francescanesimo

Francesco strumento di pace

Antonio Tarallo Pixabay
Pubblicato il 25-02-2022

Si spenga il fuoco della guerra 

Fa di me uno strumento della Tua pace”, così recita la famosa preghiera attribuita a Francesco d’Assisi. Una preghiera che conosciamo tutti e che - in questo delicatissimo momento storico - suona come un appello per tutti noi, un invito e una speranza che il fuoco della guerra possa spegnersi, così come è iniziato. La guerra, parola nefasta, da sempre. Già nella sua etimologia c’è tutto: dal germanico werra che significa “mischia”. E la “mischia” subito fa pensare a qualcosa - certamente - non di bello, anche i latini usavano la parola “bellum” per dire “guerra”. Ma di bello non c’è proprio nulla.

E Francesco d’Assisi lo sapeva bene perché aveva vissuto la guerra in prima persona. Era stato lui stesso, nella sua prima giovinezza, un uomo d’armi, un uomo che nella guerra vedeva addirittura un sogno da realizzare: esser cavaliere con la spada in mano, vibrante in aria, scagliata contro i nemici. Voleva conquistarsi un titolo nobiliare e la guerra gli appariva come la via più breve per raggiungere lo scopo.

Tutto infervorato partecipa alla guerra tra la ghibellina Assisi e la guelfa città di Perugia. Partecipa alla battaglia di Collestrada. Lame e corazze, fuoco e fiamme, morte e distruzione segnano gli anni di giovinezza di Francesco. In quella battaglia uccise qualcuno Francesco d’Assisi? Non lo sappiamo perché nessun documento può attestare ciò. Quello che sappiamo di sicuro è che Francesco in quella occasione conosce bene cosa vuol dire la parola “guerra”. Lo immaginiamo fiero sul suo cavallo, intento a combattere, intento a “far guerra”, appunto. E lui ama tutto questo. Oggi si direbbe “la guerra gli dà alla testa”. Ma proprio in quell’occasione viene catturato e così conosce l’altra faccia della medaglia: non si può esser sempre vincitori in battaglia.

Verrà liberato solo dopo un anno, dietro riscatto, pagato dal padre Pietro. Francesco e la guerra: sappiamo anche che nel 1203 Francesco tentò di partecipare alla Quarta Crociata, altra guerra, addirittura santa questa volta. Una guerra non può essere mai santa. Ma giunto, a Spoleto si ammalò e tornò indietro. Torna indietro non solo fisicamente, però, perché avverrà quella che tutti noi conosciamo come la sua conversione che determinerà un altro Francesco: ripone la spada nel fodero, così come insegna Cristo nel Vangelo di Matteo. “Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada” e San Francesco ubbidisce.

Francesco diverrà “lo strumento della Pace” in ogni luogo. Così come nella sua Assisi, anche oltre il confine del mare. L’episodio dell’incontro con il Sultano è una testimonianza importante di tutto questo. Solo il dialogo può far cessare ogni incomprensione, ogni avidità del cuore e ogni discordia. Ogni guerra.

Una volta il vescovo di Assisi, Guido I, pronunciò queste parole a Francesco: “La vostra vita mi sembra dura e aspra, poiché non possedete nulla a questo mondo”. Rispose il santo: “Messere, se avessimo dei beni, dovremmo disporre anche di armi per difenderci. È dalla ricchezza che provengono questioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dio quanto l’amore del prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun bene materiale a questo mondo”.

La pace di Francesco non si basava su un accordo politico, su nulla di “esteriore” potremmo dire. La pace di Francesco si basava su qualcosa di più profondo: sulla conversione interiore, nel riconoscere i propri torti, e aprirsi verso il prossimo. Quando il santo venne a sapere di un grave dissidio fra il vescovo e il podestà aggiunse una strofa al famoso Cantico di frate Sole: “Laudato si, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore e sostengono infirmitate e tribulatione. Beati quelli kel’l sosterrano en pace, ka da te, Altissimo, saranno coronati”. Chiese al vescovo e al podestà e ai cittadini di radunarsi nello spiazzo interno del chiostro del palazzo episcopale e vi mandò i suoi frati a cantare il Cantico, completato dalla nuova strofa del perdono. Il vescovo, poi, riconobbe pubblicamente le sue mancanze, e chiese perdono. I due si abbracciarono in segno di pace.

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