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L'odio a casa nostra

Raffaella Calandra Ansa - KOEN VAN WEEL
Pubblicato il 28-08-2020

L’onda delle discriminazioni nei confronti del diverso non risparmia l’Italia

Succede agli sportelli delle banche. Si ripete nelle contrattazioni immobiliari. Si amplifica sui campi di calcio. Qualche volta, è violento in modo fisico; nella maggioranza dei casi, ferisce con le parole. È stato favorito da vuoti normativi e accresciuto da pregiudizi. C’è un fiume carsico di razzismo, che scorre anche in Italia.

Discriminazioni che si consumano quasi sempre in silenzio. Ma che negli ultimi anni riescono ad arrivare in superficie, anche se le «cifre delle denunce ancora non riescono a fotografare l’effettiva situazione », concordano Vittorio Rizzi, vicecapo della Polizia e presidente dell’Oscad (Osservatorio interforze per la sicurezza contro le discriminazioni) e Triantafillos Loukarelis, numero uno dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali).

Perché alla fine anche in Italia valgono le parole di Martin Luther King: «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli». Lo hanno verificato ancora una volta gli Stati Uniti, attraversati, dopo la morte dell’afroamericano George Floyd, da fiamme, proteste, indignazione, assalti a simboli e statue. L’onda internazionale che da lì si è propagata fa leggere ora in una prospettiva diversa la pioggia di segnalazioni per discriminazioni inviate all’Unar (3.394 quelle pertinenti nel 2019) e il balzo in avanti dei reati registrati dall’Oscad. Aggressioni fisiche, minacce, vandalismi, perfino un omicidio nel 2018. Quattro anni fa, i numeri dell’odio che diventa reato registrano un’impennata: tra 2016 e 2017, quasi raddoppiano le violenze di matrice discriminatoria (da 109 a 201, poi 205 e 191 l’anno scorso) e circa la metà hanno l’aggravante di razzismo e xenofobia (28 aggressioni nel 2016, 119 nel 2017; 88 nel 2018, 93 almeno l’anno scorso).

Numeri duri, come pietre. «Ma vanno spiegati», premette Rizzi, che è anche direttore della Criminalpol oltre che presidente Oscad. «È vero, i fenomeni del sovranismo e della destra radicale preoccupano. Negli Usa, i suprematisti sono un’emergenza come il terrorismo. Tuttavia, questi numeri sono figli non solo di questa stagione politica, quanto di una maggiore capacità di individuarli e di una maggiore facilità nel commetterli attraverso il Web». Come per il Coronavirus, insomma, più si impara a cercarlo, più si trova.

Così, l’incremento dei reati contro il diverso per etnia, razza, religione, nazionalità è dovuto anche al percorso di formazione per le forze dell’ordine: «Siamo sempre più in grado di intercettare casi di discriminazione e di non minimizzare», ammette il prefetto. «Poi c’è tutta l’attività per far incrementare le denunce». Come ogni percorso culturale, anche questo richiede tempo. «L’Oscad ha avviato una collaborazione con la comunità musulmana, come già avvenuto con quella ebraica, per far superare paure e diffidenze». Il capitolo immigrazione e l’ombra del terrorismo, però, rendono tutto più complesso. Quello che è stato avviato in dieci anni dalla nascita dell’Oscad («voluta dall’allora capo della Polizia Antonio Manganelli, un’intuizione non scontata in un momento in cui questi temi venivano solo sussurrati», si inorgoglisce Rizzi) è riuscire a ridurre il più possibile l’under reporting e l’under recording: la carenza di denunce e l’incapacità di riconoscere le discriminazioni, che rendono i dati sui reati d’odio una fotografia non del tutto fedele.

Ci sono poi i limiti delle norme, per cui vengono riconosciuti i reati commessi per discriminazioni per razza, etnia, nazionalità e religione, ma non quelli per orientamento sessuale e identità di genere, anche se ha iniziato il suo iter parlamentare una proposta di legge specifica. Quella contro le discriminazioni è una battaglia che si combatte nella quotidianità. Quanto successo a Minneapolis, con il soffocamento di George Floyd da parte di un agente, ha imposto negli Usa interrogativi sui pregiudizi delle forze di polizia. E in Italia? «La sfida contro le discriminazioni si combatte come sistema Paese», analizza Rizzi. «Questi dieci anni, però, sono stati puntellati di moltissime iniziative da parte della Polizia di Stato, e anche fatti recenti indicano la direzione».

Il riferimento è a quanto successo in un centro di accoglienza di Agrigento, dove un agente ha incitato i migranti a prendersi a schiaffi a vicenda. Il fatto è stato ripreso in un video, segnalato poi all’Unar. «La reazione del capo della Polizia è stata l’applicazione del regolamento disciplinare, con la sospensione del poliziotto che sarà giudicato secondo le norme». Nessuna sottovalutazione, dunque, «per comportamenti intollerabili», scandisce il prefetto. Un segno, in un percorso in cui l’Oscad «vuole essere parte attiva anche a livello internazionale contro le discriminazioni. Abbiamo inviato a Europol, Interpol, all’Osce e a tutti i referenti internazionali il nostro opuscolo Quando l’odio diventa reato», racconta Rizzi.

Da noi, un caso Floyd sarebbe possibile? Le segnalazioni all’Unar registrano un incremento di discriminazioni attribuite alle forze dell’ordine (9 per cento).

«La storia della Polizia vede una lunga preparazione alla legalità, da dieci anni c’è l’Oscad, ci sono corsi di formazione per gestire la rabbia altrui nel modo corretto. A differenza dei colleghi americani, siamo agevolati dal contesto meno violento e meno multirazziale». Ma il punto cruciale – come sempre – sta «nell’educazione delle nuove generazioni». E vale per tutti. Per i tifosi, per gli impiegati, per i bancari. È soprattutto nel tempo libero, infatti, o sui mezzi di trasporto e ancor di più nell’erogazione di servizi finanziari che si registra la maggior parte di discriminazioni, secondo le statistiche dell’Unar.

«Case non affittate a stranieri, mutui non concessi, esclusioni dai concorsi», elenca Triantafillos Loukarelis, italo-greco, da un anno alla guida dell’Unar, che ha di persona sperimentato la discriminazione. «Prima che avessi la doppia cittadinanza, mi è stato negato un mutuo e la ragione era solo la diffidenza », racconta. E questo si ripete più spesso di quanto si pensi (nel 2019, 19 casi, +36 per cento le segnalazioni nell’ambito finanziario). Nella miriade di casi portati alla loro attenzione, la maggioranza è per motivi etnico-razziali (2.496 sul totale di 3.394 l’anno scorso, in calo del 13 per cento) e un sottocapitolo meritano quelle dirette a rom, sinti e camminanti (341). Ogni pratica è una diversa sfumatura di discriminazione.

C’è il caso della brasiliana insultata da un negoziante di Torino perché non si esprimeva bene; c’è la scelta dell’Azienda ospedaliera di Catania di richiedere la cittadinanza europea tra i requisiti per la selezione di personale sanitario; ci sono le restrizioni di Comuni, come quello de L’Aquila, per la distribuzione dei fondi per l’emergenza alimentare durante la pandemia; c’è la segnalazione di un’italiana per gli insulti ascoltati all’Ospedale Santa Trinità di Cagliari all’accettazione («Finalmente, li mandiamo tutti a casa dai loro affetti». «A loro bastano banane e sabbia»), parole per cui è stato avviato un procedimento disciplinare per un medico. E poi ci sono, sempre più spesso, segnalazioni di cittadini cinesi, offesi dopo la diffusione del Covid-19.

Ad aprile, un avvocato si è rivolto all’Unar per il trattamento riservato in un hotel romano a un gruppo proveniente da Shenzhen, ospitato in locali senza finestre «con cibo avariato», secondo la denuncia all’Unar, terminata con una e-mail di scuse. I momenti di crisi, come questi aperti dalla pandemia, rendono il rischio discriminazione maggiore: «L’incertezza aumenta la paura del diverso, sono cresciuti gli episodi di intolleranza verso gli asiatici», spiega Rizzi. «La storia ci insegna che dobbiamo aspettarci un’escalation di discriminazioni alla luce del disagio sociale», concorda Loukarelis. (Il Sole24ore)

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