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Luigino Bruni: la colpa di essere povero nel mondo dei super ricchi

Redazione Ansa - CIRO FUSCO
Pubblicato il 22-01-2018

In tempi di capitalismo finanziario  la povertà è diventata una colpa. Per i cristiani, invece, è una sfortuna. Intervista al Professor Luigino Bruni



Pensando a Davos, quale messaggio manda l’1% dei più ricchi del mondo che si ritrova in una esclusiva località di montagna in Svizzera? E’ questa una novità della Storia?

Davos è un fenomeno in linea con il penultimo rapporto di Oxfam, che conferma una tendenza già denunciata da Thomas Piketty nel suo libro Il capitale nel XXI secolo. La disuguaglianza non è solo un problema di aumento delle disuguaglianze, questo si sapeva già. Ciò che negli ultimi 7 o 8 anni si è accentuato è una distanza tra l’1% e tutto il resto. Dunque cresce la distanza tra l’1% ricchissimo e il 99 restante. Ci sono diverse misure di disuguaglianza, l’indice di Gini è il più famoso, poi c’è quello delle mediane



Però la disuguaglianza mi dà una media della popolazione, mi dice le distanze tra le varie classi. E, in quanto tale, questo indicatore non è che sia particolarmente peggiorato negli ultimi 10 anni, un po’ lo è ma non così tanto.

Ciò che è veramente cambiato è la distanza tra l’1% più ricco e tutto il resto, perché il meccanismo finanziario di questa generazione arricchisce chi è già molto ricco. E, quindi, evidentemente si è inceppato il meccanismo industriale del XX secolo, cioè quello per cui l’imprenditore, arricchendosi lavorando, facendo lavorare la gente in fabbrica, distribuiva la sua ricchezza. Quando si arricchisce uno che ha edge fund, che ha titoli speculativi, la sua ricchezza finisce a lui e basta, non c’è un indotto.


E un indicatore ancora più grave è questa distanza tra l’1% più ricco e tutto il resto. Questo dovrebbe farci riflettere. Uno potrebbe dirsi: cosa sta accadendo nel nostro tempo? Perché è un problema che siano più ricchi i ricchissimi? Intanto ricordiamo che l’1% è un sacco di gente, quindi non bisogna tanto farsi influenzare dal fatto che i primi 10 al mondo abbiano una ricchezza pari a una certa cifra. Questa è una cosa di tipo un po’spettacolare.



L’1% della popolazione è costituita da migliaia di persone, che ormai sono una specie di club privato di gente che vive in un mondo parallelo, che ha elicotteri, quartieri privati recintati, guardie. È gente che nessuno vede più, sono degli invisibili. Che però, avendo tanti soldi, ti condizionano poi le campagne elettorali, l’elezione di Trump e dei populismi del mondo. Mentre una volta i ricchi erano ben visibili nei castelli e si potevano criticare ed attaccare, oggi nessuno sa dove stanno i ricchi. C’è un problema di giustizia sociale e uno di pace.


Quindi anche i poveri in questo caso aumentano sempre di più?

Dipende da che cosa intendiamo per poveri, questo dato non dice qualcosa sui poveri, anche perché la misurazione statistica della povertà è ancora molto inesatta. Si identifica la povertà assoluta con uno o due dollari al giorno, sono misurazioni molto grezze. Chiunque ha conosciuto i poveri veri sa molto bene che la povertà ha a che fare con i rapporti umani e abbastanza poco coi soldi.



Non bisogna guardare il singolo, ma la famiglia e la comunità. Un dato, comunque, emerge chiaro: la fame nel mondo negli ultimi anni ha ripreso ad aumentare, mentre sembrava fosse qualcosa che ogni anno tendeva a diminuire. Ci sono delle forme nuove di povertà climatica, desertificazioni, siccità che stanno diventando cose molto serie. Però evidentemente il problema è più generale: e cioè che una cultura capitalistica come la nostra non si preoccupa delle diseguaglianze e, di conseguenza, non si preoccupa neanche dei poveri.



Perché prende per buono il gioco naturale delle forze: chi è più bravo e più sveglio si arricchisce e gli altri rimangono lungo la strada. Parallelamente a questa disuguaglianza che cresce c’è un altro discorso: in questo capitalismo finanziario sta cambiando l’idea di povertà, la povertà sta diventando sempre più una colpa. Questa idea antica del povero colpevole, contro la quale Giobbe ha combattuto, hanno combattuto i Vangeli e i profeti, si sta affermando sempre più. Fino a qualche anno fa l’umanesimo cattolico aveva identificato il povero con lo sventurato che è nato nella famiglia sbagliata, che ha vissuto i rapporti sbagliati e in quanto tale è aiutato dallo Stato, dall’assistenza del welfare;  se invece passa l’idea, tipicamente nordamericana, che attraverso quest’ondata di cultura economica capitalistica, che sta arrivando e anzi è già arrivata in Italia, che il povero sia colpevole, allora non si fa più nulla per aiutarlo, perché la sua povertà è colpa sua.

Bisogna stare molto attenti a questa idea che il povero è pigro, è islamico, immigrato, terrorista.  L’aumento della diseguaglianza e il povero come colpa sono due facce della stessa medaglia, crescono assieme.



Quindi quale futuro intravede per i nostri figli?

Dobbiamo immaginare che questa tendenza crescerà: stiamo andando verso un mondo sempre più polarizzato. Nelle stesse città convivranno persone estremamente povere con persone estremamente ricche, molto più che in passato. Con la differenza che saranno povertà molto grandi e ricchezze molto grandi che non si vedranno più.

Nel Novecento i ricchi si vedevano e si vedevano anche i poveri per le strade, li identificavamo per i vestiti e gli atteggiamenti. Oggi si vedono alcune povertà e alcune ricchezze, ma non le grandi. Non si vedono le povertà che stanno dentro casa, nelle sale giochi, nelle solitudini, nelle emarginazioni.



Diceva l’altro giorno un mio amico che la Germania è piena di persone non vedenti. Non è così, in Germania i ciechi possono uscire di casa; qui invece si vergognano ed è pieno di barriere architettoniche.

La povertà grande di un Paese è quella di non fare uscire più i poveri di casa. Io credo che questa cultura della povertà come colpa renderà invisibili i poveri. Ci aspetta un mondo in cui i veri ricchi e i veri poveri non si vedranno più. E se dovesse accadere ciò, sarebbe una grandissima forma di povertà.  

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