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Rogo Assisi, funerali Paola e Simone, Basilica San Francesco colma di gente. Le parole di Mons. Sorrentino

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Una madre che si è consumata in un sentimento d'amore

Carissimi fratelli e sorelle,
la dolcezza del nostro Natale assisano è stata violentemente scossa. Una tragedia, quella di Paola e Simone, che ha gettato nello sgomento l’intera Città.

La partecipazione affettuosa al dolore della famiglia Angeletti ha fatto emergere i lineamenti spesso nascosti di una Città che, pur nelle condizioni proprie della coabitazione col flusso turistico- religioso, in tante occasioni – anche in una circostanza triste come questa - riesce a sprigionare il calore antico della solidarietà. Dentro questi sentimenti c’è già, comunque lo si voglia chiamare, un afflato religioso.

Ma quando la tragedia colpisce così improvvisa, ci viene anche la voglia di interrogare il nostro Dio. Ci sembra quasi che, nei momenti della difficoltà, egli sia stato latitante. Non poteva forse darci un aiuto maggiore, che ci avesse messi in grado di far fronte al pericolo e di uscirne vincitori? E chi non avrebbe desiderato questo per la signora Paola, nel momento in cui, obbedendo ai sentimenti di un’autentica madre, si è lanciata nel rischio, soccombendo per amore, preferendo seguire Simone, ormai braccato dalla morte, nell’ultimo viaggio?
Abbiamo ascoltato, nella Parola di Dio, il grido di Giobbe. Nella Bibbia questa figura è l’espressione dell’umanità schiacciata dal dolore, che lancia il suo grido verso Dio. Un grido che amici di poco cuore, nel loro dialogo con Giobbe, avevano cercato quasi di smorzare con vane parole. Giobbe avrebbe preferito il silenzio. Di fronte a tragedie come questa, il silenzio commosso può forse dire più delle parole. Ma è anche necessario gettare nella notte del dolore uno spiraglio di luce. Non ci verrà dalle nostre parole, ma dalla parola di Dio, l’unica che veramente conta. E che salva.

E questa, nel libro di Giobbe, ha uno sprazzo di luce e di consolazione, al quale Giobbe si aggrappa con tutta la sua fede: “Io lo so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere. Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio”. Il modo di essere di Dio nella nostra vita è misterioso. Egli si fa presente nel silenzio. Ci obbliga così ad aprirci alla sua parola facendoci carico della fatica del vivere. Senza questa fatica, nella quale il nostro peccato appesantisce la nostra già grande fragilità, non diventeremmo mai adulti. Dio cammina con noi, “soffrendo” con noi, ma pronto ad ergersi sulla nostra polvere per ridarci una speranza che non finisce, quando la nostra carne è distrutta. Un mistero grande, che trova in Gesù morto e risorto la sua garanzia.

Paola e Simone, lo vogliamo pensare con fiducia, lo hanno incontrato nel luogo dove non c’è più pianto. E abbiamo fiducia che lo abbiano incontrato anche perché hanno seguito, come hanno potuto e saputo, con le fragilità di cui tutti facciamo esperienza, il comandamento dell’amore, che ci fa incontrare tra di noi come fratelli, e fa incontrare Cristo già in questa vita soprattutto nelle situazioni dei sofferenti da abbracciare con tenerezza fraterna. E’ il messaggio che ci viene dal vangelo appena ascoltato: “Ero affamato e mi avete dato da mangiare, ero ammalato e siete venuti a visitarmi.. “ Gesù è presente nella condizione dei sofferenti. In questo incontro con lui si gioca la partita della nostra vita. Alla fine saremo giudicati sull’amore.

Non ho avuto modo di conoscere da vicino Paola e Simone. Li ho occasionalmente incontrati, come altri membri della famiglia Angeletti ai quali porto il mio abbraccio affettuoso, a partire dagli altri due fratelli di Simone. Ma quello che ho sentito dire di loro mi ha veramente commosso. Simone! In quel modo di essere che inevitabilmente evidenziava una sua limitazione, brillava una umanità semplice e bella, capace di affetto, di darlo e di riceverlo. Incontrandolo, gli assisani lo sentivano come uno di casa, e facevano esperienza di una Assisi che sente il desiderio di essere sempre più una famiglia.

La Signora Paola ha vissuto momenti difficili, affrontando dignitosamente la perdita del marito e le fatiche della vita familiare, facendo il suo lavoro in un modo che sapeva non soltanto offrire un servizio, ma anche intrecciare parole e sentimenti di umanità. Viveva così la “cultura dell’incontro”, alla quale ci incoraggia papa Francesco. Nell’ultima scelta, quella che l’ha portata a sacrificarsi, ha rivelato il meglio di sé. Si è consumata in un sentimento di amore. E se Dio è Amore, come noi crediamo, la vogliamo pensare già in Dio, mentre la raccomandiamo alla sua misericordia.

In questa Basilica, da entrambi frequentata, essi ricevono ora una benedizione che certamente san Francesco otterrà abbondante. Come non riascoltare, in questo momento, le parole del suo cantico, nella strofa di sorella morte? Laudato Si’ mi Signore per Sora nostra morte corporale,/da la quale nullu homo vivente po’ scappare./ Guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali./ Beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,/ ca la morte secunda no’l farà male.

Ecco, siamo invitati a crederlo: la morte, nonostante la sua bruttezza ripugnante, può diventare sorella, se affrontata nella fede e nell’amore. Il Signore riempia i familiari di Simone e Paola e tutti quanti noi di consolazione e di speranza.
Omelia Mons. Domenico Sorrentino

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