francescanesimo

Il Beato Antonio Lucci, padre dei poveri

Antonio Tarallo Web
Pubblicato il 25-07-2022

Era il 18 giugno del 1989 quando San Giovanni Paolo II beatificava - insieme a Madre Elisabetta Renzi - il frate conventuale Antonio Lucci, con queste parole: “Il Vescovo Antonio Lucci e suor Elisabetta Renzi si sono affidati alle promesse di Cristo. Nella loro fede essi hanno compreso che accogliere la Parola di Cristo significa affidarsi ad un annuncio profetico ed alla irresistibile forza della crescita del Regno di Dio nella carità. Nello stesso tempo essi hanno sperimentato che Dio li chiamava a condividere la missione di servire, di aprire le braccia ai fratelli nelle loro necessità, di prodigarsi per loro, di chinarsi verso le loro esigenze, per poter comunicar loro i frutti della salvezza quasi ripercorrendo la via di Cristo nella povertà, nelle difficoltà, nel passaggio attraverso la Croce ed il seppellimento nella terra, affinché di lì, dal nascondimento e dall’umiltà nascessero la pianta rigogliosa, la spiga gonfia di grano. Dio stesso avrebbe dato incremento al loro servizio conducendoli attraverso vie imprevedibili, proprio come avviene per il seme”.

Figura assai moderna, quella di Antonio Lucci: un’attenzione del tutto unica verso i poveri, nel solco della migliore tradizione francescana. Angelo Nicola Lucci nacque il 2 agosto 1682 ad Agnone. La vocazione fin da giovane: a soli quindici anni esprime il desiderio di entrare nell'Ordine dei Minori Conventuali; nel 1698, compie ad Isernia la professione dei voti assumendo il nome di Antonio. Nel 1705 assieme all’amico San Francesco, Antonio Fasani riceve l'ordinazione sacerdotale; e, nel 1709, diventa dottore in teologia conseguendo il titolo di “padre maestro”.

Attento all’educazione dei giovani, inizia a dedicarsi all’insegnamento nei ginnasi e nei collegi dell’Ordine: dapprima a Ravello, poi a Napoli, in due importanti collegi: il Collegio "Bonaiuto", e - successivamente - il prestigioso Collegio di San Lorenzo. Nel 1718 viene eletto ministro provinciale dell'Ordine nella provincia di Sant’Angelo, mantenendo l’incarico per appena un anno; nel 1719, poi, diviene reggente del Collegio di San Bonaventura presso la basilica dei SS. Apostoli a Roma.

Uomo di studio, amante dei libri e della sapienza delle lettere. Dirà, infatti: “Ringrazio Dio di avermi dato l'inclinazione allo studio. Altrimenti come avrei potuto fare? E cosa farei? E quante sciocchezze non avrei fatto? Sappiatelo, ho un pessimo carattere, e se non lo macerassi sui libri, non riuscirei a domarlo. Gli studi mi servono al posto delle discipline, dei digiuni e dei cilici”. Prova evidente di questo suo amore per le pagine dei libri: i dieci anni di reggenza del Collegio San Bonaventura li dedicò alla scrittura di trattati teologici, filosofici e storici per i suoi alunni.

Tanto studio che non rimase nascosto al pontefice Benedetto XIII che, oltre a chiamarlo ai sinodi Lateranense e Beneventano, nel dicembre del 1728 lo nomina Vescovo di Bovino, vicino Foggia. Verrà consacrato vescovo il 7 febbraio del 1729 nella basilica di San Pietro. Ai cardinali presenti alla solenne cerimonia il Papa dichiarò: “Ho scelto a vescovo di Bovino un profondo teologo e un gran santo”. Quando il francescano Lucci prese possesso della minuscola diocesi di Bovino, questa faceva parte del Regno di Napoli. Tra i fanciulli e gli adulti regnava l'ignoranza e la povertà, tra i baroni prosperava la rapacità e il sopruso; mentre la situazione del clero locale non era certo delle migliori: si trattava, infatti, di un clero non formato adeguatamente, interessato e mondano.

In un articolo apparso su “L’Osservatore Romano” - datato 18 giugno 1989 - a firma di Alfonso Pompei troviamo una sintesi della sua opera di pastore: "Come prima cosa occorreva affrontare le cause più profonde di tanto malessere: la carenza dell'istruzione popolare e di un seminario, i mancati contatti con il popolo mediante la continua residenza e le visite pastorali ormai omesse da 25 anni, le indebite ingerenze e pretese da parte di laici potenti, le opere di misericordia per alleviare l'esercito dei poveri. (...) Non c'era seminario a Bovino. Il clero, per la troppa ignoranza, era fatto oggetto di pubblico scherno. Perciò, appena giunto in diocesi, Mons. Lucci sentì il dovere di cominciare con l'apertura, a sue spese, di una pubblica scuola di grammatica di umanità. Avviò immediatamente regolari lezioni di filosofia, retorica, diritto civile e canonico e teologia morale per i propri chierici”.

L’intelletto al servizio della carità, questa - in sintesi - la biografia di Lucci: alla profonda dottrina del teologo e dell’insegnante, infatti, unì l’amore per i sacramenti, per la preghiera ma soprattutto per i poveri. Il suo alunno Ludovico Maria Sileo al processo per la beatificazione depose: "Più volte arrivò a spogliarsi degli abiti interiori per darli a' poveri in tempo d' inverno, tremando egli di freddo: ed in Roma dava ai poveri (credo colle dovute licenze) quanto si buscava colle sue letterarie fatiche”.

Un senso del prossimo, del bisognoso, alla scuola di San Francesco d’Assisi, tanto che il cappuccino Gennaro da Crispano raccontava: “Vestiva i nudi, e dalla mattina fino alla sera continuamente dispensava limosine alli poveri, dandoli grano, danari, letti, biancarie fino a spogliarsi delle proprie vesti, ed anche della camicia, dandole con tutta prontezza a suoi poveri. E su tal particolare mi ricordo, che una volta diede ad un povero della città di Troja li propri suoi calzoni, che s'aveva levato da dosso […] ed era tanta questa sua carità, che siccome quando aveva danari per darli a poveri stava tutto allegro, e brillante; così al contrario era tutto afflitto e mesto quando non ne aveva, e la sua mestizia chiaramente si leggeva nel suo volto, e perciò in questo caso non potendo frenare l'ardente voglia, che avea, non incontrava difficoltà di mandarli a cercare ad impronto or'ad uno, or dall'altro cittadino”.

Il Beato Antonio Lucci, francescano: un volto da scoprire e riscoprire.

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