cronaca

La missione di Matteo: Scalo le vette d'Italia per ripulirle dai rifiuti

Riccardo Bruno Montagna.tv
Pubblicato il 17-03-2021

Della Bordella: Lassù si trova di tutto: scarpe, corde e materassi

La montagna riserva sempre sorprese. «Mi è capitato di trovare sulle vie del Monte Bianco, dove finisce la roccia e inizia la neve, scarpette da arrampicata. E più di una volta. È assurdo, qualcuno preferisce lasciarle lì piuttosto che portarsi dietro tre etti in più. E non costano neanche poco». Matteo Della Bordella è uno dei più forti alpinisti italiani di sempre. Protagonista di imprese entrate nella storia, dalle Alpi alla Patagonia, ha scelto sempre uno stile naturale, cristallino. «Ho avuto la fortuna di vedere posti bellissimi, con pochi segni di passaggio umano. E ho sempre cercato di lasciarli come li ho trovati, preservarli per chi verrà dopo». Non tutti sono come lui. Le vette sono sempre più alla portata di molti, arrivare in cima è più importante del come riuscirci, le montagne vengono maltrattate, perfino invase dai rifiuti. «Due anni fa ero in Pakistan con l' amico Massimo Faletti. Mi ha proposto di fare qualcosa, per ridare alla natura ciò di cui noi abbiamo goduto». Così ha preso corpo «Climb and Clean», il progetto di arrampicata e pulizia delle falesie più belle d' Italia, e più a rischio. Matteo e Massimo partiranno ad aprile da Trento, poi una settimana in Sicilia, tra San Vito Lo Capo e Buccheri. Primi appuntamenti per unire simbolicamente Nord e Sud, coinvolgendo anche le comunità locali, Covid permettendo. Si muoveranno in treno e poi con auto elettrica. «Purtroppo i rifiuti si trovano ovunque, soprattutto vicino alle strade - dice Della Bordella -. Ma anche nei bivacchi non custoditi; le guide alpine sono costrette a intervenire periodicamente anche con gli elicotteri». Il rispetto dell' ambiente è anche nelle scalate. «Si trovano spesso vecchi mazzi di corde, anche materassini. In Patagonia abbiamo portato via scalette metalliche».

Della Bordella, 36 anni, cresciuto sulle Alpi lombarde, presidente dei Ragni di Lecco dal 2018, ha sempre immaginato le sue conquiste avendo a cuore anche quello che c' è prima e dopo la conquista della vetta. Nel 2017 in Argentina sul Cerro Murallón è salito in stile alpino senza lasciare materiale in parete. Nell' isola di Baffin, l' anno prima, ascesa con protezioni naturali, avvicinamento in sci e ritorno in kayak. Sempre in kayak la spedizione che l' ha reso celebre. Nel 2014, 420 chilometri a pagaiare in Groenlandia, 50 km a piedi, e in mezzo la terribile parete nordest dello Shark Tooth, il dente di squalo, sulla quale ha aperto una nuova via. «È il mio modo di vivere la montagna, con una condotta più pulita possibile. Ma non condanno gli altri, ognuno la vive a modo suo. Il tema della crescente commercializzazione è delicato. Egoisticamente dico che per me è sbagliato, ma per molti rappresenta una prospettiva di vita e lavoro. L' importante è preservare l' ambiente, non distruggerlo».

Della Bordella ha un modo di parlare misurato ma sicuro, come le sue arrampicate. L' ultimo anno è stato per lui particolarmente difficile. Ha perso nel giro di pochi mesi due compagni di cordata, Matteo Bernasconi (con il quale nel 2013 era salito sull' inviolata parete ovest della Torre Egger) e Matteo Pasquetto. Nel febbraio 2020 erano tutti e tre sorridenti in cima all' Aguja Poincenot. «È stata dura, all' improvviso mi sono caduti addosso due macigni. Ti fai tante domande, ti chiedi se sia giusto andare avanti in questo sport». Nel 2007 un altro dramma personale, la perdita del padre Fabio con cui aveva affrontato le prime avventure. «Dopo una tragedia così grande ne esci fortificato. Adesso voglio ricordare i miei amici per quello che mi hanno dato, per i regali e i momenti vissuti insieme. Bisogna accettare la montagna e la natura, ricordarsi sempre che noi siamo ospiti». Rispetto e consapevolezza. Lo stesso spirito che adesso lo spinge in questa nuova impresa, a suo modo estrema. Togliere dalle montagne il male che gli abbiamo lasciato. (Corriere della Sera)

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