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Porpora e popolo, la carica dei 101 cardinali del Papa

Miguel Gotor - La Repubblica Ansa/Vatican Media
Pubblicato il 29-11-2020

Francesco aggiunge un tassello al futuro Conclave: vicino agli ultimi e globalizzato

Oggi papa Francesco celebra nella Basilica Vaticana il settimo concistoro del suo pontificato, elevando alla porpora tredici nuovi cardinali. Nove di loro, avendo meno di 80 anni, avranno il diritto di partecipare a un nuovo conclave. Se il poeta Gioacchino Belli potesse assistere alla cerimonia non esiterebbe a celebrare Li cardinali novi e Li cardinali ar Concistoro per citare i titoli di alcuni suoi sonetti con cui riprendeva gli aspetti più teatrali del cerimoniale dei «ppeperoni» - così li chiamava per il colore rosso della veste - irridendo la stanca ritualità curiale ottocentesca, ormai svuotata, a suo poetico giudizio, di ogni spiritualità. Eppure, secondo una plurisecolare tradizione di recente ricordata da papa Francesco, la berretta color porpora dei cardinali ha un valore cromatico pungente come una spina in quanto serve a ricordare al mondo che devono essere disposti a offrire la loro testimonianza evangelica fino all’effusione del sangue. Nel corso di sette anni di pontificato papa Bergoglio ne ha nominati centouno, di cui settantanove potranno eleggere il nuovo papa, i quali si vanno ad aggiungere ai trentanove scelti da Benedetto XVI e ai sedici superstiti dell’era di Giovanni Paolo II. L’investitura dei nuovi principi della Chiesa costituisce un atto di governo di esclusiva prerogativa del papa, il quale può subire solo l’influenza della tradizione ecclesiastica, il che rende ancora più interessanti le originalità, le anomalie e gli scarti. È parziale lo sguardo di chi sostiene che il papa con i concistori forgia il collegio che individuerà il suo successore a propria immagine e somiglianza perché la storia della Chiesa è piena di sorprese. Tuttavia, è vero che l’analisi delle scelte compiute e le singole biografie dei cardinali permettono di tratteggiare l’idea di Chiesa del pontefice regnante, misurando La giusta statera dei porporati per citare il titolo di un trattato del 1648 dedicato a questo argomento, un genere editoriale antico e sempre in auge.

Il mix di vecchi e giovani
Si diceva degli scarti rivelatori. Mi pare che il primo profilo della politica concistoriale di papa Bergoglio tenda a valorizzare il dialogo tra le generazioni e l’idea di una Chiesa composta da vecchi e da giovani perché la vita in ogni fase può disvelare la pienezza del suo più profondo significato. Papa Francesco è riuscito nell’impresa di elevare per ben due volte alla porpora i più anziani cardinali dell’intera bimillenaria storia della Chiesa: il primo è stato Loris Capovilla, segretario particolare di Giovanni XXIII ai tempi del pontificato e del Concilio Vaticano II, il quale nel 2014, alla veneranda età di 99 anni, ha conseguito la dignità cardinalizia. L’anno successivo è stato scelto, a 96 anni, il colombiano José de Jesús Pimiento Rodríguez, anche lui presente al Concilio Vaticano II, nominato vescovo da Pio XII nel 1955 e morto a cento anni nel 2019. Ad armonico completamento di questo disegno, ispirato dalla ricerca gesuitica dell’unità degli opposti, il papa argentino ha chiamato alla responsabilità della porpora il centroafricano Dieudonné Nzapalainga, nato nel 1967, e nominato a soli 49 anni nel 2016. A seguire, nel 2019, ha prescelto il letterato portoghese José Tolentino de Mendonça, classe 1965, che l’anno prima era diventato arcivescovo e, contestualmente, promosso al prestigioso incarico di Bibliotecario di Santa romana Chiesa, una dignità che per tradizione, dal 1548 in poi, con due sole eccezioni, prevede l’assegnazione del cappello cardinalizio.

Dalla parte dei poveri e dalle periferie
Il secondo principio ispiratore di papa Bergoglio racconta la scomoda realtà di una Chiesa dei poveri e delle periferie. La morale della favola è che si fa centro fuori dal centro e bisogna vivere l’impegno ecclesiastico scalando il versante pastorale della montagna, quello frequentato dagli ultimi della terra. Dentro questo impervio territorio si iscrivono le nomine del cardinale Matteo Maria Zuppi, frequentatore sin da ragazzo, con la sua sessantottina borsa di tolfa a tracolla, delle borgate romane con la nascente Comunità di Sant’Egidio, ma anche quella del parroco, da oggi cardinale, Enrico Feroci, per anni direttore della Caritas di Roma. Ma bisogna anche ricordare Augusto Paolo Lojudice, nato nel 1964, parroco del popolare quartiere romano di Torre Maura, il quale è da sempre impegnato a fianco dei Rom a cui il papa ha detto: «Continua a sporcarti le mani come hai sempre fatto». A suo fianco si distingue il gesuita Michael Cznery che nel suo stemma cardinalizio ha voluto un barcone carico di immigrati e che porta al collo una croce fatta con il legno sverniciato dalla speranza di una nave utilizzata per arrivare a Lampedusa dagli uomini-pesce del nostro tempo. Infine, il cardinale elemosiniere del papa, il polacco Konrad Krajewski, classe 1963, conosciuto come «don Corrado» dai senza tetto che affollano i porticati di via della Conciliazione, al quale il papa ha impartito l’ordine di «non restare dietro la scrivania ». Detto, fatto: e, nel maggio 2019, il neo-cardinale si è recato a riallacciare la luce in un palazzo occupato da 400 persone a Santa Croce in Gerusalemme, tra le rimostranze dei benpensanti e dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini.

Voci del dialogo interreligioso
La terza traiettoria di Francesco vuole tracciare l’immagine di una Chiesa ecumenica favorevole al dialogo interreligioso: Ignazio di Loyola ha insegnato che bisogna cercare più quello che unisce di quello che divide perché, come ha ricordato papa Francesco, «la Chiesa non è una gabbia dello Spirito santo ». Lo rivelano le nomine del frate carmelitano Anders Arborelius, primo cardinale nella storia proveniente da un Paese protestante come la Svezia, e quelle del patriarca dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, originario dell’Irak straziato, e dell’Arcieparca degli Etiopi Berhaneyesus Souraphiel, entrambi con i loro riti speciali in arabo, aramaico o in lingua ge῾ez. Così anche, con l’elezione del messicano Feliper Arizmendi Esquivel, si è voluto riconoscere il suo impegno a favore delle popolazioni del Chiapas e della teologia India con cui si sta cercando di armonizzare la sincretica spiritualità dei popoli precoloniali con il cattolicesimo.

I Paesi emergenti
Il quarto e ultimo aspetto propone un’idea di Chiesa evangelizzatrice, proiettata nel mondo con uno slancio missionario che trasforma di continuo i vecchi confini in nuove frontiere: e così per la prima volta il Ruanda, il Brunei, Haiti, Santo Domingo, la Birmania, Panama, Capo Verde, Tonga, la Repubblica Centroafricana, il Bangladesh, la Papua Nuova Guinea, la Malesia, il Lesotho, il Mali, El Salvador e il Laos hanno un principe della Chiesa nella loro storia, che porterà il punto di vista di mondi lontani riunificati dal vangelo della globalizzazione. Questo allargamento pastorale a figure nuove fa sì che vescovi di sedi un tempo considerate per tradizione automaticamente cardinalizie per la loro importanza come Parigi e Milano continuano a rimanere senza porporati, forse anche perché i predecessori degli attuali arcivescovi, sono cardinali e hanno ancora meno di ottant’anni.

L’asse gesuiti-francescani
Un discorso a parte merita la fusione della spiritualità gesuita con quella francescana proposta dal papa, che costituisce il nocciolo dottrinario e pastorale del suo pontificato e trova espressione anche in queste nomine: papa Francesco finora ha promosso al cardinalato cinque padri gesuiti, ma oggi assegnerà la porpora anche al frate francescano conventuale Mauro Gambetti, nato nel 1965, già custode generale dal 2013 del Sacro Convento di San Francesco in Assisi, sei giorni fa nominato arcivescovo. Al suo fianco ci sarà un terzo frate francescano cappuccino nominato cardinale da questo papa, ossia padre Raniero Cantalamessa, una vita dedicata alla predicazione, anche televisiva, della parola del poverello d’Assisi. Siamo certi che a questo connubio teologico e spirituale, motore invisibile di rapidissime ascese cardinalizie, il poeta Belli avrebbe dedicato un nuovo sonetto che ci sarebbe piaciuto leggere oggi, ma servirebbe un miracolo impossibile, quello che ribalta la storia che passa e il tempo che muore.

di Miguel Gotor, da La Repubblica

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