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Padre Fortunato: l'ultimo tratto di strada

Enzo Fortunato Ansa - CESARE ABBATE
Pubblicato il 06-04-2020

La Settimana Santa, una settimana di limiti, di dolore fisico, di morte

La Settimana Santa è la più importante dell'anno. Per i cristiani sparsi nel mondo, ricordare è celebrare l'ultimo tratto di strada che porta Gesù a Gerusalemme. Lo facciamo con un'immagine che ci ricorda la virtù della speranza: «Ce la faremo». Pronunciata da uno dei santi più noti al mondo, più amati da credenti e non credenti. È Francesco d'Assisi.

La Settimana la iniziamo con le due virtù del Vangelo di oggi: l'amicizia e la generosità.
L'amicizia potremmo definirla il coraggio di Dio. Gesù si "rifugiò" dai suoi amici più cari: Marta, Maria e Lazzaro. Gli amici rappresentano il balsamo della vita. Nei momenti difficili.
Infine, la virtù della generosità: anche se non abbiamo niente da poter donare il Vangelo di oggi ci offre la possibilità di comprendere che il dono pù importante è quello del proprio tempo per gli altri.

Una consapevolezza ci dona David Maria Turoldo: «La terra è una nave sulla quale siamo imbarcati tutti, magari c'è chi viaggia in prima classe, chi in seconda e chi nella stiva, e sarà opportuno fare in modo che tutti viaggino bene, ma non possiamo permettere che affondi, perché non ci sarà un'altra Arca di Noè che ci salverà». È il senso di una parola inventata dall'Assisiate. Fraternità. Vorrei che questa immagine ci portasse a ricordare e aprire una finestra su un parallelo. Da una parte Cristo, dall'altra c'è la nostra sofferenza e la sofferenza di tante persone. Vorrei sovrapporre le ore che cominciamo oggi e che continueranno per tutta la settimana: le ultime ore di Cristo con chi soffre in questi giorni. Anche lui ha paura.

Ha paura e persino orrore della morte, il cui volto gli si presenta davanti. Anche lui sperimenta l'isolamento dagli amici, i discepoli che rimangono lontani, come nel caso di tante persone malate e sole. La sua carne è ferita per le torture. Pensiamo come l'intubazione possa essere una tortura. Una tortura che prova la peggiore delle solitudini. Ma anche per coloro che sono credenti, cioè il silenzio del padre, di Dio: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» Chiediamoci cosa vuol dire la crocifissione, anche dal punto di vista fisico. Alla fine, anche Gesù, a causa della crocifissione, un fenomeno fisico, muore come molti malati di coronavirus, perché muore per asfissia. La sofferenza di ieri, la crocifissione, e la sofferenza di oggi, il coronavirus.

Il Dio cristiano non è come Giove, come Zeus, relegato nel suo mondo olimpico dorato, apatico nei confronti delle sofferenze umane. È invece un Dio patetico, che ha scelto di assumere la stessa nostra carta d'identità, fatta anche di gioia, sì, ma, soprattutto in questa Settimana Santa, di limiti, di dolore fisico, di morte. Una cosa è certa. Francesco ci dona la virtù della speranza. Cristo ci dona la parola della Resurrezione. Ce la faremo. Mano nella mano. Insieme.

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