francescanesimo

Tesoro nascosto, la storia del beato Giovanni da Castrovillari

Antonio Tarallo
Pubblicato il 27-04-2022

Nella chiesa di San Francesco d’Assisi di Cosenza

I tesori francescani sono dovunque perché il santo d’Assisi è davvero presente in ogni dove. Oltre che nel cuore di tutti, basterebbe girare un po’ la penisola italiana per rendersene conto. Un legame, quello di San Francesco e l’Italia, indissolubile, vivamente presente e brillantemente costante: non c’è città, paese (piccolo o grande), infatti, che non abbia una chiesa intitolata al santo serafico. Sembra quasi un leitmotiv di una partitura francescana che il Creatore ha voluto comporre sul pentagramma dello stivale.

Cosenza e la Calabria, la punta dello stivale. Qui, non c’è solo un altro Francesco, quello di Paola, ma anche il Padre Serafico. E così, tra vicoletti dall’odore d’antico, sorge una chiesa e un convento, intitolati a San Francesco d’Assisi. È un viaggio nel tempo perché sempre davvero che Cronos si sia qui fermato. Sono molte le sorprese che questa chiesa riserva a chiunque entri, ma una - in particolare - non può non richiamare l’attenzione di ogni fedele. È il corpo di un beato francescano, un po’ dimenticato forse, che giace in una nicchia ricavata tra un angolo della navata laterale e l’ingresso della sagrestia. È il beato Giovanni da Castrovillari.

Giovanni nacque a Castrovillari intorno al 1480 da Anna e Francesco Cozza. All’età di quattordici anni, in seguito ad un voto fatto dai genitori al santo d’Assisi affinché guarisse da una grave infermità, indosserà l’abito dei frati minori osservanti per poi professare, al termine dell’anno di noviziato, la regola dell’ordine minorita. Col tempo divenne suddiacono e diacono ma, quando si prospettò per lui l’ordinazione sacerdotale, seguendo proprio le orme dell’Assisiate e del suo contemporaneo Francesco di Paola, non se ne sentì degno.

Un beato che ha seguito in maniera radicale le orme del fondatore dell’Ordine, Francesco. Giovanni, infatti digiunava a pane ed acqua mercoledì, venerdì e sabato, dormendo sulla nuda terra. Il beato aveva - tra l’altro - anche il dono della profezia tanto da riuscire a predire il giorno esatto della sua morte nonché il trasferimento della sua salma a Cosenza quattro anni dopo. Giovanni morì il 16 aprile del 1530 nel convento di San Lucido, vicino alla città di Paola.

E proprio riguardo la salma del santo, si racconta di un misterioso prodigio. L’allora Padre provinciale dell’Ordine Ludovico Sorrenti d’Amantea, pressato anche da un potente aristocratico cosentino affetto da una malattia grave, dispose che la salma di Giovanni fosse traslata presso la Chiesa di San Francesco d’Assisi a Cosenza. Ma il corpo divenne così conteso tra Cosenza e San Lucido. Ma, alla fine, “vinse” la città di Cosenza.

Perché? È in questo caso che “entra in gioco” il prodigio: in piena notte le campane di Cosenza suonarono perché il corpo del beato - misteriosamente - era giunto a Cosenza, nella chiesa di San Francesco. È ancora lì, riposa, ma veglia sulla città calabrese.

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