cronaca

Racconto di Natale

Giorgio Bagnobianchi Rivista San Francesco
Pubblicato il 16-12-2020

Un contributo di Giorgio Bagnobianchi 

Nella cucina di Menico e Menica, la sera dell’antivigilia fervevano i preparativi del Natale. “Giulia porta un fiasco di vino per i compari!” Gridò Menico alla figlia quando vide entrare mastro Sebastiano da Nursia e il suo aiutante Quinto, entrambi famosi norcini impegnati nel granaio a lavorare le carni del maiale. I due artigiani preparavano i salumi da custodire gelosamente nella dispensa della famiglia per il prossimo anno, il 1228. “Grazie, compare Menico, un bicchiere di rosso è proprio quel che ce vole!” Rispose mastro Sebastiano. “Abbiamo portato un po’ di carne, non usata per le salcicce, da saltare in padella, col lardo e poi … da mangiare con la farina cotta! Menica ci preparerà un cibo regale!” Menica, intanto, curava il paiolo sospeso alla catena sopra il fuoco, nel grandissimo focolare, all’interno del quale era placidamente seduta. Di tanto in tanto chiamava, invano, il figlio mentre ruotava il mestolo. “Batino! Batino!” Niente, il ragazzo non rispondeva. “Basta, con tutti questi baccani. Probabilmente Batino sarà andato giù ‘la stalla a controllare le pecore. Menica, mettiti l’anima in pace, continua a cucinare e quando tornerà sapremo dove è andato.” Menica non rispose al marito e, staccato il paiolo dalla catena, si diresse decisa verso la tavola al centro della quale troneggiava la spianatoia. 

La donna, con abile gesto, versò la farina cotta che si sparse, lentamente, verso tutti i commensali. Poi, fatto col mestolo un incavo al centro dell’appetitosa distesa, lo riempì con la carne soffritta e il sugo di lardo. Menico pregò, a nome di tutti. “Signore fa che questo pane e companatico ci aiutino a vivere in pace e in serenità e nell’amore di Domine Iddio!” Tutti presero a mangiare puntando velocemente verso il centro della spianatoia… Batino, invece, non era ancora rientrato in casa… 

… nel profondo della macchia detta Cerquavecchia.

Sei arrivato, finalmente. Ti aspettavo con ansia.” Sospirò Ezzelino. “Questa sera ho trovato più difficoltà ad essere puntuale, a casa sono tutti impegnati: ci sono i norcini e dopodomani è Natale! Mamma Menica è sempre in cucina, prendere un pezzo di pane, di nascosto, è stato più difficile del solito.” Lo rassicurò Batino. “Grazie, caro amico.” “Domani sera cercherò di portarti anche un po’ di paglia, così potrai riposare al caldo.” “Sì, fa molto freddo, molto freddo!” Sussurrò Ezzelino.

La sera appresso, la sera della vigilia di Natale, nel grande focolare dove allegro bruciava un ciocco di quercia, Menica girava il mestolo nel paiolo, seduta tra la parete e la fiamma. “Santina, va’ su nel granaio a prendere un po’ di sorbe e qualche graspo d’uva passita; questa sera facciamo festa con un po’ di frutta e qualche mostacciolo.” Disse rivolgendosi agli uomini seduti intorno al tavolo e poi concluse per la figlia: “Trovi tutto nell’angolo in fondo, quello al buio: le sorbe per terra tra la paja e l’uva sul cannicciato sospeso; portati una lucerna!” Gli uomini, seduti davanti a un bicchiere di rosso, parlavano di lavoro. “Mi spiace, compare Menico, per questa contrarietà che c’impone di partire domani mattina, proprio nel giorno del Santo Natale! Questa sera avremmo dovuto essere a Collepino, vicino a Ispello, da compare Arnaldo.” Diceva mastro Sebastiano, e Quinto, suo aiutante, aggiungeva: “E’ caduta troppa neve per arrischiarci a partire, le strade sembrano cancellate e le macchie sono buie, prive anche del chiarore della Luna. E poi, questo Subasio… mi sembra popolato, specialmente di notte... preferisco non fare incontri…

Menico, un po’ contrariato dalle allusioni, volle sottolineare: “Mi spiace, compare Quinto. Noi tutti di Armenzano giriamo sul Monte, anche di notte, senza problemi. Frate Francesco, quando era ancora vivo capitava a tutte le ore e mai si lamentò di incontri…” “Certamente il Santo Frate sarà stato protetto da Domine Iddio! – disse Quinto – Ma è certo che quando arrivammo, tre giorni fa, nella macchia a Cerquavecchia abbiamo visto un arcangelo appollaiato su di un faggio!” “Un arcangelo?!” Tutti, uomini e donne, presenti nella cucina ammutolirono e guardarono Quinto. Bartolo da Vittiano diede voce alla comune curiosità. “Come fate a dire che era un arcangelo?” “Compare Bartolo, l’ho visto con i miei occhi: era in alto, tutto bianco e quando siamo stati sotto il faggio ha allargato le ali come per terrorizzarci! Una paura! … io e mastro Sebastiano abbiamo preso a correre e ci siamo fermati solo alle prime case di Armenzano!” “Mastro Sebastiano, perché non mi avete detto niente?” Chiese Menico. “Perché… perché, tutti sappiamo quanto eravate amico del Frate Santo e magari, pensavamo con Quinto, che vi sareste offeso! … che avremmo potuto offendere la memoria del Santo uomo. Noi non siamo molto pratici di cose di Chiesa.” Menica sentì l’urgenza di intervenire. “Frate Francesco, che purtroppo non è ancora Santo, ci ha dato una grande speranza: la sua vita, le sue parole hanno fatto capire a tutti, anche a noi poveri cristiani senza lettere, la grandiosità dell’amore di Domine Iddio e la fratellanza che ci unisce: uomini, donne, animali e fiori e piante! Sì, siamo tutti fratelli come sempre diceva Francesco!” “Ed eravamo molto amici – aggiunse Menico – Francesco per me era più che un fratello, era un confidente al quale ho svelato dolori e con il quale ho condiviso qualche gioia. Questo era per me Frate Francesco … e sicuramente si sarebbe fatto una gran risata per la vostra paura, compare Quinto. Gli arcangeli non abitano nelle macchie del Subasio e, se anche vi si disvelassero, non sarebbe certo per farvi paura!

Mentre Menico ricordava con foga e affetto l’amico, fu interrotto dall’ingresso concitato del figlio Neno. “Bisogna uscire subito a cercare Batino. Ho guardato nelle stalle, giù ‘la fonte, verso la macchia… niente! Non l’ho trovato! Non si vede alcuna luce. Non riesco a capire dove possa essere. La neve, intanto, continua a scendere lenta e inesorabile. Le strade sono ormai scomparse… corriamo il rischio di ritrovarlo morto dal freddo!” Menica cercò di placare l’ansia di Neno: “Anche ieri sera è arrivato a casa tardi, farfugliando non si capiva bene quale scusa. Di sicuro è andato a mettere qualche trappola per animaletti selvatici.” “No – disse tassativo Menico – questa sera c’è troppa neve. Non è ancora una bufera, ma se la tramontana si scatenasse… non voglio pensare come potrebbe finire chi fosse nella macchia senza riparo.” Fu così che nella notte di Natale tutti gli uomini radunati nella grande cucina, dopo essersi coperti con i loro tabarri, armati di lanterne si diressero di buon passo verso la macchia. La neve e il freddo rendevano il loro avanzare assai difficoltoso.

La ricerca di Batino, nella macchia e tra la neve, era un’impresa disperata. 

La notte avvolgeva, come dentro un mantello, quegli uomini volonterosi man mano che precedevano e la flebile luce delle lanterne bastava appena a vedere il compagno più vicino. La lanterna, in effetti, non serviva a trovare il sentiero: avanzavano sempre più con la sola forza della disperazione.  “Non ce la faremo mai!” Urlò Neno. “Stiamo procedendo alla cieca!” Ribadì Bartolo, a tre passi di distanza. “Frate Francesco aiutaci a ritrovare Batino.” Sussurrò Menico, con le lacrime agli occhi. “Speriamo, compare Menico, speriamo nell’aiuto del Santo Frate!” Aggiunse mastro Sebastiano. Quando ormai ogni speranza sembrava sepolta sotto quei mucchi di neve, comparve, in lontananza, davanti a quegli uomini sconfortati, una lucina brillante che prese a muoversi agile nel profondo della macchia. 

Il misterioso lume li guidò per un tempo che sembrò loro lunghissimo e poi, improvvisamente, si fermò. Neno, che aveva capeggiato il gruppo con determinazione, animato da un profondo amore fraterno, si fermò anche lui: stanco, con la vista annebbiata e i capelli pieni di ghiaccio. “La lucina si è bloccata … speriamo che non scompaia… dove siamo?” Menico, superato il gruppo, cercava di illuminare il posto. Il suo sguardo di padre si posò su di un cumulo scuro addossato ad un faggio e… gli mancò la voce. Poi con un grido rotto dall’emozione: “E’ Batino! E’ Batino! E’ Batino!” Gli uomini raccolsero il ragazzo e lo avvolsero in una coperta. Batino, prima di svenire, biascicò con un sussurro: “Ezzelino… Ezzelino…” Fu allora che Quinto guardò e vide… a terra, accanto all’affossamento dove si era rannicchiato Batino, un grande uccello bianco! “… ma è l’arcangelo!... si è proprio l’arcangelo! Tale e quale a quello pinto sulla parete della chiesetta!” Urlò sicuro Quinto. “Ma quale arcangelo – intervenne Bartolo – è un airone, un uccello che, da queste parti, vediamo solo di passaggio quando migra verso sud, per svernare. Strano che sia ancora qui, in questa stagione. Normalmente vengono dalle rive del Metauro… sono uccelli migratori… non capisco!” “Basta – ordinò perentorio Menico – prendete su anche l’uccello e rientriamo veloci a casa, prima che ci assideriamo tutti!

All’alba della mattina di Natale, nella cucina di Menico e Menica, arrivò festoso il suono della campana della Chiesetta di Armenzano, dedicata alla Natività di Maria. Dopo il trambusto della sera prima e la notte passata a veglia intorno al focolare, lo scampanio svegliò tutti. “Dom Aldo chiama per la Messa di Natale!” Disse Giulia che aveva praticamente dormito seduta su di una seggiola, come gli altri. “Fuori c’è un sole sfacciato e tutto riluce di bianco!” Aggiunse Neno che, curioso, era subito corso nell’aia. Il fratello Batino dormiva su di un sacco di paglia vicino al focolare. “Sia lode a San Francesco che ci ha aiutati!” Ripeté Menica vicina a quel figlio che per poco non aveva perso, assiderato! Quinto si sentiva un privilegiato per aver vissuto lo straordinario ritrovamento del figlio disperso. “Se il Santo Frate non fosse intervenuto con quella miracolosa lucina ora saremmo qui a piangere la morte del ragazzo! E pensare – aggiunse – che mi ero tanto spaventato, giorni fa, per quello che credevo un angelo e che, invece, era un uccello!

Intanto Batino si era svegliato. Menico si avvicinò al figlio. “Cosa ti è passato per la testa! Andare nella macchia con questo tempo! …e l’airone? Dove l’hai trovato?” “Padre, sai bene quanto mi piaccia cacciare gli animaletti selvatici. Orbene un giorno mi sono imbattuto in Ezzelino, l’airone. Dall’alto di una quercia mi stava osservando e, improvvisamente, mi ha apostrofato rimproverando il mio mettere tagliole e trappole per catturare animaletti. Abbiamo cominciato a parlare, pur a distanza. Poi, con il passare del tempo siamo diventati amici, anzi, fratelli è la definizione giusta se torno con il pensiero ai discorsi che Francesco faceva insieme con te. Non diceva, forse, siamo fratelli tutti!? Ho preso, così, a portargli pezzi di pane e questa nostra amicizia gli ha fatto dimenticare di partire: non è più migrato via! Intanto, però, la stagione mutava e il freddo incombeva fino a che, ieri sera, si è scatenata la nevicata e mi sono trovato intrappolato con accanto il povero Ezzelino sfibrato dal gelo!” Menico rimase un attimo pensoso, quasi a meditare sulle parole del figlio, poi così iniziò. “Sì, hai ragione, siamo tutti fratelli. E’ giusto che tu abbia riflettuto su quanto predicava Francesco, ma poi l’applicazione l’avresti dovuta fare con intelligenza e cognizione: non puoi bloccare un uccello migratore nel profondo di una macchia in pieno inverno… non lo stai aiutando, lo stai portando alla morte!” “… ma Ezzelino si è salvato!?” Chiese ansioso Batino, improvvisamente memore dell’amico. “Si, sì, l’airone, quasi per miracolo, è vivo e sta nella stalla delle vacche.” Informò Bartolo, il vaccaro. 

Mastro Sebastiano e Quinto, raccolte le loro sacche insieme ad un fagottello di cibo per il viaggio, salutarono tutti e partirono alla volta di Collepino. Intanto Menico e Menica insieme ai figli si recavano nella Chiesetta della Natività della Vergine, in fondo al paese, per assistere alla messa del Santo Natale, a gloria di Domine Iddio e a ringraziamento dell’amico, Frate Francesco, che proprio in quel 1228 sarebbe stato nominato Santo

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