Le visite dei pontefici
Non la chiamiamo più peste, perché il termine oggi più appropriato pandemia spaventa
Non la chiamiamo più peste, forse perché il termine oggi tecnicamente più appropriato pandemia ce la fa apparire devastante, sì, ma anche più razionalmente descrivibile, riconducibile - con quel tipico grecismo - a una controllabile patologia.
E non parliamo più di lazzaretti: «non abbiamo voluto creare un lazzaretto», ha detto qualche giorno fa un consulente della Regione Lombardia, chiarendo: «non abbiamo voluto creare capannoni con brandine per mettere lì chi non aveva più speranza».
Tanto può, nell' immaginario generale, il topos romanzesco del lazzaretto come luogo caotico della incurabile disperazione. È un altro nome da non evocare, un' altra parola da evitare, in italiano almeno, perché ormai carica di un' inguaribile negatività. Ai lombardi di oggi, il nome ricorda il lazzeretto milanese descritto dal Manzoni dei Promessi sposi: luogo sciagurato in cui le duecento e ottantotto stanze previste «o giù di là» erano state stipate con diecimila accattoni raccolti spesso a forza dagli angoli delle strade.
A dire il vero, il nome lazzaretto (oggi definitivamente impostosi in una forma diversa da quella toscaneggiante preferita da Manzoni) non viene dalla Milano di Renzo e fra' Cristoforo, bensì da una Venezia più antica, in cui i Lazzaretti - ce ne sono due: il Vecchio e il Nuovo - erano luoghi più ordinati ed efficienti.
La storia dei lazzaretti inizia su un' isola della Laguna posta di fronte al Lido, sede dal tardo Medioevo di un monastero dedicato a Santa Maria di Nazareth, detto appunto popolarmente nazaret(o). Nella prima metà del Quattrocento il luogo fu scelto come ricovero per i malati, e qualche decennio più tardi un' altra isola poco lontana - che ospitava la vigna dei Benedettini di San Giorgio: oggi Lazzaretto nuovo - fu destinata alla pratica della contumacia per merci e marinai sani provenienti da porti infetti. È quella che chiamiamo oggi quarantena, termine quest' ultimo di origine religiosa (in origine indicava periodi di penitenza e preghiera) che però qui non era usato, sebbene oggi molti lo ritengano di origine veneziana: nel senso di 'isolamento sanitario' pare lo si sia introdotto per la prima volta in Lombardia, durante la cosiddetta peste di San Carlo (1566-1567: lo usa anche Torquato Tasso in una sua lettera di quegli anni).
La denominazione dell' isoletta lagunare oscillava dunque tra nazareto e lazareto, e quest' ultima forma era certo influenzata dal nome del Lazzaro lebbroso menzionato nel Vangelo (per cui termini simili riferiti a persone indicavano già in generale i malati, i derelitti, gli emarginati: si pensi al fortunato lazzarone, di origine meridionale), oltre che dalla vicinanza di un' altra isola, dedicata appunto a San Lazzaro (oggi degli Armeni) e adibita da tempo ad analoghe funzioni. Nei decreti della Serenissima emanati durante il Quattrocento per fronteggiare le pestilenze si può osservare quasi in diretta l' evoluzione dell' uso dal Nazareth ancora impiegato nelle prime leggi in materia al Lazzareto invalso verso la fine del secolo.
La parola veneziana vagò per l' Europa, andando a indicare in alcune lingue il ricovero per gli ammalati, senza un necessario nesso né con le pratiche di contumacia, né con le pestilenze: per questa via, ancora oggi in alcune lingue la parola corrispondente a 'lazzaretto' indica semplicemente l' ospedale, come càpita nei Paesi scandinavi: in svedese e norvegese, lasarett, in danese lazarett, che (come in tedesco e in inglese) è l' ospedale da campo, ciò che fa supporre una circolazione del termine in ambiente militare, lontano dalle pagine della letteratura. (Il Sole 24 Ore)
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