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Zuppi: La piazza ci cambia nell'incontro con gli altri

Repubblica Ansa
Pubblicato il 11-07-2020

L'intervista del quotidiano Repubblica al cardinale Matteo Zuppi

«Mi viene in mente il monito di papa Francesco: non vivere nelle torri, ma incontrarsi nelle piazze.
Tanto più ora, significa ritrovarsi come comunità». Il cardinale Matteo Zuppi legge la piazza di Bologna, che per tre giorni ha ospitato Repubblica delle Idee, come una ripartenza.

Arcivescovo, in questa piazza si è vista l’Italia che vuole rinascere dopo il lockdown.
«L’isolamento, le torri in cui abbiamo dovuto rinchiuderci per forza, è stato utile: ci ha protetto dalla pandemia, ma ora dobbiamo riprendere a incontrarci, nel rispetto delle misure sanitarie, come è avvenuto a Bologna. Soprattutto dobbiamo fare tesoro di quello che abbiamo vissuto. Non è che è passata la nottata e che possiamo riprendere da dove eravamo rimasti. Questo virus ci ha cambiati».

In cosa?
«Nella consapevolezza del male. Ci siamo resi conto che il male non è qualcosa di eludibile o una disgrazia che può capitare in una vita che va sempre bene. È una realtà che ci sfida e che ci costringe a stare sempre all’erta. Credevamo di poter vivere sani senza accorgerci che il mondo è malato: ecco cosa ci ha insegnato la pandemia».

Pensa che sia una lezione che abbiamo imparato?
«Le fragilità che la pandemia ha liberato sono diventate domande di impegno, necessità di confronto di idee. Nessuno si può tirare indietro, dobbiamo maturare la consapevolezza che siamo tutti sulla stessa barca. Il che non vuole dire che dobbiamo pensarla tutti allo stesso modo, il pensiero unico è pericoloso. Quello che dobbiamo trovare è il modo di remare in una stessa direzione: è un grande sforzo che richiede cambiamento, esige di uscire dalle logiche di barche contrapposte. Questa è la spiegazione che io do della necessità della piazza come luogo di confronto e non di scontro ideologico. Stare in piazza non è tempo perso, non è fare salotto, ma è indispensabile per affrontare e risolvere i problemi insieme. La piazza ci cambia, è l’incontro con l’altro che ci mette in discussione e ci completa».

L’Italia è a un bivio, può scegliere di essere ora protagonista di una nuova stagione di diritti in Europa, non crede?
«Il fatto di essere a un bivio dobbiamo capirlo. La tentazione è quella, al contrario, di nascondere i problemi, di pensare che le soluzioni siano facili. Occorre rigore nelle risposte. Ricordo Carlo Urbani, il medico vittima della Sars: diceva che la superficialità, peggio ancora se urlata, è davvero intollerabile pensando alla serietà dei problemi e alle sfide che ci aspettano, come quella della povertà».

La Curia di Bologna riceve i dividendi della multinazionale Faac di cui è proprietaria. Lei ha destinato un milione di euro a chi è stato messo in difficoltà dal Covid.
«Solo che il fondo è finito e non siamo riusciti ad aiutare tutti, ci metteremo col cappello in mano a chiedere solidarietà. L’emergenza sanitaria è finita, almeno speriamo, quella sociale si aggrava».

Quali le priorità per la ripartenza?
«Gli anziani: va rivista l’assistenza, vanno protetti di più, non isolati lontano dalle loro case. Il lavoro, in particolare per dare futuro ai giovani, e l’ambiente. Il nostro impegno in stili di vita sostenibili non è più rinviabile».

Il festival si è chiuso con un omaggio a Ennio Morricone, originario di Trastevere come lei.
«L’orgoglio del rione c’è tutto, lo ricordo come un uomo generoso e per l’incanto della sua musica».

Ilaria Venturi - Repubblica

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