cronaca

Se l'arte si riprende la strada

Franco Revella Unsplash
Pubblicato il 12-12-2020

La pandemia, con i musei chiusi, ha rilanciato la street art

Nel 1879 Manet scrive al Préfet de Police di Parigi proponendo di decorare la sala delle sedute consiliari del nuovo Hotel de la Ville con «una serie di composizioni rappresentanti, per servirmi di un' espressione ormai consacrata, e che ben rappresenta il mio pensiero, "il Ventre di Parigi"». Qualche anno dopo, nel 1886, Zola, l' autore d el romanzo Il ventre di Parigi , propone ne L' opera , attraverso un suo personaggio, il pittore Claude Lantier, di portare queste immagini dalle sale consiliari alla strada. È necessario dipingere sui lunghi muri delle stazioni, dei mercati, dei municipi: su tutto ciò che si costruirà «quando gli architetti non saranno più dei cretini».

Nel 1919 esce All' ombra delle fanciulle in fiore di Proust in cui la stazione si presenta come uno di quei luoghi che Foucault definirà eterotopie, luoghi scrive Proust che non fanno corpo con la città, ma che ne «contengono l' essenza». La Gare Saint-Lazare è la città stessa, la sua verità, in cui Proust vede «un cielo immenso e crudo, gravido di accatastate minacce di dramma simile a certi cieli, d' una modernità quasi parigina, del Mantegna o del Veronese». La stazione è la modernità assoluta, ed è il Museo in cui spira un' aura drammatica.

Il Museo per Proust è quello spazio in cui, come dirà Benjamin, il presente e il passato entrano nella tensione di una dialettica sospesa, in cui gli opposti non si risolvono ma significano proprio in questa irriducibile tensione. Molto meno drammatica è l' idea di Museo di Valéry ne Le problème des musées del 1923. Il museo è un caos di forme e di immagini e questo caos, scrive, «mi segue e si combina al vivo movimento della strada».

È il trionfo di una «vertigine della mescolanza » che accomuna la varietà del museo alla varietà della strada. Sembra di essere ormai prossimi a quella che diventerà Street Art, il movimento prima incompreso e perseguitato, poi addomesticato dal mercato e infine nell' anno della pandemia, con i luoghi di esposizione chiusi e le città svuotate dal traffico e dai turisti, tornato alla forza delle origini come racconta Robinson in edicola da domani.

Le statue nei parchi e negli incroci, le pubblicità e i neon, che Zola definiva «l' effervescenza della febbre sulla fronte della città», non sono ancora Street Art. Manca la tensione che abita la strada e che abita il museo. Sono già arte di strada invece il graffitismo, e poi le immagini, e poi i colori. Alcune sue espressioni sono già dei classici, come Banksy, Keith Haring o Jean-Michel Basquiat. Queste forme da un lato esprimono una contestazione politica e sociale dall' altro contestano anche forme oggi dominanti nell' arte contemporanea. Rispetto alla banana attaccata al muro di Cattelan o al Balloon Dog o al Rabbit di Koons sono come i Veronese o i Mantegna visti allucinatoriamente da Proust nella Gare Saint-Lazare. Pennelli, bombolette spray, vernici, ma comunque figure, che condividono però con l' opera di Cattelan o dei performer, la precarietà, o addirittura la fragilità rispetto al tempo.

Nel 2016 viene inaugurato a Roma il grande murale di William Kentridge, Trionfi e lamenti , un fregio lungo 550 metri. Street Art costruita utilizzando anche la patina che il tempo ha depositato sui muri di quel tratto di strada, dentro la città. L' opera è però destinata a rapidamente sbiadire e scomparire. «Sta scomparendo più velocemente di quanto avessi immaginato » scrive Kentridge. «Pensavo fosse visibile per almeno sette anni. E invece il processo è in anticipo di almeno un anno, se non due. Pian piano le immagini si trasformeranno in ombre che emergono dalla pietra. Molto dipende dalla manutenzione. Ma ormai ha una vita autonoma da me. Presto rimarrà solo nel ricordo di chi l' ha visto. O nelle migliaia di foto e video in circolazione. Ma mi piace che sia così».

Molti anni fa muovendomi per la prima volta verso l' IUAV di Venezia, vicino a Tolentini, sulla cornice di pietra che dava accesso a una calle, c' era scritto in rosso All Things Must Pass , il titolo di un album di George Harrison. Ho visto quella scritta lentamente corrodersi e un giorno non l' ho vista più. Più rapida ancora la corruzione della banana di Cattelan, o l' evanescenza dei gesti dei performer. Un secolo e mezzo da Manet a Kentridge o Cattelan in cui possiamo leggere la cifra comune dell' arte del moderno, quella che Proust aveva scorto nelle stazioni, quei luoghi meravigliosi che «sono anche dei luoghi tragici». (Repubblica)

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