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Migranti, soccorritori: giusto salvare vite

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Dove ti giri, ci sono solo acqua e cielo. Il turno di servizio dura quattro ore. Ogni due giorni ti alzi in piena notte e vai a lavorare. A mezzanotte, tutte le notti, c'è la pizza: per quelli che smontano dal turno. Questa gente vive così 340 giorni all'anno: lontano da tutto. Lontano da amici, mogli, figli e fidanzate. Lontano dai cinema, dall'aperitivo. Dalla politica.

"Perché faccio questo lavoro? Secondo te - sorride Giuseppe - c'è qualcosa di meglio di tornare a casa e poter raccontare ai propri figli di aver salvato la vita a qualcuno? Te lo dico io: non c'è. Non c'è niente che mi faccia sentire così realizzato".

Nave Dattilo della Guardia Costiera viaggia a sei nodi, 30 miglia a nord della Libia: percorre da est a ovest e viceversa un tratto di mare davanti a Sabratha, il porto da cui sono salpati le decine di barconi che la settimana scorsa hanno portato in Italia 13 mila disperati. Ora è di nuovo qui di fronte all'Africa, pronta a intercettare i prossimi. "Vado a letto felice, davvero. Quando arrivano su questa nave io glielo ripeto sempre: comunque vada a finire, da oggi avrete un futuro. Migliore di quello che avevate ieri", dice Antonino Bonsignore, Nino per tutto l'equipaggio. Lui è l'uomo degli scafisti, quello a cui spetta il compito di individuare quelli che conducono i barconi e raccogliere le prime testimonianze per inchiodarli. In tre anni, mille giorni - più o meno l'età di suo figlio - è stato a terra con più di 150. "Ho saltato una sola missione, per un problema in famiglia. Ma quando ero a casa pensavo ai colleghi, così mia moglie mi ha detto 'se avessi saputo che avresti sofferto così tanto non ti avrei chiesto di rimanere'. Ma lei conosce bene la mia passione, sa che questa è la mia vita: così mette da parte i vestiti che a Nicolò non vanno più. 'Tieni, portali a quei bambini', mi dice". Nino vive a Patti, davanti casa sua ci sono le Eolie. "I miei amici? Forse mi vedono un po' strano, loro vanno al cinema, io vado in mare. Queste sono persone che hanno bisogno, fanno quello che noi italiani abbiamo fatto tanto tempo fa, è nella natura dell'uomo partire per stare meglio".

Sulla Dattilo il quadrato ufficiali lo utilizza un cuoco che si sta per laureare in giurisprudenza. Il comandante, Alessio Morelli, un emiliano che fino al 1998 viveva in Val Padana e che se non fosse in mare avrebbe fatto il maestro elementare, mangia con i suoi uomini. "Sono una ciurma di pirati, ma sono i migliori. Quello che voglio da loro è che ci si senta un gruppo, altrimenti non si è una squadra ma un'accozzaglia di persone. E quando metti la tua vita nelle mani di qualcun altro, bisogna stare uniti. Bisogna sapersi sacrificare per il collega che ha bisogno di andare a casa al posto tuo, anche se tu non ci vai da mesi". I cinquanta a bordo della nave, da quando, a gennaio 2015 Morelli ha preso il comando, hanno salvato 17 mila persone. E arrestato 155 scafisti. "Le cose si fanno perché sono giuste, senza aspettare che arrivi un grazie. Le vite si salvano a prescindere". Dunque è soddisfatto? "Sì, anche se dal punto di vista personale è difficile trovare qualcuno che condivide la vita con te che non ci sei mai". E poi ci sono quelli che annegano davanti ai tuoi occhi. "Ricordi indelebili, rimangono nell'anima. Ma la vita è così. I bambini sono il mio punto debole, forse perché non ne ho. Quando fai soccorso non li vedi subito, poi spuntano fuori impauriti e tu guardi i loro occhi e pensi a tutti i bambini che vedi per le strade italiane. E capisci quanto sono stati fortunati".

Come i due figli di Giuseppe Villari, il primo maresciallo che pilota una delle imbarcazioni che agganciano i barconi. "Cosa dico ai miei figli? Che questa gente rischia tutto per una vita migliore, gli racconto che quando incrociano il mio sguardo li vedo tirare un sospiro di sollievo. Sanno che è arrivato qualcuno per salvarli. Loro sono fieri del mio lavoro. Mio figlio da grande dice che vuole fare il calciatore o il marinaio come me. Certo, dal punto di vista economico sarebbe sicuramente meglio il calciatore". Una volta Giuseppe ha salvato una bambina siriana, tale e quale a sua figlia di 12 anni. "Lo ammetto, non sono stato affatto imparziale, l'ho agevolata in tutto".

Benedetto ascolta, sorride anche lui. Benedetto Strigliano è in mare da 28 anni, ha tre figli, due maschi e una femmina. Il primo soccorso lo ha fatto nel 1993, a largo di Lampedusa. "Era un peschereccio proveniente da Sfax, in Tunisia. Erano fermi, li abbiamo presi a rimorchio e portati verso una nave tunisina che se li è ripresi. Se ricordo le loro facce? Certo, sono le stesse di oggi, non è cambiato nulla". Poi nel '96 c'è stato l'esodo dall'Albania, la Vlora, la nave con i 20 mila a bordo. Benedetto era in mare con la motovedetta, vide quella marea umana prima di tanti italiani. "Stavolta, dissi, sono tanti davvero". "Salvare vite è la nostra vita, quando lo fai stai bene con te stesso. Tutto qua. Poi ci sono le paure, perché salvare qualcuno significa mettere a rischio la propria vita. Ma lo fai e basta".

 Dunque non cambieresti? "Se uno nasce tondo non può diventare quadrato. Finché mi tengono le ossa navigo, c'è tempo per mettere i timbri". (Matteo GuidelliAnsa)

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