esteri

Siria, il nunzio Zenari: dopo la guerra è esplosa la "bomba povertà"

Salvatore Cernuzio Vatican News
Pubblicato il 01-07-2021

Il nunzio a Damasco lancia un appello alla comunità internazionale per il martoriato Paese mediorientale

Appena atterrato a Roma da Damasco, il cardinale Mario Zenari, dal 2008 nunzio apostolico in Siria, è corso a pregare alla tomba di san Paolo. Ieri mattina, dopo la celebrazione con il Papa, si è soffermato invece davanti alla tomba di san Pietro affidando le sorti di quella terra martoriata da oltre un decennio di conflitti e ora da una povertà endemica, dagli embarghi e dalla crisi del Covid-19. “Quella dei Santi Pietro e Paolo è per me una spiritualità molto forte, perché da oltre quarant’anni sono al servizio di Pietro, come rappresentante pontificio, dodici di questi nella città di Paolo, a Damasco”. Il cardinale è arrivato a Roma per la plenaria della Roaco, durante la quale ha illustrato la situazione attuale del Paese, teatro di scontri tra cinque eserciti esteri, diviso al suo interno al punto che ci sono regioni che usano già valute diverse. “L’auspicio della Santa Sede e della comunità internazionale è che la Siria sia indipendente e unificata, ma la realtà è tutt’altro”.

Il dolore per i cristiani che emigrano 

Mentre parla con Vatican News, che lo incontra a Casa Santa Marta, il porporato sembra contrarre il volto in smorfie di dolore, soprattutto quando parla delle condizioni difficili in cui versa la popolazione, salva dai bombardamenti che hanno seminato per un decennio morte e distruzione ma attualmente “strangolata” da una povertà che la costringe alla fame. Zenari si dice addolorato anche per la drastica riduzione della popolazione cristiana dopo la guerra: “Per oltre duemila anni hanno abitato quei luoghi e dato un contributo fondamentale alla cultura, all’educazione, alla sanità e anche alla politica, ora più della metà sono andati via. Prima della guerra si stima che fossero un milione e 500mila tra cattolici, ortodossi, protestanti; adesso potrebbero essere 500mila, quindi due terzi. È una ferita grave per la Chiesa ma anche per il Paese, perché quelli che emigrano sono giovani qualificati, rimangono solo anziani e bambini. Ho sempre usato l’immagine dei cristiani come ‘una finestra aperta sul mondo’ per la società cristiana, quando vedo giovani e famiglie andare via questa finestra si chiude”. (Ascolta e leggi l'intervista integrale su Vatican News)

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