fede

San Giuseppe da Copertino, i frati si riconoscono in lui

fra Guglielmo Spirito
Pubblicato il 30-11--0001

A Greccio, secondo le antiche biografie poi tradotte in affreschi da Giotto, il pater Franciscus ‘divenne’ Giuseppe − nell’ audace espressione di Paul Payan −, portando il Bambino in braccio, nella notte di Natale del 1223.

Sembra quasi che il frate minore, dopo e dietro di lui, ritroverà spesso se stesso nel ruolo, umile, povero e prezioso, di Giuseppe: ministro, servo e custode di un Mistero che è al centro, l’Emanuele nato da Maria.



Così, i frati ben presto si specchiano in Giuseppe: per sant’Antonio di Padova è simbolo di povertà (come Maria lo è di umiltà); san Bonaventura lo sceglie ripetutamente come esempio in diversi sermoni, anche per "i dottori e predicatori che cercano Cristo nelle Scritture" (dettaglio notevole dato lo sviluppo dei francescani, proprio sotto la guida di Bonaventura, verso un Ordine ‘dotto’ come quello dei domenicani).

Il beato Duns Scoto, sorprendentemente, perfino applica a Giuseppe e al suo matrimonio i parametri giuridici di dominium et usus che preoccupavano l’Ordine riguardo alla legittimità della loro vista religiosa ed il difficile rapporto tra i beni e la povertà professata, acuitosi dopo la bolla Exiit qui seminat del 1279.

Vediamo così fino a quale punto Giuseppe è coinvolto con le preoccupazione dell’Ordine già nel XIII secolo.



I frati si riconoscono in Giuseppe
: come lui, loro sono ‘custodi’ e’guardiani’ di chi è loro affidato; come lui cercano di essere umili e obbedienti, poveri e casti; come lui vogliono rimanere ‘minori’, al servizio di un Mistero che li sovrasta e per il quale scelgono di spendere le loro vite, nella ricerca dell’intimità con Gesù e Maria.

Non ci sono dubbi: i francescani hanno fatto, lungo i secoli, la loro bella parte nello sviluppo e nella diffusione − attraverso la riflessione teologica e la predicazione −, della presenza di san Giuseppe nella Chiesa. Così testimoniano, tra l’altro, alcuni degli studi che riguardano i frati fino al XVIII secolo.



Il Papa francescano Sisto IV (1471-1484) ha aggiunto la festa di san Giuseppe alla liturgia romana nel 1476. Nel 1480 permise ai frati dell’Osservanza italiana di celebrare la festa come duplex maior che in quel tempo era il grado delle feste di Epifania, Annunciazione e Pasqua.

Per quanto riguarda il Patrocinio, sebbene sia decisivo l’operato dei francescani - Scalzi e Recolletti - per la scelta del Patrono della Nuova Spagna – Messico − (1555), e della Nuova Francia – Canada − (1624), e anche se si possa riconoscere come particolarmente feconda la scelta del Patrono della Custodia Scalza da parte di san Pietro d’Alcantara (nello stesso anno 1555), non sembra che la storia successiva abbia attirato un attenzione analoga.

Tanto che è un dato disatteso, addirittura ‘invisibile’ (quindi, in pratica irrilevante?) il fatto che san Giuseppe sia Patronus dell’Ordine.

Il ‘700 è un secolo di grande fervore giuseppino, anche in ambito francescano. Basti pensare, ad esempio, alla predicazione italiana di san Leonardo da Porto Maurizio (+ 1751) e alle missioni californiane di san Junipero Serra (+1784), entrambi francescani Riformati.

L'altro san Giuseppe

Questo fervore è stato accolto e tramandato dal secolo precedente, il '600, dove risalta la personalità eccezionale del nostro san Giuseppe da Copertino (+1663).

Dal battesimo, porta il nome del santo sposo di Maria, e conserverà un rapporto di familiarità e di fiducia con il suo Patrono. Per il Copertinese, le quaresime si moltiplicano: oltre quelle di Pasqua e di Natale, e di quella chiamata "benedetta" dalla tradizione francescana - dall'Epifania in poi-, lui aggiungeva altre, come quella in onore di san Michele e un altra in onore di san Giuseppe.

Alcune devote si erano accomodate alla Grottella su la predella dell'altare di san Giuseppe. Volevano sentire da lui qualcosa "intorno alle lodi del glorioso san Giuseppe". Fra Giuseppe alzò gli occhi verso il quadro del santo di cui portava il nome, fissò il Bambino protetto da quelle braccia e disse sospirando: "col santo vecchio, trovò bene la sua ventura!". Infatti, lo chiamava familiarmente ed affettuosamente vecchierello, forse abituato alle rappresentazioni artistiche che traghettavano gli influssi dei vangeli apocrifi e che ancora lo rappresentavano canuto (proprio nel'600, grazie ai grandi pittori spagnoli come Murillo, El Greco e Zurbaran, Giuseppe felicemente ringiovanirà). Con un moto istantaneo, passando sopra le teste di quelle signore, fra Giuseppe andò a posarsi con le ginocchia sopra il bordo dell'altare. Con le braccia aperte e gli occhi lacrimosi, vi rimase estatico fin tanto che il superiore non lo destò "in virtù di santa obbedienza".



Giulia Strafella, sposa di Angelo Imbeni, racconta che, essendo suo marito gravemente malato, venne fra Giuseppe a trovargli e le disse: "che santo hai devoto?". Lei rispose: "la Beata Vergine, Nostro Signore e San Giuseppe".  E lui: "Non dubitare, che tuo marito guarirà per fede vostra".  E così avvenne.

Fra Giuseppe aveva modi tutti suoi per correggere. "Guarda questa figurina !" -disse una volta a Giovanni Batista Pascolini, giovane di natura bollente e ribelle.  Era un immagine della sacra Famiglia disegnata su carta pecora, dove si vedeva san Giuseppe che lavorava il legno, la Madonna che filava, aiutata dal piccolo Gesù. "Guarda Gesù Cristo che fa obbedienza del padre e della madre. Così fa anche tu l'obbedienza del padre e della madre". Mise il punto all'ammonizione con un urlo improvviso. Era seduto, ma Pascolini lo vide improvvisamente inginocchiato su la predella dell'altarino.



Fin dall'inizio dell'Avvento accomodava l'oratorio in forma di presepio, con la Madonna e san Giuseppe, il Bambino fra il bue e l'asinello. Con la sua zampogna di canne, "cantava diverse canzoni in compagnia dei religiosi del convento, che ogni sera invitava alla devozione; e cantava con tutto il fervore, cha dagli occhi e dalla bocca pareva buttasse fiamme. E questo esercizio  durava ordinariamente fin tutta l'ottava dell'Epifania". E cantava: "Chi vuol vedere Giesù questo Natale, / una buona preparazione bisogna fare. / Chi farà questo, troverà la via, / il presepio, Giuseppe e Maria; / chi farà questo con purità di cuore / vive contento e poi felice muore".

Le settimane erano legate da lunghe meditazioni, in cui la forza di immaginazione prestava materia a devoti sentimenti. Le peripezie del lungo viaggio fino a Betlemme, la vendita del bue per pagare il tributo ed altri apocrifi ma devoti particolari, prendevano vita: "impara tu, anima mia, ad essere pronta all'obbedienza, come fa Giuseppe e Maria, senza investigare la causa perché il Superiore ti comanda". L'affannosa ricerca di un alloggio e la decisione di fermarsi in una grotta, lo ispiravano: "dal che impara, anima mia, che dentro il mondo non vi è luogo per servire a Dio con tutto il cuore, onde devi seguire l'esempio di Maria e Giuseppe, partirti dai passatempi del mondo e andare nelli luoghi solitari per stare con la mente sollevata e unita a Dio".



Per la Visitazione si preparava con cura perché -diceva- "era la festa particolare del convento della Grottella".  Includeva san Giuseppe tra i protagonisti del mistero, e salutava anche lui cantando: "E tu, Giuseppe vecchierello; / che presente vi stavate / deh per me Giesù pregate, / pregate per me Giesù / che non l'offenda più".

Un 19 marzo, festività di san Giuseppe, le estasi furono così lunghe da donare un pacifico sonno a fra Ludovico, stanco di tenere la torcia in mano. Pensava all'inestimabile favore per un cristiano di toccare il Signore e di riceverlo nella Comunione, cosa quest'ultima alla quale non era arrivato san Giuseppe: "se tutti ci pensassero, stimerebbero assai più questo favore", diceva.

Riteneva il patriarca san Giuseppe uno dei possenti "protettori nostri", assieme a san Francesco e alla "suprema protettrice la gran Madre di Pietà e Misericordia Maria Sempre Vergine Signora Nostra".

A una sua corrispondente la invita a pensare "li gran travagli et scomodi delli viaggi della Madonna con San Giuseppe", e ancora la ringrazia "per quella unione e carità che ha verso la Beatissima Vergine con San Giuseppe col bambino Giesù...".

Raccontò di aver visto in contemplazione San Bonaventura. "Mi mostrò, per imparare ad obbedire e a sopportare i patimenti che Dio ci manda per mezzo dei Superiori per motivo di umiltà, che la Beatissima Vergine e San Giuseppe andavano preparando le cose loro per il viaggio di Betlem, poveri e umili, conducendo seco un asinello e un bue. L'asinello significa la superbia e il bue l'umiltà".



All'avvicinarsi del Natale del 1653, particolarmente la veglia, faceva fatica a parlare, affaticato come se avesse condiviso le fatiche di Giuseppe per trovare alloggio."Padre Giuseppe, come ve la passate?" -chiedeva padre Michelangelo. "Lo vecchio! lo vecchio!" - rispondeva preoccupato. E l'altro di rincalzo: "Oh povera madre di Dio, che non trova che l'alberghi!". Questo colmava la misura, portandolo all'estasi, dal quale rinvenne solo dopo mezz'ora.

Ad Osimo, aveva un minuscolo altarino con un quadro della Vergine con Gesù in braccio, san Giuseppe e san Giovanni Battista ai lati.

Durante l'agonia, dal cielo muoveva già il corteo dei suoi santi per accoglierlo: san Francesco "lo lampadaro", sant'Antonio "lo spagnoletto", san Giuseppe "il vecchioavventurato", e infine i cori angelici che precedevano la "Mamma sua" e "lo Pecoriello".

Finalmente i due Giuseppe si incontravano faccia a faccia, per non separarsi più...

Il nostro Copertinese, col suo esempio probabilmente influì nei suoi confratelli dopo di lui. Infatti, sembra aver tramandato loro anche la devozione e fiducia nel suo santo Patrono, come un umile seme che, diventato pianta, non smette di suscitare frutti e vita.

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