cultura

Il presepe di Greccio: tre dipinti, un'unica tradizione

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

SAN FRANCESCO FECE IL PRIMO PRESEPE 790 ANNI FA E DA ALLORA E' TRADIZIONE NON SOLO POPOLARE, MA ANCHE ARTISTICA

Dagli albori della storia dell’arte cristiana il tema della Natività è stato sempre presente, seppure in forme diverse. Le raffi gurazioni primitive di questo tema si limitavano però ad essere semplici sacre rappresentazioni. Un atteggiamento che si è perpetrato nei decenni fi no al 1223, l’anno in cui Francesco d’Assisi, durante la notte di Natale a Greccio, nella provincia di Rieti, volle rievocare la nascita di Gesù organizzando la prima rappresentazione vivente dell’evento, con l’approvazione del pontefi ce Onorio III.

Le agiografi e raccontano che durante la Santa Messa nella culla sarebbe apparso il bambino Gesù in carne e ossa e che Francesco lo prese in braccio. È da questo momento probabilmente che una forma differente di rappresentazione di uno dei momenti di maggiore signifi cato e profondo raccoglimento del cristianesi mo, si è fatta strada nella tradizione popolare, religiosa e infi ne artistica. L’evento legato al Santo d’Assisi e raccontato nelle Fonti Francescane, ha fi nito per destare un interesse nuovo negli artisti e nelle commissioni, un nuovo stilema rappresentativo, che come vedremo, si è intessuto in una rete di elementi simili, non solo legati alla narrazione delle fonti.

La più antica delle rappresentazioni che si è voluta prendere qui in esame è quella notissima di Giotto (1295-1299), nella Basilica superiore superiore di san Francesco ad Assisi. Quel realismo che permea l’intero ciclo artistico e che ha caratterizzato poi i successivi studi d’arte di tutta Europa è qui particolarmente forte. La stalla di Greccio, dove sarebbe avvenuta la rappresentazione vivente, lascia spazio all’interno di una basilica romana, la scena avviene tra la parete di un coro e i gradini di un altare, il tutto narrato con incredibile minuzia e vivace descrittività.

La rappresentazione è affollata, strette nella porta le donne alle quali è vietata l’entrata, mentre tra i personaggi all’interno, oltre ai frati posti più in alto rispetto agli altri perché in piedi sugli stalli del coro, ci sono diversi laici che dagli abiti indossati fanno riconoscere le magistrature civiche.

San Francesco, in abiti da diacono, tiene amorevolmente in braccio il Bambino Gesù. Il naturalismo dell’odell’opera – già sottolineato dalle espressioni variegate dei personaggi come anche le bocche dei frati spalancante nel canto mentre seguono il badalone centrale – è nuovamente ribadito dalla grande croce sopra il tramezzo che separa la navata del coro, uno dei brani più celebri della pittura medievale: la croce, vista da dietro con la manifattura in evidenza, è legata ad una corda e un cavalletto che consentiva di inclinarla verso la navata e favorire la visione da parte del pubblico.

Chiaramente ispirato al dipinto giottesco è quello del cosiddetto Maestro di Narni (1409), posto appena sopra la piccola grotta del santuario di Greccio dove secondo tradizione si ebbe la rievocazione della Natività.

Molti gli elementi in comune, nonostante il divario qualitativo e la distanza di anni che separa i due dipinti.

Anche questa raffi gurazione è affollata, ritorna la porta dove è accalcata la popolazione incuriosita e l’abito da diacono di san Francesco, particolare tratto dalle Fonti Francescane. Da notare anche la veste del personaggio in primo piano a Greccio che risulta essere una commistione tra le vesti dei tre personaggi che sono in primo piano ad Assisi (il cappello del primo a destra e i colori dei due posti più a sinistra). Anche a Montefalco, nella chiesa di San Francesco nel ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli (1450-1452) si era scelto di rappresentare i momenti più importanti della vita di Francesco in diciannove episodi.
Anche qui compare Greccio. San Francesco è posto in uno spazio incorniciato da un ampio arco semi ogivale, all’interno di una chiesa caratterizzata da due stili architettonici tipici di epoche differenti: da una parte le fi nestre traforate e gli archi a sesto acuto, che ricordano le antiche chiese gotiche e, dall’altra, le paraste scanalate, trabeazioni in marmo e fi nestre circolari, di chiara ascendenza rinasci rinascimentale. Compaiono nuovamente i frati accanto al badalone, il canto è un elemento sottolineato dalle stesstesse fonti.

Variegati i personaggi anche in questo caso. Benozzo Gozzoli si prende la piccola licenza di far notare solo al bambino posto sulla sinistra e al religioso sull’altare l’evento miracoloso della comparsa del Re Povero, teneramente abbracciato dal Santo, cogliendo un momento ben preciso della scena.

Ma al di là delle assonanze estetiche e oggettive che le diverse rappresentazioni sembrano portare con sé, da notare c’è quella consistente intimità, quell’affetto di Francesco verso la fi gura di Gesù, considerato il Maestro da imitare, il Padre da ascoltare. C’è in tutte le opere prese in esame una necessità forte di comunicare la profondissima umanità di Francesco esplicata in quell’abbraccio sentito con Gesù; di spiegare un francescanesimo puro, proteso all’amore universale in Dio. Le tipologie umane e le raffi natezze narrative delle opere sottolineano la dimensione reale dell’accaduto, dove il miracolo diviene evento terreno su cui poter confi dare.

Ed è così che nella tradizione natalizia, così profondamente radicata, si compie la rievocazione di un evento vissuto e non semplicemente narrato, attraverso il Presepe che assume una dimensione spirituale altra, oltre alla semplice raffi gurazione divina.

Luisa Benevieri

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