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La terza via per salvare il giornalismo digitale

AVVENIRE Pixabay
Pubblicato il 31-01-2020

Non dimenticare il cartaceo, ma per sopravvivere occorre puntare sul digitale

Nella crisi che da tempo investe l’informazione e il suo rapporto col digitale ci sono due certezze. La prima è che il settore è in crisi in tutto il mondo. La seconda è che (quasi) ogni professionista del settore ha una sua ricetta in merito. Alcuni la desumono dalla propria esperienza. Altri si basano ciecamente sui numeri, visto che nel digitale tutto è tracciato. Altri ancora citano la ricetta di Le Monde: «più giornalisti e meno notizie uguale più lettori» (perché per fare giornalismo di qualità occorrono professionisti e tempo); oppure citano quella di Mark Thompson, guida del New York Times: non dimenticare il giornale cartaceo sapendo però che per sopravvivere occorre puntare sul digitale e che bisogna vendere in qualunque modo giornalismo di qualità, fatto con ogni mezzo (carta, web, video, podcast, incontri, conferenze). 

Con 1.750 giornalisti (trecento in più di qualche anno fa) e 5 milioni di abbonati solo all’edizione digitale, visto dall’Italia il New York Times sembra un mondo a sé. Un’isola felice. C’è un punto però nella strategia di Thompson che può esser applicato a qualunque media italiano. Anche ai più piccoli. Per migliorare occorre avere il coraggio di farsi le domande più scomode sul proprio ruolo oggi. Facile da dire. Molto più difficile da fare. 

Per esempio, che cosa rispondereste se a ogni articolo che state per scrivere per il vostro blog, il vostro sito, il vostro bollettino, il vostro settimanale eccetera vi chiedessero: perché una persona dovrebbe spendere del tempo per leggerti? E per guardare il tuo video? E per ascoltare il tuo programma radio o il tuo podcast? Intendiamoci, nessuno sa esattamente come salvare l’editoria al tempo del digitale (io per primo). Ma alcune cose sono ormai molto chiare... (Gigio Rancilio, Avvenire - L'articolo completo è sul quotidiano di oggi in edicola)

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