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Un destino comune dentro la fragilità

Roberto della Seta - Alberto Sciajola Pixabay - ArtCoreStudios
Pubblicato il 31-03-2020

Intervista al filosofo Mauro Ceruti, autore di «Evoluzione senza fondamenti»

Per Mauro Ceruti, protagonista della riflessione filosofica sul tema della complessità (docente presso l' università Iulm di Milano, fra i suoi ulti mi libri c' è Evoluzione senza fon damenti per Meltemi), l' attuale crisi sanitaria archivia una volta per tutte l' idea lineare del progresso e spinge l' uomo contemporaneo ad accettare l' incertezza come condizione inevitabile dell' esistenza e a fronteggiarla nel segno di una comunità di destino planetario.

La storia dell' Homo sapiens convive da sempre con le epidemie. Nulla di nuovo dunque, o questa pandemia porta con sé segni e significati inaspettati?
I virus vanno visti anche nel tempo e nel contesto di origine e di propagazione. La loro storia comincia quattro miliardi di anni fa, molto prima della nostra. Riducendo il loro habitat naturale, con le de forestazioni, hanno sperimentato il «salto» dall' ospite animale a quello umano. La novità è che ora si evolvono in un ambiente che l' uomo ha modificato radicalmente, soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale e poi con il colonialismo. Dobbiamo capire come l' antropocene cambia la vita di questi microrganismi patogeni e cosa dobbiamo modificare noi, nel nostro modo di vivere, per potercene difendere meglio. Siamo sempre più attrezzati scientificamente per farlo, ma per affrontare il tema delle epidemie nella sua complessità, dobbiamo smettere di considerarci «padroni e possessori della natura».

Pensa che questa crisi, pure con tutte le sofferenze che portacon sé, potrà essere ricordata come un «esame di maturità» per l' uomo contemporaneo?
La pandemia ci pone di fronte ai rischi della condizione globale. La condizione umana è trasformata da un imprevisto e simultaneo aumento di potenza e d' interdipendenza. Già l' esplosione atomica di Hiroshima, nel 1945, era stata la campana d' allarme di una possibilità fino ad allora inconcepibile: l' autoannientamento dell' umanità. Da lì è nata una comunità di destino planetaria, di tutti i popoli della Terra: abbiamo scoperto di vivere in un' ecumene completamente umanizzata, dove ogni evento locale rischia di comportare, almeno in potenza, conseguenze che possono amplificarsi su scala globale. Questo oggi si rivela attraverso il volto invisibile di un virus e dilata all' estremo l' orizzonte delle responsabilità individuali e collettive.

La crisi sanitaria può farci partecipare a questa coscienza in modo più intenso e forse irreversibile: perché rende evidente quanto siano complessi e inestricabili i fili della globalizzazione antropologica, economica e politica. Abbiamo, però, ereditato dal paradigma cartesiano l' abitudine a pensare che le cose abbiano una spiegazione semplice, anche se a volte non riu sciamo a vederla; vorremmo sempre trovare un ordine, un funzionamento elementare nelle cose o una soluzione univoca e semplice ai problemi. Il morbo della semplificazione si accompagna, poi, alla droga della quantificazione. È anche un' urgenza morale, quindi, adottare un nuovo paradigma, che ci porti ad accettare la complessità del mondo.

Vede, come altri, il rischio che il coronavirus riesca dove i sovranisti hanno finora fallito e si riveli un' arma letale contro l' idea europea?
L' epidemia ha fatto emergere nell' immediato la scarsa solidarietà tra i partner europei, che però viene da lontano. Da molto tempo l' Ue ha privilegiato obiettivi finanziari, trascurando quelli sociali, e si è bloccata sull' integrazione politica, a parte qualche prerogativa in più del suo Parlamento. Da solo il mercato unico europeo non genera solidarietà, coesione, senso d' appartenenza, che si alimentano con la condivisione di principi, visioni, sentimenti.

Poi sebbene nelle ultime elezioni europee l' onda dei partiti sovranisti si sia attenuata, però il vento dei nazionalismi continua a soffiare, trascinato dal morbo della semplificazione. Così, questa crisi ha dato nuovo vigore agli egoismi nazionali, fino all' assurdo di chiudere le frontiere anche per le esportazioni di materiale sanitario all' interno del mercato comune. I governi temono di perdere consenso nel mostrarsi solidali al di fuori dal perimetro nazionale. È ciò che tiene, d' altra parte, sotto scacco una politica comune in materia di immigrati e profughi e che ha portato a scelte scellerate come affidarsi alla Turchia per gestire il problema dei rifugiati siriani. Ma non è scontato che per i sovranisti cresca il consenso.

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