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Cacciari: San Francesco, tradotto e tradito da Dante e Giotto

Redazione online
Pubblicato il 09-10-2019

Massimo Cacciari, filosofo, autore del saggio "Doppio ritratto". San Francesco in Dante e Giotto (Adelphi, 86 pagine, 7 euro), parla oggi del suo libro all'Auditorium Parco della Musica, in Sala Petrassi alle 19, nell'ambito di Libri come. Festa del libro e della lettura. Doppio ritratto è il confronto tra due visioni opposte di Francesco d'Assisi, l'uomo che sposando Madonna Povertà si è candidato con forza eversiva alla possibilità di cambiare il mondo.

Se gli si chiede del Francesco - che va di moda -, tirato in ballo più o meno a proposito in tempi di incitamento alla decrescita, Cacciari s'impenna. Con la grande figura dell'Assisano, che rifiuta banalizzazioni, dialoga da tempo: Francesco è assolutamente centrale nella formazione della coscienza europea.

In questo senso, di moda, lo è sempre stato. Ricorda, il professore, Paul Sabatier e il suo libro sulla vita del Santo, uno studio che, scritto oltre un secolo fa, continua ad essere imprescindibile punto di riferimento: Segnò la rinascita degli studi francescani nel mondo. Ricorda il lavoro di Henry Thode (San Francesco d'Assisi e gli inizi dell'arte del Rinascimento in Italia, 1885, n.d.r.), che vede in Francesco il primo individuo capace di affermarsi come tale, una forza non solo religiosa bensì preparatrice della civiltà moderna tout court.

Nè dimentica, tra coloro che si sono confrontati con la straordinaria testimonianza del figlio di Pietro di Bernardone e di madonna Pica, Chiara Frugoni. Nel suo Doppio ritratto, Cacciari legge però Francesco in modo inedito, lo racconta percorrendo strade che non si incontrano, quelle tracciate da due illustri fiorentini nati quarant'anni dopo la morte del Santo, avvenuta nel 1226: Giotto di Bondone e Dante Alighieri, i maggiori fabbri, in campi diversi, del volgare europeo, del parlar nostro.

Quasi coetanei (Giotto è nato due anni dopo Dante) hanno entrambi, dice, tradotto e tradito Francesco; attingendo alla stessa letteratura francescana, sono approdati a rappresentazioni del tutto dissimili.


Quale il Francesco di Giotto e quale quello di Dante?
Giotto rappresenta Francesco prima negli affreschi della Basilica Superiore di Assisi, rifacendosi alla Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio (si tratta della biografia ufficiale di Francesco commissionata a Bonaventura dal Capitolo dell'Ordine, riunito a Narbona nel 1260, n.d.r.) e quindi a Firenze, nella Cappella Bardi in Santa Croce, una ventina d'anni più tardi.

Dante colloca Francesco nel Paradiso, nel Cielo degli spiriti sapienti, e poi ne affida l'esaltazione a san Bernardo, che cita lui e non Tommaso, al quale pure è dedicato un Canto. Giotto e Dante. Ci rimandano due potentissime immagini di Francesco. Nessuna delle due immediata.


Vale a dire?
Quella giottesca sembra più ingenua e fresca, in realtà è una precisa operazione politica. Nel ciclo della Basilica superiore di Assisi, dall'opera di Giotto mancano alcuni episodi fondamentali della vita di Francesco. Manca l'incontro con i lebbrosi. Manca il dono delle stigmate, che nella Legenda di Bonaventura è una scena violentissima, i chiodi rimangono infissi nelle carni di Francesco ed è palpabile la sua sofferenza, completamente cancellata da Giotto. Anche la scena del mantello dato al povero è edulcorata, sembra uno scambio tra eleganti cavalieri. L'episodio della morte non ci mostra Francesco nudo sulla nuda terra, nè tale appare quando Chiara, che esce da una splendida chiesa gotica con le sue compagne, ne saluta il corpo.

In sintesi, una rappresentazione omogenea con le esigenze degli affreschi della basilica di Assisi, voluti dal primo Papa francescano (Niccolò IV, n.d.r.): Francesco è in perfetta armonia con la Chiesa e si inchina ad essa. In Dante, l'esatto opposto.


In Dante, Francesco è davvero l'alter Christus di cui parla la Legenda maior.
In Dante, Francesco non si prostra, sottopone regalmente al Papa la sua Regola; predica in prima persona al Soldan superbo, non fa miracula come nel ciclo di Assisi.

In Dante, Francesco vive povero e muore nudo sulla nuda terra, incarnazione di renovatio, vero profeta, più del Domenico fondatore dell'Ordine che privilegia il sapere. In Dante, Francesco è il primo, l'Oriente, il Sole. Nei Canti del Sole viene esaltato alla pari con Domenico perchè il poeta sottolinea sia il ruolo scardinante della povertà francescana, sia l'importanza della sapienza domenicana. Ma poi Tommaso d'Aquino dovrà riconoscere il primato di Francesco.


Doppio ritratto, appunto...
Giotto ci consegna un Francesco che è tutt'uno con la Chiesa; Dante un uomo roccioso, regale, la cui povertà nulla ha a che fare con la mancanza di beni e con l'attesa di ottenerli.

La povertà di Francesco è pienezza, libertà, apertura all'altro, capacità di svuotarsi del sè per diventare l'altro. Una visione che non contempla la bontà, bensì la decisione radicale, l'abbandono di ogni amor sui per rimanere perfettamente nudi. Una via impervia che implica rinuncia e dolore, ma rende liberi da ogni bene mondano, da ogni impedimentum. Chi sia Francesco se lo chiedono ancora in molti. E molte continuano ad essere le risposte. Cacciari ha scritto, in un contributo a un sito di spiritualità francescana: Francesco è un segno incompiuto; un segno escatologico destinato forse a rimanere eterno futuro. Meditare sulla sua figura non può significare oggi che diventarne responsabili, ciò comprendere quanto colpevoli siamo, quanto colpevole è il nostro mondo, nel non essere in nulla riuscito a corrisponderle.(Il Messaggero)

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