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Il Papa e il “terrorismo delle chiacchiere”

Edoardo Scognamiglio
Pubblicato il 30-11--0001

Se è vero che la misericordia è una delle costanti del magistero di papa Francesco – infatti, ne ha parlato fin dalla sua elezione al soglio di Pietro –, è altrettanto vero che l’uso cattivo della parola è una critica che appare continuamente nelle sue riflessioni e omelie.



1. Un peccato da non sottovalutare

È stato fatto notare che, nel mese di settembre 2013, papa Francesco fece riferimento al problema del pettegolezzo e della maldicenza per ben quattro volte. Il 29 settembre 2013, celebrando l’Eucaristia per la gendarmeria vaticana, ebbe a dire che le chiacchiere sono una “lingua vietata” in Vaticano, perché è una lingua che genera il male. Il papa aggiunse che la guerra che oggi, almeno qui, si fa è “la guerra del buio contro la luce, della notte contro il giorno”. Il parlare male dell’altro viene dal Maligno e genera una guerra non fisica ma spirituale perché opera divisione in noi stessi e negli altri. Solo tre giorni prima, papa Francesco aveva ammonito: «Un cristiano prima di chiacchierare deve mordersi la lingua». Parlando a braccio, nel corso della catechesi del mercoledì in piazza San Pietro, il papa ha ripetuto ai fedeli che le “chiacchiere fanno male” e, spesso, “feriscono” le persone anche in ambienti come quelli parrocchiali. Le chiacchiere, la maldicenza, la diffamazione, il giudizio superficiale verso l’altro e le calunnie costituiscono un peccato gravissimo da non sottovalutare.



Il 13 settembre 2013, papa Francesco usò toni durissimi: «Su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello. E noi, ogni volta che lo facciamo, imitiamo quel gesto di Caino, il primo omicida della Storia». Le chiacchiere – avvertì papa Francesco – sempre vanno su questa dimensione della criminalità. Non ci sono chiacchiere innocenti. E quando la nostra lingua la usiamo per parlare male del fratello o della sorella, la usiamo per uccidere Dio.



Il 2 settembre 2013 aveva espresso concetti analoghi: «Noi siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Ma quante volte le nostre comunità, anche la nostra famiglia, sono un inferno dove si gestisce questa criminalità di uccidere il fratello e la sorella con la lingua! Una comunità, una famiglia viene distrutta per questa invidia, che semina il diavolo nel cuore e fa che uno parli male dell'altro, e così si distrugga». Il papa chiese ai cristiani di pensare anche alle nostre armi quotidiane: «la lingua, le chiacchiere, lo spettegolare».



2. La maldicenza è un vero atto terroristico

Nella visita a Napoli del 21 marzo 2015, parlando al clero e ai religiosi in Cattedrale, papa Francesco ha fatto esplicito riferimento al terrorismo delle chiacchiere, usando parole molto dure: «Per me, il segno che non c’è fraternità, sia nel presbiterio sia nelle comunità religiose è quando ci sono le chiacchiere. E mi permetto di dire questa espressione: il terrorismo delle chiacchiere, perché quello che chiacchiera è un terrorista che butta una bomba, distrugge stando fuori. Se almeno facesse il kamikaze! Invece distrugge gli altri. Le chiacchiere distruggono e sono il segno che non c’è fraternità. Quando uno incontra un presbiterio che ha le sue differenti vedute, perché deve avere differenze, è normale, è cristiano, ma queste differenze si devono manifestare avendo il coraggio di dirle in faccia. Se io ho qualcosa da dire al Vescovo, vado dal Vescovo e posso anche dirgli: “Ma, lei è un antipatico”, e il Vescovo deve avere il coraggio di non vendicarsi. Questa è fratellanza! O quando tu hai qualcosa contro una persona e invece di andare da lui vai da un altro. Ci sono problemi sia nella vita religiosa, sia nella vita presbiterale, che si devono affrontare, ma soltanto tra due persone. Qualora non si potesse – perché alle volte non si può – lo dici a quell’altra persona che può far da intermediario. Ma non si può parlare contro altro, perché le chiacchiere sono un terrorismo della fraternità diocesana, della fraternità sacerdotale, delle comunità religiose.



Papa Francesco fece riferimento al “terrorismo delle chiacchiere” anche il 7 novembre 2014 nel discorso tenuto ai Superiori maggiori: «Un segno chiaro che la vita religiosa è chiamata a dare oggi è la vita fraterna. Per favore, che non ci sia fra voi il terrorismo delle chiacchiere! Cacciatelo via! Ci sia fraternità. E se tu hai qualcosa contro il fratello, lo dici in faccia… Alcune volte finirai ai pugni, non è un problema: è meglio questo che il terrorismo delle chiacchiere. Oggi la cultura dominante è individualista, centrata sui diritti soggettivi. È una cultura che corrode la società a partire dalla sua cellula primaria che è la famiglia. La vita consacrata può aiutare la Chiesa e la società intera dando testimonianza di fraternità, che è possibile vivere insieme come fratelli nella diversità: questo è importante!».



3. Riscoprire la parola umana

La critica di papa Francesco al pettegolezzo e alla maldicenza diventa per noi motivo oggi per riscoprire il significato biblico e cristiano della parola umana. Di fatti, il mondo biblico – conformemente a una concezione comune nell’antichità – non vede nella parola umana soltanto un suono vano, un semplice mezzo di comunicazione tra le persone: la parola esprime la persona, partecipa del suo dinamismo. di qui la sua importanza nella condotta della vita: a seconda della sua qualità, essa implica, per chi la pronuncia, onore o confusione (cf. Sir 5,13); morte e vita sono in suo potere (cf. Pv 18,21). Per giudicare il valore di un uomo, essa è quindi come la pietra di paragone che permette di provarlo (cf. Sir 27,4-7). Si comprende come i maestri di sapienza ne inculchino il buon uso e ne denunzino i difetti. Il NT non farà che riprendere su questo punto l’insegnamento dell’AT. I moniti circa il cattivo uso della parola sono tantissimi nei testi sapienziali e profetici. Il libro dei Proverbi ricorda che il chiacchierone cade nella scempiaggine (cf. 10,8; 13,3) e nell’indiscrezione ( 20,19) e si fa detestare (cf. Sir 20,5-8). Lo stolto si riconosce dal suo parlare fuori luogo (cf. Sir 20,18ss.) e la parola dei malvagi è un’insidia sanguinaria (cf. Pv 12,6). Il sapiente deve guardarsi dalla maldicenza (cf. Sir 5,14) perché la lingua fa più vittime della spada (cf. Pv 12,18; Sir 28,17s.). L’orante dei salmi denuncia molto spesso il cattivo uso della parola da parte dei nemici che feriscono crudelmente il giusto perseguitato (cf. Sal 5,10; 10,7). Nel NT la lettera di Giacomo riprende questi stessi consigli sugli eccessi della parola (cf. Gc 3,2-12).



All’opposto dei peccatori e degli stolti, i sapienti devono saper regolare esattamente le loro parole. Una parola detta a proposito, una risposta opportuna, è un tesoro e una gioia (cf. Pv 15,23; 25,11), perché c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare (cf. Qo 3,7). Bisogna, quindi, misurare le parole (cf. Sir 1,24), usare, parlando, bilance e pesi, e mettere un chiavistello alla propria bocca (cf. Sir 28,25; Sal 39,2; 141,3). La parola umana è come un’acqua profonda, un torrente traboccante, una sorgente di vita (cf. Pv 18,4; Dt 32,1s.). Infatti, la bocca parla dell’abbondanza del cuore, per modo che l’uomo buono trae dal suo un tesoro (cf. Lc 6,45). Parlando sotto l’azione dello Spirito Santo, egli può edificare, esortare e consolare i suoi fratelli (cf. 1Cor 14,3), perché allora la sua parola di uomo esprime la parola di Dio.



4. Francesco e le parole oziose

San Francesco e i suoi biografi fanno spesso riferimento alle parole oziose che producono solo maldicenza e divisione nel cuore dei fratelli. Francesco prende di mira, nelle sue tante esortazioni, l’ozio. Il pericolo dell’ozio si rivelò nel momento in cui il numero dei frati aumentò e s’assunse uno stile sempre più clericale e monasticizzato. Francesco ha dimostrato una coerenza piena tra dottrina e missione, preghiera e azione evangelica, vincendo ogni forma d’indolenza. I frati mosca, pigri, accidiosi, interiormente e spiritualmente inattivi, non possono testimoniare la gioia del Vangelo, e si riconoscono per le parole inutili, vuote, tristi, e perché sempre pronti a mormorare e a sfruttare gli altri. Così, l’ozio è nemico dell’anima, cioè di tutta la persona nel suo essere e agire, esistere e pensare. Come si vince l’ozio? Per Francesco esistono due modi: la preghiera e la pratica delle opere buone. Egli prediligeva il lavoro manuale, quello semplice e artigianale, per mortificare il suo corpo e avere il cuore lieto nel Signore.


I frati oziosi, negletti, assenteisti e fannulloni, sono paragonati alle mosche e giudicati come quelli che si fanno guidare dallo spirito della carne e del mondo, nonché sempre pronti a presentarsi all’ora dei pasti. I frutti dell’ozio sono essenzialmente tre: l’accidia che non permette di compiere il bene, né di iniziarlo o di portarlo a termine; la tristezza che Francesco non voleva vedere sul volto dei frati; le parole oziose e inutili che allontanano dall’amore, insieme alla mormorazione e alla detrazione, che costituiscono un vero attentato alla vita fraterna e sono i mali più aborriti[1].



[1] Cf. Leggenda seconda di Tommaso da Celano CXXXVIII,182: FF 769; Ammonizione XXV,2-3: FF 175.

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