fede

Card. Czerny ad Assisi: Cambiare il Cuore

Card. Michael Czerny Andrea Cova
Pubblicato il 23-04-2022

Seconda Meditazione, Basilica San Francesco

Fratelli tutti 77-79, Luca 10,30-37

Alcune delle parole che Gesù ha pronunciato non ci stanchiamo di ascoltarle tante volte nella vita. Non ci basta ascoltarle una volta sola, ma viviamo sempre un’esperienza di stupore interiore quando ci raggiungono, perché esse continuano a raccontarci la bellezza della storia d’amore di Dio con noi, che chiamiamo “storia della salvezza”. È in questo modo che siamo toccati dalla parabola del buon samaritano; essa, in fondo, ci narra l’incontro tra la nostra storia ferita e l’amore viscerale e compassionevole di Dio, che si prende cura di noi.
Da questa splendida pagina del Vangelo di Luca riceviamo anzitutto l’invito ad accogliere, nella nostra vita, la tenerezza con cui Dio si vuole prendere cura della nostra umanità. Siamo chiamati a scoprire che, anche quando la vita ci costringe a restare ai margini, feriti e sconfitti come quest’uomo del Vangelo, non siamo soli: Dio ci viene a cercare, si ferma presso di noi, si prende cura di noi.

Egli infatti ascolta il grido dell’umanità e non rimane indifferente alle lacrime versate dalle sue creature e al gemito di sofferenza che dalla Terra si leva verso il Cielo, ma scende in mezzo a noi per guarirci e liberarci. Lo aveva annunciato a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo... sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto» (Es 3,7). Ora, questo “discendere” di Dio continua e si realizza pienamente in Gesù: in Lui vediamo il Dio che non ha considerato un privilegio la sua divinità (Cfr Fil 2,6-7), ma si è abbassato verso di noi e per noi.

Si è abbassato: mentre quell’uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico incappando nei briganti che lo hanno percosso e lasciato ferito, quasi morto, ai bordi della strada, Gesù scende sulla stessa strada come viandante dell’amore di Dio, per farsi vicino e prendersi cura delle nostre ferite.

L’annuncio della buona notizia del Vangelo è qui meravigliosamente sintetizzato: mentre scendiamo negli abissi a volte più oscuri e incomprensibili della vita; mentre sperimentiamo l’oppressione del peccato; mentre portiamo il peso di una solitudine che ci disorienta quando non riusciamo a trovare senso e significato per le cose che viviamo; mentre ci sovrasta la paura di non farcela in tante cose della vita; mentre tocchiamo con mano le ferite della nostra fragile vita, spesso segnata dai fallimenti, dalla sofferenza e dal dolore; mentre gli egoismi e le chiusure ci condannano all’isolamento, e l’odio e il rancore scatenano conflitti e guerre che seminano scie di sangue nel nostro mondo; mentre viviamo tutto questo e sempre portiamo nel cuore, nello spirito e spesso nella carne le piaghe di un’umanità ferita, non siamo soli: Dio si è abbassato, ha percorso la nostra stessa strada, si è fatto vicino, viene a versare su di noi l’olio del Suo Spirito che lenisce, guarisce, ci ridona forza, ci rimette in cammino.

Così, questo volto di Dio che Gesù si presenta, provoca la nostra vita di uomini e di credenti, perché nessuno di noi rimanga prigioniero dell’indifferenza rispetto a quanto accade attorno e alle ferite sanguinanti dei fratelli, e perché nessuno, in questo nostro mondo, sia costretto a morire ai margini delle strade e della vita, proprio a causa della nostra indifferenza. Che non ci accada come al sacerdote e al levita della parabola: preoccupati delle nostre cose e perfino dei nostri doveri religiosi, possiamo rischiare di passare oltre senza fermarci per raccogliere il grido del fratello che soffre.

Ma la parabola che abbiamo ascoltato rovescia i nostri criteri e ci consegna due grandi provocazioni: la prima è che non c’è religione autentica senza la pratica dell’amore e della compassione verso l’altro; la seconda è che l’altro, cioè il nostro prossimo, non è uno che scegliamo noi, che ci sta simpatico o suscita la nostra pietà, che facciamo entrare nel nostro orizzonte, un po' come quando decidiamo noi come e a chi fare un gesto di carità; al contrario, siamo noi a dover diventare prossimi di chiunque si trova sul cammino della nostra vita e si presenta davanti a noi con le ferite del corpo e dell’anima.

Così, fratelli e sorelle, nessuno di noi può restare indifferente dinanzi agli orrori delle guerre, anche se ci sembrano geograficamente lontane e non toccano da vicino la nostra vita e quella delle persone che amiamo. Il nostro cuore di credenti, mentre eleviamo a Dio il nostro culto e la nostra preghiera, deve essere ricolmo di compassione per coloro che sono vittime innocenti dell’odio umano e dell’ubriacatura del potere. E questa compassione attende di diventare segno concreto e visibile, perché ciascuno di noi come il buon samaritano può fare qualcosa: fermiamoci anche noi come lui ai bordi della strada; cerchiamo di alleviare le sofferenze di chi soffre con i nostri gesti di carità che in tanti modi possiamo fare anche a distanza; denunciamo quanto sta accadendo a tante persone innocenti, diffondendo una cultura della pace insieme a piccoli gesti di riconciliazione nella vita quotidiana e nelle nostre relazioni.

Non dobbiamo pensare che “non riguarda noi” né tantomeno restare vittime dell’impotenza chiedendoci senza speranza “che cosa possiamo farci noi”; al contrario, come ci esorta Papa Francesco in Fratelli tutti, siamo corresponsabili, ciascuno di noi ha spazi, tempi e modi per offrire il suo piccolo contributo, siamo chiamati a vivere la fraternità diventando buoni samaritani l’uno dell’altro.

Ricordiamo le sofferenze dei nostri fratelli vittime delle guerre e di tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito; affidiamole all’intercessione di San Francesco, il santo della pace. Lui, il poverello di Assisi, ha cantato la pace come dono di Dio Altissimo, che deve diventare per noi uno stile di vita: essere riconciliati con Dio per esserlo con il prossimo; sentire gli altri come fratelli e mai come nemici; essere in tutto, parole e opere, strumenti di riconciliazioni, di perdono e di comunione.

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