cultura

«I Magi? Sono la scienza che si piega al mistero della nascita di un bambino»

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Dallo sguardo alla contemplazione, la scena della Natività attraverso gli occhi di un regista. Guido Chiesa risponde alle nostre domande sul racconto della nascita di Gesù, dalla genealogia all'adorazione dei Magi. Nel 2010 Chiesa ha diretto «Io sono con te», sulla figura di Maria e l'infanzia di Gesù.

Guardare alle relazioni

«Per molto tempo, dopo essermi riavvicinato alla fede, non ho capito quale significato dare alla parola "spirituale". Solo dopo ho imparato che nelle Scritture ciò che è spirituale riguarda sempre una relazione, un andare "fuori": lo Spirito va fuori, fuori da Dio verso l'uomo. Se vogliamo cercare il significato spirituale di quel che vediamo, è alle relazioni che dobbiamo guardare. Nel Vangelo della natività tutti gli elementi pongono al centro il Bambino, e lo fanno in termini di relazione. Qui Gesù non è, come nei Vangeli apocrifi, un prodigio, colui che fa volare gli uccelli in terracotta. È un bambino. E non fa nulla di "prodigioso", questo bambino. È la relazione che gli adulti attorno a lui intessono, a parlarci: ogni personaggio fa qualcosa per far sì che questa vita venga accolta e protetta rispetto a tutte le leggi, le vicissitudini storiche, i divieti e il potere che vorrebbero fermarla».

«Coltivati per secoli»

«Nella Natività c'è quello che Dio ci chiede di fare come genitori e come essere umani: mettere al centro la vita. Sono tante le regole che i genitori di Gesù disattendono in ordine a questo. Se Giuseppe avesse ripudiato Maria, se per assurdo Dio avesse "sbagliato" genitori, se avesse scelto come genitore un altro uomo - non Giuseppe - che fosse stato rispettoso della legge al punto da porla sopra la vita, non avremmo avuto Gesù. Questo dice la libertà dell'uomo, ma anche che Dio ha voluto questi due genitori e li ha coltivati fin dall'origine dei tempi. È una genealogia, che li precede; è una genealogia quella che porta a Maria, che fa sì che Maria possa arrivare a quel "sì" e che Giuseppe sia capace di fidarsi della donna. In questa storia che ci precede, Dio è al centro».

 

La paternità di Giuseppe

«Invece di tutelare se stesso, Giuseppe sceglie di salvare il proprio bambino. In questo è un modello di paternità straordinario: Giuseppe agisce, porta via la sua famiglia, la salva. Perché la "vita" è per lui più importante di tutto, anche del primato di padre che la tradizione gli assegna. In fin dei conti, Zaccaria e Giuseppe sono gli "ultimi" patriarchi: si piegano a Dio e quello che per un padre ebreo era fondante - dare il nome al proprio figlio nel giorno della circoncisione -, Zaccaria e Giuseppe non lo fanno. È Elisabetta a dire: si chiamerà Giovanni, ed è l'angelo che indica a Maria il nome Gesù. Zaccaria è persino muto. E che Giuseppe scompaia nel Vangelo - in una cultura in cui il padre è tutto - ha un senso visibile nella natività: i genitori lasceranno Gesù libero di essere quel che è, libero nell'amore».

 

I pastori, gli angeli, un segno

«I pastori sono spesso stati interpretati e rappresentati - anche cinematograficamente - in chiave pauperistica. Ma l'annuncio degli angeli è una chiamata agli impuri e agli esclusi, che in quanto tali sono anche poveri. A questi uomini, reietti perché impossibilitati a compiere le abluzioni quotidiane, viene dato "solo" un segno: un bambino avvolto in fasce. I pastori siamo noi, impuri, che andiamo di fronte a questo mistero e ci chiniamo di fronte a esso e lo glorifichiamo. I pastori benedicono "per tutto quello che avevano udito". Hanno udito qualcosa, hanno udito interiormente Dio che diceva: amatelo».

 

I Magi, la Madre e il Bambino

«Che al tempo di Gesù esistesse una fondata e diffusa attesa messianica che interpretava una serie di segni - fra cui la cometa - come segni messianici, questo ci è noto, ma il Vangelo non ci dice che è la cometa a rivelare che è proprio Gesù il bambino atteso da tutti. I pastori e i Magi trovano un segno. Hanno un'aspettativa di straordinarietà, ma cosa trovano? La normalità, l'umanità. Una madre con un bambino: l'Evangelista richiama quattro volte così questa relazione. La tradizione ci sostiene: i Magi sono la scienza, il sapere, l'intelletto che si piegano di fronte al mistero della nascita di un bambino, e di un bambino in carne e ossa. Karl Marx scriveva nelle lettere a sua figlia Jenny che dovremmo sempre ringraziare Gesù per aver messo i bambini nella Storia. E, in effetti, nel mondo antico prima di Gesù i bambini non contano. Qui invece c'è una donna messa al centro da Dio, che si fa da parte e mette al centro il bambino. Il padre si fa da parte. Per noi Betlemme significa anche che è importante sapere come siamo cresciuti, dove siamo nati, quali sono le prime relazioni della nostra vita. Questo è spirituale, ecco la vicinanza con Dio: nelle relazioni ci mettiamo in gioco, e Dio vuole che ciò accada nell'amore e nella libertà. È ciò che mi ha convertito, perché mi ha permesso di incontrare Dio negli altri».

Una luce

«La luce, nel racconto dei Vangeli dell'infanzia, mostra che tutti i personaggi stanno comprendendo qualcosa. Che la vita del bambino di cui hanno cura appartiene a Dio, li trascende, non è sotto il loro controllo. È la scoperta che ogni vita è un annuncio di salvezza, che Dio è con noi. Questo è il vero prodigio da cui tutto discende: la vita è il prodigio di Dio. Di fronte a questo presepe, l'attenzione è davanti a questa speranza: Dio si fa vita con Gesù, e per farsi vita si fa bambino. E Dio si manifesta attraverso la vita, la vita di Adamo e la vita di suo figlio. In mezzo c'è la vita di ogni essere umano mai nato sulla terra e che mai nascerà. Il nostro più grave peccato è proprio quello di non rispettarla, questa vita, di non fare tutto quel che è possibile per amarla. Come fa prima di tutto Maria. E finché ci sarà una possibilità di una relazione, anche una sola, Dio è con noi». (Vatican Insider)

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