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Nella casa voluta dal Papa per le ex suore finite per strada

Salvatore Cernuzio - lastampa.it Pixabay
Pubblicato il 30-01-2020

A Roma due strutture gestite dalle scalabriniane accolgono donne in condizioni di vulnerabilità

I muri di un palazzo giallo in stile liberty nel cuore dei Parioli, quartiere bene di Roma, tra ambasciate e istituti storici, celano storie di vita impregnate di sofferenza. Traumi, abusi, rifiuti, violenze. Sono le storie di donne migranti, molte con bambini anche piccolissimi al seguito, come si nota dalle tutine colorate stese fuori in giardino. E sono le storie di ex suore che, provenienti da Asia e Africa, hanno lasciato anche dopo 15 anni la vita ovattata del convento per una crisi o perché cacciate dalla congregazione, e si sono ritrovate in mezzo alla strada a vivere in condizioni di vulnerabilità estrema. Senza documenti, senza famiglia, senza soldi, tanto da accettare «compromessi» pur di mangiare e non finire a dormire in parchi e stazioni.

L’allarme del Vaticano: ex suore finite in mezzo alla strada

Drammi umani che rimangono nei chiaroscuri delle questioni spinose che la Chiesa quotidianamente affronta. Ogni tanto viene lanciato l’allarme: è accaduto giorni fa con la pubblicazione del numero di gennaio di “Donne Chiesa Mondo”, mensile femminile de L’Osservatore Romano, dalle cui colonne il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per la Vita Consacrata, ha acceso i riflettori sulle problematiche delle religiose: dal burnout alla questione delle “fuoriuscite”.

In particolare ha fatto il giro del mondo la rivelazione del porporato sulla decisione del Papa di «creare a Roma una casa per accogliere dalla strada alcune suore mandate via da noi o dalle superiori, in particolare nel caso che siano straniere». Nel clamore generale, mentre in Vaticano si manteneva il massimo riserbo per evitare la caccia al luogo (essendo coinvolti minori), Vatican Insider ha avuto il privilegio di osservare da vicino questa struttura voluta dal Pontefice che, in realtà, fa parte di un progetto più ampio dedicato a tutte le donne in condizioni di vulnerabilità.

La casa voluta dal Papa per donne vulnerabili gestita dalle scalabriniane

“Chaire Gynai” è il nome dell’iniziativa, espressione greca che significa “Benvenuta donna”. Francesco l’ha affidata alle scalabriniane, famiglia religiosa da sempre attenta ai temi sociali ed in particolare al dramma dei migranti. Nel maggio 2017, sono state inaugurate a Roma due case per realizzare questo progetto di seconda accoglienza seguito dal Dicastero per lo Sviluppo umano integrale.

Una casa si trova in via Pineta Sacchetti, l’altra nel quartiere Parioli. In entrambe, in mezzo a rifugiate uscite dagli Sprar e ragazze madri con bambini nati dopo una violenza, ci sono cinque ex suore che hanno abbandonato il cammino religioso. Inizialmente erano sette. La più giovane ha 32 anni, la più anziana 60; sono nigeriane, senegalesi, indiane, filippine. Tutte avevano preso i voti perpetui. Tra queste non vi è nessun caso di ex religiose finite per prostituirsi, ci spiegano, ma la maggior parte ha subito traumi pari per impatto psicologico ad uno stupro.

Le suore che abbandonano il cammino religioso: persone, non casi

«Intanto non chiamiamoli casi, sono persone», chiarisce suor Etra Modica, missionaria scalabriniana che collabora al coordinamento del progetto. Palermitana d’origine e d’anima ma dall’accento quasi nordico, arriva dritta al punto: «Il Papa ci ha chiesto carità verso ogni donna che soffre, incluse religiose che lasciano. Per noi sono migranti come le altre. Cade la categoria “ex suora” se non per l’accompagnamento personale nella ricostruzione del vissuto e nell’accettazione del fallimento».

La prima ad entrare nel 2017 è stata proprio una suora che, dopo una profonda crisi vocazionale, ha mollato tutto e si è trovata su un marciapiede. Ha bussato alla porta dell’istituto dei Parioli, dato in comodato d’uso dalle cabriniane. Dopo di lei sono arrivate tre immigrate: «Si è messa subito al servizio. È uscita ma continua a fare la volontaria». Come lei, collabora un’altra ex suora che ha completato il percorso che prevede la permanenza in casa da 6 mesi a un anno: «Limiti che non rispettiamo quasi mai, ci sono persone qui da quasi due anni. Non vanno via perché sono ancora molto fragili», spiega suor Etra.

Escono dai conventi ma non vogliono tornare nei Paesi d’origine

Delle cinque residenti, una ragazza, immatura all’epoca di prendere i voti, sta per entrare in un’altra congregazione. «Abbiamo tante soddisfazioni», afferma la scalabriniana. Non sempre però tutto fila liscio: alcune suore continuano a covare «rabbia interiore». «Sono burbere, aggressive, fanno fatica ad aprirsi perché parlare significherebbe essere strappate di nuovo a sé stesse. Quasi tutte non possono né vogliono tornare nei Paesi d’origine».

Perché? «Cosa farebbero andando lì? Per le africane ci sono questioni tribali, culturali, famiglie che le rifiuterebbero. Le indiane si portano dietro il discorso delle “classi”. Preferiscono rimanere e vivere di stenti, lavorare in nero». Talvolta si viene a conoscenza di situazioni limite in cui ex suore vengono impiegate come badanti e donne delle pulizie in canoniche dove capita che il prete chieda di condividere il letto o in abitazioni dove subiscono molestie. «Accettano qualsiasi cosa, questo le rende vulnerabili. Sono terrorizzate dal fatto che i parenti scoprano che sono uscite».

Un processo di rinascita e reinserimento in società

Il percorso procede, quindi, in tempi lenti: si parte da un colloquio e si prosegue con l’iter per la documentazione (trasformare i permessi religiosi in permessi di soggiorno), poi le terapie psicologiche offerte gratuitamente dai professionisti dell’associazione “Dune”. Assistite da volontari e scalabriniane, coordinate dalla direttrice suor Eleia Scariot, le donne vengono poi impegnate in corsi di professionalizzazione e faccende domestiche. Attività utili a recuperare la dimensione relazionale perduta al momento dello «spogliamento»: «Il lavoro più difficile è riconquistare la fiducia: uomo-donna, donna-donna, con la Chiesa. Puntiamo ad un servizio alla persona nella sua globalità», sottolinea suor Etra.

Il Papa e la Santa Sede vicini alle donne

A sovvenzionare le iniziative è il Papa, tramite l’Elemosineria apostolica, e la Congregazione per la Vita consacrata che non avrebbe più responsabilità sulle religiose uscite ma vuole comunque essere vicina. Le scalabriniane inviano puntualmente verbali al Dicastero che, a sua volta, segnala casi a rischio. «Abbiamo poi una rete tra Sant’Egidio e Centro Astalli e molte donne approdano qui col passaparola. Una suora, cioè, arriva e dice: ho un’amica che soffre, andrebbe seguita, vorrebbe lasciare».

Le cause delle crisi: dai problemi psichiatrici agli abusi di potere

Oltre alle crisi di vocazione, il velo viene tolto per conflitti comunitari, cattiva gestione della congregazione, abusi di potere frutto di una formazione troppo rigida (casi rilevati in particolare negli Stati Uniti). Le suore vengono invece mandate via se presentano problemi psichiatrici: «Abbiamo con noi una donna affetta da bipolarismo, sottovalutato al momento dell’ingresso in monastero». La maggior parte dei problemi arriva dall’Asia: «Tante vocazioni e, di conseguenza, tante problematiche».

Alcune superiori contrarie al progetto

Il lavoro di recupero non è facile ma «l’esperienza è bellissima», rimarca suor Etra. Ed è una «sfida». Alcune superiori non approvano infatti il progetto: «Non remano contro ma non mostrano piena accoglienza. Come scalabriniane, ad esempio, abbiamo lanciato l’iniziativa “Adotta una donna”: una congregazione mette a disposizione per un anno una cifra da investire in scuola, salute, affitti. Alcune aderiscono, altre rifiutano dicendo: escono da una parte e le prendete da un’altra?». Reazioni che vanno di pari passo a critiche e pregiudizi che le ex suore si trovano spesso ad affrontare: «Non avete voglia di lavorare, non avete mai fatto niente». Un ulteriore peso sul cuore di queste donne che faticano a ritrovare un posto nel mondo.

di Salvatore Cernuzio - da Vatican Insider, lastampa.it

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