esteri

L'uomo nello spazio e il disastro nucleare

Roberto Olla
Pubblicato il 12-04-2021

Due importanti eventi lo stesso mese, a distanza di 25 anni

Gagarin, 1961, sessanta anni fa. Černobyl’, 1986, trentacinque anni fa. Tra queste due date si potrebbe scrivere la storia del comunismo sovietico. Jurij Gagarin è stato il primo uomo in orbita, il primo a vedere la Terra dallo spazio. Pare si debba a lui la definizione di “pianeta azzurro”. Veniva da una famiglia povera. Si era fatto strada studiando, impegnandosi e superando i limiti che invece rallentavano gli altri candidati per il primo volo umano nello spazio. Amava lo sport. L’hockey su ghiaccio. E va bene, è lo sport nazionale russo. Il basket, nonostante tutto. Cioè, nonostante fosse alto 1 metro e 57 centimetri. Una caratteristica che però si rivelò vincente.

La capsula Vostok 1 su cui doveva entrare aveva pochissimo spazio disponibile: il programma spaziale sovietico voleva candidati cosmonauti piccoli, leggeri e ad un tempo robusti sia sul piano fisico che su quello psicologico. Gagarin superò brillantemente tutti i test, compresi quelli nella centrifuga e quelli di ipossia per la resistenza nell’aria sempre più rarefatta. Il 12 aprile 1961 rimase in orbita per 108 minuti compiendo un giro completo attorno alla Terra. Un trionfo di cui il gran capo del Cremlino Nikita Kruscev si impadronì subito. Lo fece proclamare eroe nazionale. Oltre 30 paesi invitarono Gagarin e non solo quelli del mondo comunista. Lo accolsero con tutti gli onori anche a Londra. John Kennedy invece non lo volle negli Stati Uniti. Era troppo famoso e rappresentava il successo bruciante della tecnologia sovietica. Il presidente americano aveva lanciato un vasto programma di conquista dello spazio ma i comunisti erano in netto vantaggio: avevano mandato in orbita il primo satellite artificiale (lo Sputnik), il primo essere vivente (la cagnetta Laika) ed ora addirittura il primo uomo. Gli americani sempre secondi mentre Mosca orchestrava ad arte la propaganda. In quel 1961, pochi mesi dopo il trionfo di Gagarin, i sovietici costruirono il muro di Berlino e lo chiamarono “barriera di protezione antifascista”. Dichiararono che serviva ad impedire a spie e provocatori di entrare per contaminare e distruggere il paradiso della società comunista. Era evidente a tutti che il muro serviva per impedire ai sudditi del regime di fuggire dall’inferno comunista. Un intero popolo era prigioniero del regime. Ma i comunisti delle varie nazioni (tra cui anche gli italiani) preferivano credere alla propaganda, tanto più quando veniva rinforzata da successi come quello della tecnologia sovietica che aveva mandato in orbita Gagarin.  

Passano 25 anni e il 26 aprile 1986 in Ucraina alle ore 1,23 e 45 secondi si innesca una reazione a catena che provoca l’esplosione di un reattore nucleare: è il disastro di Černobyl’. Al Cremlino ora c’è da Michail Gorbačëv. È arrivato da appena un anno e subito ha impostato tutto il suo programma su due parole d’ordine: perestrojka e glasnost, riforme e trasparenza.  Mentre attorno al cratere del reattore muoiono tecnici e vigili del fuoco, tutti i gerarchi del mondo sovietico si stanno interrogando sul significato e sulla portata di queste due parole e soprattutto sul come far sopravvivere i loro regimi a riforme e trasparenza. Fin dal primo mattino del 26 aprile a Gorbačëv cominciano ad arrivare i primi rapporti. Ma sono rapporti di dirigenti comunisti preoccupati più di evitare un’umiliazione di portata mondiale che di salvare il salvabile a Černobyl. C’è poco da salvare e anche quel poco viene perso in un colpevole ritardo.  Il reattore continua a bruciare per giorni e giorni. I venti, le perturbazioni, le piogge trasportano la radioattività in tutta Europa fino alla Francia, alla Grecia, all’Italia. Per l’Unione Sovietica i reattori nucleari di Černobyl sono sia civili che militari, quindi coperti dal massimo segreto. Il disastro è stato causato da impianti mal progettati, con difetti di manutenzione e inoltre gestiti da personale non adeguatamente informato e preparato.  Quando il resto del mondo comincia a registrare livelli anomali di radioattività, il Cremlino continua a nascondere la verità. Secondo alcuni calcoli la quantità di radiazioni rilasciate è pari a 400 volte l’atomica su Hiroshima. Solo il 14 maggio Gorbačëv annuncia una conferenza sul disastro. Bisogna andare a cercare tra le macerie di Černobyl le due parole perestrojka e glasnost. Riforme e trasparenza muoiono assieme alle migliaia di vittime accorse per tentare di fermare il disastro. Appena tre anni dopo viene abbattuto il muro di Berlino. È l’inizio della fine per l’Unione Sovietica. 

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA