fede

Le parole da Paolo VI a Papa Francesco sul Perdono di Assisi

Antonio Tarallo ANSA-ANGELO CARCONI
Pubblicato il 02-08-2020

Le parole dei pontefici sul perdono

Papa Onororio III, il primo pontefice che si trovò davanti a questa nuova festa, del tutto particolare. Fu lui a concedere a San Francesco l'indulgenza richiesta. Annus Domini 1216, papa Onorio III la concede a tutti i fedeli, su richiesta dello stesso santo di Assisi. Il cosiddetto “Diploma di Teobaldo”, talora indicato anche con il nome di "Canone teobaldino", è il principale documento storico relativo alla concessione di questa indulgenza. Il documento fu redatto dal frate minore e vescovo di Assisi Teobaldo (donde il nome) ed emanato dalla curia vescovile assisiate il 10 agosto 1310. Il conclave, si era tenuto proprio vicino ad Assisi, a Perugia e Francesco - dopo il leggendario sogno dell'indulgenza della Porziuncola -  corre dal pontefice (da poco eletto) Onorio III. Dunque, il primo nome della Santa Sede che ha a che fare con questa nuova festa è proprio Onorio III, il 117esimo successore di Pietro.

Certamente, fare una sintesi di tutti i pontefici che descriveranno il “dono” di San Francesco è impresa alquanto ardua. Allora, non possiamo che limitarci agli ultimi del secolo scorso. Per esempio, papa Montini, Paolo VI, così descrive “Il Perdono di Assisi”. Attingiamo dall’ “Epistola di sua santità Paolo VI al reverendo padre Costantino Koser, vicario generale dell’Ordine dei Frati minori, nel volgere del 750° anno dalla indulgenza della Porziuncola, concessa a san Francesco da papa Onorio III”: “Quella meravigliosa carità, per la quale (san Francesco) fu spinto a chiedere l’indulgenza della Porziuncola per tutti i fedeli (è) nata dal desiderio di condividere con altri la dolcezza d’animo, di cui egli stesso aveva fatto esperienza dopo aver chiesto perdono a Dio dei peccati commessi. (…) Accusandoci dunque dei nostri misfatti davanti alla Chiesa, alla quale Gesù Cristo ha consegnato le chiavi del regno dei cieli, riceviamo la remissione della colpa e la pena; tuttavia non deve essere ritardato a ragione di ciò il percorso con cui ritorniamo a Dio. L’indulgenza, che è elargita dalla Chiesa ai penitenti, è la manifestazione di quella mirabile comunione dei santi, che nell’unico vincolo della carità di Cristo unisce la beatissima Vergine Maria e l’insieme dei fedeli trionfanti nei cieli o in attesa nel purgatorio o in cammino sulla terra. E infatti con l’indulgenza, che viene data per autorità della Chiesa, viene diminuita o certamente abolita la pena, a causa della quale l’uomo viene in certo modo ostacolato nell’ottenere una più stretta congiunzione con Dio; per la qual cosa il fedele oggi penitente trova aiuto in questa speciale forma di carità, per spogliarsi dell’uomo vecchio e rivestirsi del nuovo, che viene rinnovato nel riconoscimento secondo l’immagine di Colui che lo ha creato”. Montini definisce un gesto di “carità”, il perdono: infatti non può che definirsi gesto d’amore, di un Amore i cui orizzonti è difficile scorgere.

“Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Così scriveva Giovanni Paolo II nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2002. E fa riferimento al perdono come punto cardine per vivere nella giustizia e dunque nella pace. Uno dei pontefici che più volte si è soffermato sul significato di “perdono” è proprio Giovanni Paolo II. Potremmo considerare Karol Wojtyla il pontefice del perdono. Basterebbe rileggere il suo pontificato per rendersene conto: momenti storici entrati nella Storia della Chiesa, come la richiesta di perdono agli Ortodossi, per lo sterminio di Costantinopoli ai tempi delle crociate; ad Auschwitz per i crimini contro l'umanità;              a Dublino, per gli abusi sui minori da parte di religiosi. Inoltre dobbiamo ricordare che fu proprio Giovanni Paolo II a istituire la “Festa della Divina Misericordia”: il perdono di Dio non ha confini. E la Porziuncola, San Francesco ce lo insegnano. “Celebrate il Signore perché è buono eterna è la sua misericordia”. Le parole del salmo 105 sembrano davvero aver costituito l’intero magistero del pontefice polacco: parole di perdono che recano speranza. 

 

 

Benedetto XVI al “perdono” e - nella fattispecie - proprio al “Perdono di Assisi” dedicherà addirittura un libro, “Il Perdono di Assisi” (Ed. La Porziuncola, 2005) Quando lo scrive Benedetto XVI era cardinale, il cardinal Joseph Ratzinger. “Nei ricordi della mia giovinezza il giorno del Perdono di Assisi è rimasto come un giorno di grande interiorità. Nella piazza antistante la nostra chiesa parrocchiale regnava un silenzio particolarmente solenne. Si sentiva che il cristianesimo è grazia e che questa si dischiude nella preghiera”. Queste le parole-ricordo di Ratzinger sulla festa. Ma andiamo al “cuore” del libro: “Chiedere l’indulgenza significa entrare in questa comunione di beni spirituali e mettersi a propria volta a sua disposizione. La svolta nell’idea di penitenza, che ha avuto inizio alla Porziuncola, ha conseguentemente portato a questo punto: anche spiritualmente nessuno vive per se stesso. E solo allora la preoccupazione per la salvezza della propria anima si libera dall’ansia e dall’egoismo, proprio perché diventa preoccupazione per la salvezza degli altri. Così la Porziuncola e l’indulgenza che da lì ha avuto origine diventa un compito, un invito a mettere la salvezza degli altri al di sopra della mia e, proprio in questo modo, a trovare anche me stesso. Si tratta di non chiedere più: sarò salvato? ma: che cosa vuole Dio da me perché altri siano salvati? L’indulgenza rinvia alla comunione dei santi, al mistero della sostituzione vicaria, alla preghiera come via per diventare una cosa sola con Cristo e con il suo volere. Egli ci invita a partecipare alla tessitura dell’abito bianco della nuova umanità, che proprio nella sua semplicità è la vera bellezza. L’indulgenza in fondo è un po’ come la chiesa della Porziuncola: come bisogna percorrere gli spazi piuttosto freddi ed estranei del grande edificio per trovare al suo centro l’umile chiesetta che tocca il nostro cuore, così occorre attraversare il complesso intreccio della storia e delle idee teologiche per giungere a ciò che è davvero semplice: alla preghiera, con cui ci lasciamo cadere nella comunione dei santi, per cooperare con essi alla vittoria del bene sull’apparente onnipotenza del male, sapendo che alla fine tutto è grazia”.

“Cosa poteva chiedere di più bello il Poverello di Assisi, se non il dono della salvezza, della vita eterna con Dio e della gioia senza fine, che Gesù ci ha acquistato con la sua morte e risurrezione?”, si domandò Papa Francesco in visita ad Assisi per celebrare l'ottavo centenario dell'istituzione della festa del “Perdono” (2016). E, in merito alle parole pronunciate dal Santo davanti al vescovo e al popolo, dirà: “Il paradiso, d’altronde, che cos’è se non quel mistero di amore che ci lega per sempre a Dio per contemplarlo senza fine?”. E poi, continuava:“La Chiesa da sempre professa questa fede quando dice di credere nella comunione dei santi. (...) Non siamo mai soli nel vivere la fede”.              Non siamo soli, anche perchè oggi sentiamo San Francesco ancora più vicino.

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