Le visite dei pontefici
Giustiziato per gelosia. Lo hanno punito, con un profondo taglio alla gola dopo avergli legato mani e piedi con lo scotch, proprio sotto la croce in ferro alta tre metri della Chiesa di San Martino
Giustiziato per gelosia. Lo hanno punito, con un profondo taglio alla gola dopo avergli legato mani e piedi con lo scotch, proprio sotto la croce in ferro alta tre metri della Chiesa di San Martino al Poggio di Sant’Angelo in Vado nel Pesarese, dove ipotizzavano si incontrasse con la fidanzata di uno dei due: del ventenne albanese che, insieme all’amico e connazionale diciannovenne, è stato fermato ieri sera dopo oltre 14 ore di interrogatorio perché sospettato di averlo ucciso. Un delitto probabilmente premeditato, che scatena la rabbia degli abitanti. Tra quelli assiepati davanti alla caserma dei carabinieri, quando i due fermati escono per essere accompagnati in carcere qualcuno tenta il linciaggio e urla: «Delinquenti, assassini, dovete morire anche voi!».
La ricostruzione
Ismaele Lulli, 17 anni, scaraventato domenica scorsa in un dirupo profondo 50 metri dopo essere stato sgozzato, ha pagato con la vita l’innocente corteggiamento di una ragazza di 19 anni. Fidanzato con una coetanea, Ismaele aveva una simpatia per quell’amica più grande di lui che incontrava, forse sul Poggio. Era amico anche dei due albanesi (il ventenne è stato bloccato dai carabinieri mentre pare organizzasse la fuga): tutti e quattro i giovani frequentavano, senza brillanti risultati, l’Istituto alberghiero di Piobbico. Si incontravano alla fermata della corriera che da questo paese di 4 mila anime - capitale del tartufo bianco e paesaggio da cartolina - prendevano per andare a scuola. Ma anche nella piazzetta. Amicizia tra ragazzi, con i soliti messaggi e post condivisi sui social media, che è sfociata in un’assurda gelosia alimentata dal desiderio di possesso più che da un sentimento d’amore. Ed è un sms spedito dai due albanesi a Ismaele ad aver messo in allarme gli investigatori e il pm Irene Lilliu. «Ti passiamo a prendere con la macchina per andare a fare un bagno al fiume» gli hanno scritto, tenendogli un tranello. Una volta al Poggio è scattata la loro vendetta.
Gli indizi
I due presunti assassini, in Italia da quasi 6 anni con regolare permesso di soggiorno, figli di due muratori con una piccola impresa edile, sono sospettati di aver eseguito un’esecuzione in piena regola. Incensurati ma spietati come la pericolosa mala albanese. Anche se poi si sono traditi in mille modi, inanellando diversi errori. Contro di loro c’è una montagna di indizi. Come in una sorta di Pollicino dell’orrore hanno seminato la via della fuga con i propri vestiti macchiati di sangue. Ne hanno rinchiuso alcuni in buste di plastica lanciate nel dirupo e buttati altri in mezzo ai boschi secolari. I carabinieri agli ordini del colonnello Antonio Sommese e quelli del Ris hanno tra le mani molto materiale che compromette la loro posizione. Comprese anche le impronte digitali sullo scotch usato per immobilizzare mani e piedi del diciassettenne e sul suo telefonino. C’è la loro regia infatti dietro quell’improbabile e misterioso sms di Ismaele alla mamma e alla fidanzata, «Cambio vita e vado a Milano. Non cercatemi», alle 16 di domenica. Uscito di casa alle 10 il ragazzo non aveva dato più segni di vita, inducendo la madre a denunciarne la scomparsa.
La madre
«Mio figlio ha fatto una fine atroce - piange disperata la donna, madre di Ismaele che ha anche una bimba di 4 anni - Non si può morire così, non li perdonerò mai». L’autopsia ieri è stata lunga e laboriosa anche per capire se le escoriazioni sul corpo sono dovute al trascinamento di quel ragazzo magro ma alto 1 metro e 80 o ferite post mortem. Il sindaco Giannalberto Luzi osserva: «Ismaele, come il sedicenne morto per ecstasy a Riccione, è una vittima di un mondo adulto che non sa dedicare sufficiente attenzione ai ragazzi dai 13 ai 18 anni, nel momento più delicato». Amici e parenti chiedono «condanne certe», mentre suonano profetiche le parole di Ismaele su Facebook: «Non si smette mai di imparare a star in guardia dagli altri, mai». La Stampa
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