Le visite dei pontefici
Finora la morte riguardava sempre le generazioni future. Ora tocca a noi
Abbiamo appena celebrato cinquant' anni di matrimonio con Françoise in isolamento il 21 marzo. E abbiamo avuto un pasto più festoso di quello che si addice per la Quaresima!". Rémi Brague doveva decidere dove trascorrere la quarantena, se nel suo appartamento vicino alla stazione Jasmin della metro di Parigi o nella casa di campagna di Nièvre, in Borgogna. Ha scelto la capitale, dove il celebre medievista della Sorbona, che ha costruito il suo lavoro nella tensione fra libertà e responsabilità, filosofia e teologia, Atene e Gerusalemme, sta lavorando al suo nuovo libro sull'islam.
Il progresso, ci spiega Brague, si è come interrotto con questa pandemia.
"Il 1750 è stato l'anno di due discorsi: l'inno al progresso di Turgot e il discorso di Rousseau. La fede nel progresso si basa su due fatti indiscutibili: i progressi nella nostra conoscenza scientifica della natura e quelli nella nostra padronanza tecnologica della natura. Ma ne estrapola l'idea che questi progressi produrranno automaticamente un miglioramento delle leggi e delle pratiche di governo e, grazie a essi, un arricchimento in termini di moralità dei cittadini. Tutto questo dovrebbe avvenire automaticamente, come una sorta di nastro trasportatore. Il XX secolo, questo nadir della storia umana, ha portato una sanguinosa contraddizione ai sogni progressisti: due guerre mondiali, diversi genocidi, carestie (l'Holodomor ucraino) o la stupidità dei dittatori (il 'Grande Salto in avanti' cinese). Tuttavia, non è stato sufficiente e continuano a chiamare 'progresso' qualsiasi innovazione, anche pericolosa, anche stupida".
Una pandemia può curarci da questa illusione?
Brague ne dubita.
Cosa ci indicano tutti questi morti?
"Cultura della vita e cultura della morte sono espressioni che emergono spesso", continua Brague. "Eppure, se ci pensi, sono strane. Prendendo in prestito il vocabolario della stilistica, direi che la prima è una tautologia, la seconda un ossimoro. Ogni cultura è cultura della vita. La parola 'cultura', fin dall'antichità romana che ce l'ha lasciata in eredità, è un'immagine presa in prestito dal latino, la lingua degli orticoltori, dall'agricoltura. La cultura presuppone la vita, così come l'agricoltura presuppone che ci siano piante che aspettano solo di crescere. Le fa produrre fiori e frutti più belli e più variegati di quelli che la natura da sola farebbe.
D'altra parte, 'cultura della morte' è l'espressione contraddittoria che Papa san Giovanni Paolo II ha forgiato per dare il nome a una realtà a sua volta contraddittoria e autodistruttiva. Le nostre società si sono impegnate in una cultura della morte. Ma questa morte l'abbiamo tenuta a distanza fino a ora; è stata sempre la morte di altri. Questo è ciò che facciamo la maggior parte delle volte. Leggi Heidegger: chi muore è 'noi'. Per i nostri intellettuali e i nostri esteti, la morte era oggetto di un gioco. Tutta la società l'ha vissuta solo per procura, in questo lento suicidio demografico che conosciamo fin dagli anni Sessanta.
L'estinzione sarebbe per gli altri, per le generazioni future. Per il momento, potremmo comportarci come disgustosi vecchietti che vivono del lavoro dei loro figli e guardano in televisione la morte degli altri, in Siria o altrove. La pandemia potrebbe, forse, al contrario, avvicinarci alla cultura della vita. Per ora gli eventi ci stanno riportando alla realtà. La morte potrebbe benissimo essere la nostra".
Tutti dicono che non eravamo preparati.
"E' stato già detto per quasi tutti i disastri della storia, come l'ultima guerra mondiale. E' una conseguenza di quella che il filosofo francese Henri Bergson ha chiamato 'illusione retrospettiva': una volta che un evento è avvenuto, vediamo tutto ciò che pensavamo di vedere in passato e che non vedevamo all'epoca. Ma se possiamo vedere queste prefigurazioni è proprio perché il presente proietta sul passato la luce che le rende visibili. Novalis ha detto che lo storico è un profeta rivolto al passato. Forse era a questo che stava pensando".
A Brague, cattolico, manca molto la messa della domenica. Ci sarà un affossamento o una ripresa del cristianesimo?
"Non ne sono sicuro. Possiamo sperare che sia così, naturalmente. Il guaio è che chi si esprime sulla pandemia che stiamo attraversando la vede sia come una conferma delle sue analisi precedenti, sia come una prefigurazione dei suoi desideri per le diagnosi e i rimedi futuri che possono variare completamente. Non voglio davvero far parte di questa folla in crescita. Quella che lei chiama l'emarginazione della cultura giudeo-cristiana è un fatto spettacolare. Aggiungerei, per qualificare questa cultura, altri aggettivi, e soprattutto greco-latina. La cultura di cui siamo eredi e beneficiari è una palla di neve che continua a crescere. Questo può accadere solo se manteniamo la continuità tra gli elementi che la arricchiscono, se non giochiamo uno contro l'altro, se non cerchiamo a tutti i costi di gettare via gli ormeggi del passato che ci hanno creato"... (Il Foglio)
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