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L'italiano di Dante nella Divina Commedia

Andrea Riccardi Pubblico Dominio
Pubblicato il 26-04-2021

Il Sommo Poeta è stato il primo umanista della storia italiana

Sono trascorsi 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, avvenuta a Ravenna nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321. Questo anniversario della morte del Sommo Poeta, celebrato da tante istituzioni, tra cui la Società che ne porta il nome, sottolinea non solo il suo genio letterario, ma anche il valore e la forza della lingua che –grazie all’Autore della Commedia- ha forgiato, tenuto viva, approfondito l’identità italiana secoli prima della sovranità e dell’indipendenza del nostro Paese. Infatti, grazie alla lingua di Dante, l’Italia si è riconosciuta in un’unica lingua, mentre avrebbe potuto esserci una “balcanizzazione” linguistica a partire dai vari idiomi locali. 

Le storie nazionali non sono tutte uguali. Quella italiana ci consegna una testimonianza del valore e della forza della nostra lingua, vera forza motrice dell’identità italiana. Per secoli, si è stati italiani non perché appartenenti ad uno Stato nazionale, ma perché si parlava l’italiano e si faceva riferimento alle grandi opere letterarie in questa lingua, tra cui la Divina Commedia.  Questa fu scritta da Dante nella sua lingua materna, la lingua della vita e delle donne, non nel latino dei testi “alti”, accademici o ufficiali. È una lingua, quella di Dante, “incredibilmente vicina” a quella parlata oggi, nonostante ovviamente le differenze frutto dei tanti secoli trascorsi. Non si può negare che Dante abbia contribuito in modo determinante alla formazione e configurazione della nostra lingua nazionale. Ha affermato il grande studioso Tullio De Mauro: «Quando Dante comincia a scrivere la Commedia il vocabolario fondamentale è già costituito al 60%. La Commedia lo fa proprio, lo integra e col suo sigillo lo trasmette nei secoli fino a noi. Alla fine del Trecento il vocabolario fondamentale italiano è configurato e completo al 90%».

Questa funzione “nazionale” dell’opera di Dante è oggi molto chiara. Come presidente della Società Dante Alighieri, dedicata alla diffusione della lingua e della cultura italiane nel mondo, sento il valore di questo anniversario, per accrescere la coscienza nazionale dell’importanza dello studio dell’italiano nel mondo. Non è un fatto secondario, perché esiste un “mondo italiano”, fatto di emigrati italiani, di loro discendenti, di simpatizzanti per la lingua, la cultura, il prodotto del nostro paese. Questo “mondo italiano” non coincide con la penisola, ma è ben più largo.  In un’Italia appena nata come Stato unitario, nel 1889, Giosuè Carducci e un gruppo di fondatori diedero l’avvio alla Società Dante Alighieri per difendere il carattere italiano e la lingua, in un tempo di grandi migrazioni dall’Italia soprattutto presso coloro che erano espatriati: “[che] corrono maggior rischio di perdere, con la cognizione e l’uso della lingua italiana, la coscienza della patria”

Oggi, dopo più di un secolo, la Dante è cambiata, restando innestata sul tronco antico: è cambiato il mondo e si sono aperte nuove opportunità. La lingua italiana, infatti, è oggi –si dice- la quarta lingua più studiata al mondo, anche se è solo la ventunesima per numero di locutori. Comunque sia, esercita una forte attrazione sui non italiani per la sua cultura, l’arte, la musica, il canto, la moda, il made in Italy e via dicendo.… . 

Ha scritto tempo fa Alberto Asor Rosa che Dante è stato il primo umanista della storia italiana, mentre la sua Divina Commedia si carica di “utopia”: “Dante, cioè, compie il vero e proprio miracolo di risanare le fratture umane, -quelle da cui oggi siamo così universalmente e profondamente colpiti-, senza ignorarle (tutt’altro) mettendoci di fronte agli occhi un colossale processo di ricomposizione unitaria del mondo: dagli abissi più temibili e terribili, e inevitabili, alle supreme, difficilmente attingibili, ma sempre possibili, sublimità. Non lo fa per forza ragionativa ma poetica.” La ricomposizione del mondo rappresenta una grande sfida, per questo universo globale, che ha rivoluzionato comunicazioni, economia, politica, ma anche la vita e i rapporti interpersonali. Il mondo globale avvicina, ma non unisce. Anzi, in reazione a una globalizzazione invasiva, tante identità sono risorte, ponendosi l’una in conflitto con l’altra: fondamentalismi politici, religiosi, nazionali… Spesso manca il dialogo. Sono convinto che la lingua abbia un grande valore: lega e crea relazioni, trasmette valori e umanità.  Nella Lettera Apostolica “Candor Lucis aeternae” per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, papa Francesco non solo ribadisce l’attualità di Dante come poeta e cristiano, ma sottolinea un altro aspetto: il valore universale del messaggio di umanesimo che scaturisce dalla sua poesia. Non si può non consentire con questa affermazione: conoscere e parlare l’italiano mette a contatto con un umanesimo di cui il mondo contemporaneo ha bisogno.

 

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