veritate, 34ss); la libertà di giudizio e di valori in coerenza con il Vangelo e per costruire convivialità nella verità (cf. Francesco dal sultano); infine mostrare come passare dalla pratica dei modelli di appartenenza, alla esplorazione di nuovi modelli emergenti dalla prassi e da consolidare con fiducia e pazienza (cf. la rifondazione). E si potrebbe esemplificare ancora a lungo.
(fonte Terra Santa)
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