fede

Antonio Abate, il santo degli animali e del fuoco

Antonio Tarallo
Pubblicato il 17-01-2020

Nell’iconografia, viene presentato con il bastone a forma di Tau

Antonio Abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell'Egitto, intorno al 250, a vent'anni abbandonò ogni suo avere, per vivere dapprima in una spiaggia deserta, per poi stabilirsi sulle rive del Mar Rosso. Qui, condusse una vita eremita per più di 80 anni. Morì, ultracentenario, nel 356. Già in vita, ha goduto della fama di santità: pellegrini e bisognosi di tutto l'Oriente si recavano da lui. La sua storia è raccontata da un discepolo, sant'Atanasio, che contribuì a farne conoscere l'esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà al Conciliio di Nicea.

Il bastone a forma di 'T', quel simbolo tanto caro a San Francesco d’Assisi
Nella iconografia ufficiale, il santo compare appoggiato a un bastone a forma di stampella, emblema tradizionale del monaco medievale. Era, infatti, suo inderogabile dovere l’ aiutare zoppi e infermi. Spesso il manico del bastone è a forma di T, o in alternativa può comparire la lettera tau sulla sua tonaca, all’altezza della spalla. Questo simbolo richiama la croce egizia, antico simbolo di immortalità poi adottato come emblema dai cristiani alessandrini. Secondo un’altra interpretazione la lettera tau allude alla parola “thauma”, che in greco antico significa “prodigio”.

La leggenda del fuoco e il diavolo
Una simpatica leggenda narra che il santo si recò all'inferno per rubare il fuoco al diavolo; mentre lo distraeva, il suo maialino corse a rubare un tizzone, per - infine - portarlo fuori e donarlo agli uomini. Un'altra leggenda narra, invece, che Sant'Antonio si recò all’inferno per contendere l’anima di alcuni morti al diavolo. Mentre il suo maialino, sgattaiolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale il suo bastone a forma di ‘Tau’ e lo portò fuori insieme al maialino recuperato e lo donò all’umanità, accendendo una catasta di legna. Per questa leggenda, sono molti i paesi italiani che conservano la tradizione di accendere fuochi nella notte, in onore del santo. Sono i cosiddetti "fuochi", "focarazzi” o “ceppi”, più conosciuti come “falò di S. Antonio”, che hanno una funzione purificatrice, fecondatrice e portatrice di prosperità, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera. Una volta, le ceneri venivano raccolte nei bracieri casalinghi e servivano a riscaldare la casa.

La benedizione degli animali
Il maiale, altro simbolo, altra immancabile figura vicino a Sant'Antonio Abate, in tutte le sue rappresentazioni. Nel medioevo il maiale - che aveva ancora l’aspetto del cinghiale - era infatti l’animale allevato dai monaci antoniani. Secondo la tradizione il suo grasso era un antidoto contro quello che scientificamente è chiamato “herpes zoster”, noto come il cosiddetto fuoco di sant’Antonio. Al maiale si sono quindi aggiunti altri animali, e per estensione l’abate è diventato il protettore di tutti gli animali domestici e della stalla. Per questo motivo, in molte chiese d’Italia, avviene il rito della tradizionale benedizione degli animali e delle stalle.

Vita e fertilità ai campi
La festa di Sant’Antonio Abate, nel calendario liturgico, cade a metà gennaio. Periodo dell’anno particolare: si torna alla luce, visto che il sole sorge - nuovamente - prima, portando vita e fertilità ai campi. Si chiude, così, un anno. I falò sanciscono questo rito di passaggio: si brucia il passato, si risorge, come “araba fenice”, si rinasce dalla cenere.

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