fede

Opere di misericordia: seppellire i morti

Antonio Tarallo Marco Dormino - UNICEF
Pubblicato il 24-03-2023

Un atto d’amore per il corpo del defunto

Quaresima, periodo di meditazione, ma non solo. Chiaro, infatti, è anche l’invito all’azione: rivedere la propria vita alla luce del Vangelo e cercare di approfondire la nostra relazione con Dio. L’invito da parte della Chiesa di soffermarsi sulle “Opere di misericordia” nel periodo quaresimale è un invito sempre attuale. “San Francesco patrono d’Italia” vuole ripercorrere con i lettori proprio queste “opere” alla luce del mondo contemporaneo cercando di rispondere alla domanda: come possiamo viverle nel nostro oggi?

“All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne/ confortate di pianto è forse il sonno/ della morte men duro?/ Ove più il sole/ per me alla terra non fecondi questa/ bella d’erbe famiglia e d’animali,/ e quando vaghe di lusinghe innanzi/ a me non danzeran l’ore future”, questo l’incipit di una delle poesie più famose di Ugo Foscolo, “Dei sepolcri”, componimento poetico con il quale un po’ tutti gli studenti, di tutte le generazioni, si sono confrontati. Il componimento nasceva a seguito di una conversazione avuta con il poeta Ippolito Pindemonte: il tema di dibattito tra i due era proprio quello della sepoltura dei morti. Il Pindemonte all’epoca - siamo nel 1806 quando Foscolo scrive questi versi - era intento nella scrittura del suo poema “I cimiteri”: una strenua difesa affettiva-religiosa dell’istituzione delle sepolture che era stata messa a dura prova dallo storico editto di Saint Cloud (1804) che imponeva che le tumulazioni avvenissero fuori dal centro abitato e soprattutto che le lapidi dei “cittadini” fossero tutte identiche. Tale provvedimento napoleonico aveva dato avvio ad accesi dibattiti tra gli intellettuali del tempo.

Un dibattito che ci fornisce, in una certa misura, la possibilità di riflettere anche noi sul senso della sepoltura. Ultima delle opere di misericordia corporali è il “seppellire i morti”. Le prime sei erano contenute nel XXV capitolo del Vangelo di Matteo. Il seppellire i morti è da considerarsi un atto della pietà cristiana aggiunto dalla tradizione della Chiesa come ultima delle “Opere di misericordia”: un atto d’amore per il corpo del defunto. Tutta la Sacra Scrittura dedica molta attenzione al seppellimento e alla tomba, a cominciare dalla sepoltura di Sara a Ebron nella grotta di Macpela, all’interno della proprietà venduta dagli hittiti ad Abramo. E tanti altri sarebbero gli episodi, i personaggi da annoverare. Da ricordare inoltre - dato di grande rilevanza - che Gesù stesso è stato seppellito dentro un sepolcro: “Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati”, così l’evangelista Luca.

Il mondo di oggi, lo sappiamo bene, si trova di fronte a sciagure umanitarie che pongono la questione: dove e come seppellire i morti di queste immani tragedie? Un nome fra tutti, Cutro. Quello più recente. Ma bisogna ricordare che il 3 ottobre del 2013, in un naufragio al largo delle coste di Lampedusa, persero la vita 368 migranti. La metà di loro furono riconosciuti dalle famiglie; un centinaio rimase senza identità a lungo fino a quando grazie al lavoro di medici legali circa la metà fu identificata e restituita alle famiglie. Gli altri corpi recuperati ebbero solo un numero sulla bara; i corpi sepolti in diversi cimiteri della Sicilia senza che i parenti potessero mai riconoscerli: volti ed esistenze senza un nome, senza identità. Ma i “senza nome” non riguardano solo questi luoghi sui quali i media pongono i riflettori. Esistono luoghi ed episodi che non sempre fanno “prima pagina”. Basterebbe pensare alle tante sepolture comuni in Africa. Solo un dato, come esempio: i caschi blu della missione delle Nazione Unite nella Repubblica democratica del Congo, lo scorso gennaio, hanno annunciato il ritrovamento di 49 corpi in due fosse comuni nella provincia orientale dell’Ituri e più precisamente nel villaggio di Nyamamba e di Mbogi. Dei luoghi, ci sono i nomi. Di quei volti no.

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