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SALVEZZA, IL PRIMO FUMETTO SUI MIGRANTI. INTERVISTA A LELIO BONACCORSO

Domenico Marcella
Pubblicato il 10-07-2018

Il fumetto coinvolge in maniera diversa, e noi abbiamo scelto di intraprendere questa strada, non soltanto per seguire le nostre passioni ma per affrontare principalmente temi legati al sociale

Esistono vari tipi di fumetto: quelli fantasy, i manga, quelli horror e quelli satirici. “Salvezza” è un fumetto alternativo, non certo perché riservato alla nicchia di appassionati dell’underground comics, ma perché è una graphic novel destinata a principalmente a chi vuol farsi un’idea, a chi vuol capire, a chi desidera annientare tutti quei pregiudizi e luoghi comuni che assumono ingombranti sembianze ogni volta che si parla di sbarchi e immigrazione. Artefici dell’operazione – di questo libro a fumetti, edito da Feltrinelli Comics – sono Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso che –  dopo tre settimane a bordo della nave Aquarius, a stretto contatto con gli operatori di SOS Méditerranée e Medici senza frontiere – hanno scelto di narrare le esperienze degli uomini, delle donne e dei bambini giunti nel cuore del Mediterraneo su barconi e gommoni, per incontrare la salvezza o addirittura la morte. Lelio Bonaccorso ci spiega che «Il fumetto coinvolge in maniera diversa, e noi abbiamo scelto di intraprendere questa strada, non soltanto per seguire le nostre passioni – il fumetto per me e il giornalismo per Marco – ma per affrontare principalmente temi legati al sociale».


“Salvezza” è un lavoro giornalistico insolito, un reportage a fumetti.

«Avevo già realizzato un reportage analogo sul Sinai con Marco Brucini, stando quaranta giorni tra le tribù beduine».


 “Salvezza” però ha un primato.

«Sì, è  il primo fumetto sui migranti realizzato a bordo di una nave Ong».


Cosa vuol dire imbattersi in una realtà cruda per poterla raccontare?

«Vuol dire principalmente parlare con cognizione di causa. La realtà è sicuramente molto più drammatica di quanto si possa immaginare, nel fumetto non si percepiscono le urla e gli odori. Ma quando leggo commenti sui social di persone che sputano sentenze senza avere la minima idea di quello che succede a bordo, m’indigno un po’. Ho assistito alle operazioni di soccorso, ho visto con i miei occhi  le ferite, le cicatrici i segni delle violenze inflitte alle donne; ho incrociato anche gli sguardi dei bambini frutto di quelle atroci torture. Con Marco abbiamo inserito soltanto alcuni racconti. Su quelli più cruenti abbiamo tentennato per le ragioni che puoi immaginare».


Un carico di emozioni forti.

«Che ti segna profondamente. Quando siamo tornati, siamo stati in bilico tra il senso di responsabilità del dover raccontare e la più profonda arrabbiatura.  Lavorare alla realizzazione di “Salvezza” è stato anche terapeutico perché siamo riusciti a tirare fuori la sofferenza che avevamo assorbito a bordo».


Tre settimane a mettere il dito nel costato di quella sofferenza. Poco fa accennavi all’indignazione che si prova davanti a certe esternazioni. 

«Sì, perché in questa fase, in Italia, è come se si volessero mettere le persone le une contro le altre. Bisogna evitare sempre di insultare, ma dialogare per comprendere. La disinformazione spopola. Parlo con cognizione di causa, anche perché “Salvezza” non è un fumetto a favore di qualcuno, ma racconta quello che noi abbiamo visto. Ci sono delle persone che operano instancabilmente per salvare altri esseri umani, e definirli criminali è ingeneroso e calunnioso. La Rete, poi, il mezzo di informazione più diffuso, crea soltanto disordine».


Saltellando dalle fake news ai fotomontaggi.

«L’ennesimo atto indegno. C’è da riflettere, soprattutto, su quello che la politica in questo Paese sta creando. Si confezionano notizie e immagini per far guardare agli elettori quel che vogliono vedere».


Dirottare la loro attenzione altrove sembra ormai un’impresa un tantino ardua.

«Difficile, ma non impossibile. Da sempre, l’unica strada contro la propaganda è la conoscenza ché genera la consapevolezza e ci rende liberi di scegliere. Con Marco in passato abbiamo realizzato anche un fumetto per spiegare il fenomeno dell’immigrazione ai bambini. Durante la presentazione, erano in molti a chiederci che avremmo dovuta spigarla agli adulti perché i bambini non si pongono affatto il problema, anzi ci insegnano che abbiamo più cose in comune di quanto la paura, l’ignoranza e un colore possano farci credere».


Sfogliando “Salvezza” ci si accorge che il colore dominante è l’arancione.

«L’arancione è il colore dei giubbotti di salvataggio, è il colore che racchiude la speranza di voler essere salvato e di voler salvare. È il colore che ci insegna, in fondo, non fa poi così tanto schifo»


Dài, ribadiamolo: il mondo non fa schifo.

«Per niente. E torno ancora sui bambini perché a loro non importa se uno è bianco, nero o giallo; giocano, si uniscono, si divertono. Il seme dell’intolleranza vien inculcato in maniera subdola da chi ha il potere. Se ci fai caso, non esiste un grande accanimento verso quel 5% di super-ricchi che da soli potrebbero colmare il debito e risanare il pianeta, si pensa soltanto ai poveri disgraziati che si buttano su una nave per fuggire dalle angherie e mettersi in salvo».


I supereroi dei fumetti combatteranno sempre contro i cattivi. Concludiamo così?

«Sì, perché spero che sempre più persone possano diventare supereroi  dedicandosi alla conoscenza, intesa come unica e vera forma di libertà individuale. Basterebbe un attimo per annientare e isolare tutti i pensieri negativi di coloro che esultano perfino davanti alla morte dei bambini. Ecco, il senso del supereroe è questo: conoscere, per essere felici e rendere il mondo più bello».


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