Le visite dei pontefici
A quanti naufragi si dovrà arrivare per provare empatia per quell'umanità che affoga nel nostro mare
Erano soprattutto donne. Qualche bambino e pochi uomini. Forse erano mamme e qualche papà. Ma i 24 corpi di donne, insieme a tre bambini di età fra i 3-4 anni, trovati tra le decine di cadaveri recuperati dalla Marina tunisina, raccontano un viaggio nuovo soprattutto al femminile. Che non ha riscontrato la nostra empatia per raccontarlo nella sua crudele tragicità e disumanità.
Eppure, quei corpi dovevano essere di donne forti, indipendenti e coraggiose per lasciare l'Africa sub sahariana e incamminarsi verso il nord Africa, Tunisia. Avevano deciso di sfidare il mare ma soprattutto la nostra ignavia e il nostro cinismo come Europa, culla dei diritti e della civiltà, ma oggi incapace di gestire uno dei fenomeni della storia dell'umanità, l'emigrazione, lasciandola compiersi nell'ennesimo naufragio.
Le continue morti nel Mediterraneo, che non ci indignano più da farci prendere non solo posizione ma iniziative lungimiranti, sono il naufragio della nostra civiltà. Presi dall'emergenza coronavirus, e nella bulimia degli eventi - da ultimo gli Stati Generali - rischiamo di non aver raccolto la lezione di quanto questa pandemia ci ha voluto segnalare: nessuno può farcela da solo. Dove quel "nessuno" siamo noi ma anche il resto del mondo che ci circonda.
Continuare a ignorare, o peggio a delegare ad altri il lavoro sporco di gestire - lontano dai nostri occhi e dalla fragilità dei nostri cuori - quanto accade a poche miglia dalle nostre coste, non è solo miope politicamente, simbolo di codardia, ma anche un campanello d'allarme sulla nostra incapacità di avere una visione su una sfida che è epocale, dove l'Italia è centrale, insieme al nostro senso di civiltà, che abbiamo faticato a conquistare e dovremmo difendere a tutti i costi invece di barattarla per calcoli politici fondati sulle percezioni e le paure del momento, più che sulla realtà contingente che va studiata, calcolata con uno sguardo a lungo termine.
E allora penso a questo ultimo naufragio e a quelle tante donne negli abissi del Mar Mediterraneo insieme a quei piccoli corpi di bambini e quegli altri forzuti dei nove uomini, e sento quanto laggiù non si possa respirare.
Anche loro come i tanti morti nel Mediterraneo intenti ad arrivare in Europa, non riuscivano più a respirare. Mi torna in mente l'immagine di George Floyd, la sua testa sotto il ginocchio del poliziotto. Non riesce a respirare e soffoca. Nel naufragio non si respira e si affoga, senza nemmeno poter gridare. E non c'è nessuno scatto, filmato che immortali quella tragedia, quella morte violenta che da anni continua a essere seppellita nel Mar Mediterraneo. Penso a tutti coloro che si sono inginocchiati giustamente per George Floyd e mi domando quando arriverà il momento e a quanti naufragi e corpi si dovrà arrivare per provare empatia per quell'umanità immensa, che continua ad affogare nel nostro stesso mare.
Karima Moual - La Stampa
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