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Intervista a Lucia Bosè, un vita dipinta di blu tra angeli e artisti. Grazie all'esempio di San Francesco sono felice

Domenico Marcella elespanol.com
Pubblicato il 31-01-2018

Ho sofferto la fame, ho toccato con mano la miseria. Il dolore più grande della mia vita è stato quando ho perso mia nipote Bimba

Ha ipnotici capelli blu, la voce un po’ graffiata da qualche sigaretta, e un’esplicita cadenza madrilena. Lucia Bosè, l’italiana più famosa di Spagna, ama in maniera folle gli angeli scolpiti dagli allievi di Gian Lorenzo Bernini che ornano il ponte capitolino di Castel Sant’Angelo. «È come se si muovessero, ci faccia caso». E un po’ è vero. Fiera ed eterea, aristocratica, ma di umili origini, la grande attrice del cinema italiano a ottantasette anni appena compiuti si racconta con la semplicità comune soltanto ai grandi che hanno animato il Novecento. «Dobbiamo partire proprio dall’inizio? Non vorrei che i ricordi si fossero un po’ offuscati. Spero almeno mi dia una mano a riportarli a galla».



Non credo ce ne sia bisogno, ma ci provo volentieri. Cominciamo dalla bellissima commessa della pasticceria Galli di Milano, che nel 1947 incantò Luchino Visconti?

Questo me lo ricordo, e anche molto bene! Luchino Visconti entrò da Galli per acquistare una confezione di marron glacé. Mi guardò attentamente e disse: «Lei farà del cinema, ha un viso molto interessate». Era accompagnato da Giorgio de Lullo che aggiunse: «Ha idea di chi sia quest’uomo, signorina?».



E lei non lo sapeva, giusto?

Certo che no! Ero una ragazza di sedici anni. Non avevo mai sentito parlare di Visconti. Anzi, le confesso che ho pensato fosse addirittura uno squilibrato. 



E poi cosa avvenne?

Cinque mesi più tardi vinsi il titolo di Miss Italia, e Dino Risi mi scelse per un cortometraggio sulle Cinque giornate di Milano.

E Visconti uscì di scena?

No. Visconti nel frattempo da Milano andò a Roma e consigliò a Giuseppe De Santis di provinarmi per il ruolo di Lucia nel film Non c’è pace tra gli ulivi del 1950, visto che Silvana Mangano dovette rinunciare alla parte perché era incinta. Arrivai a Roma, confusa e perplessa, accompagnata da mia madre. Ricordo una fila interminabile di aspiranti attrici in lizza, ma alla fine, con mio estremo stupore, fu io a spuntarla.



Si rese conto che la sua vita stava cambiando?

No. Per niente. Non capivo nulla. Non sapevo niente. Non avrei mai pensato di fare del cinema. Ma il desino mi ha tirato questo meraviglioso scherzetto.



Com’era quel mondo del cinema?

Comincio col dirle che io non sono mai stata molestata. Mi hanno sempre rispettata. Detto ciò, il mondo del cinema ha subìto un drastico stravolgimento. È sempre più simile a un’industria. Il regista, per esempio, a breve non dirigerà più gli attori, ma sarà sempre più altrove, in balìa di mille monitor a pensare già al prodotto finito.



Lei ha avuto il privilegio di lavorare con i più grandi, con gli irripetibili che hanno contribuito a scrivere la storia della cinematografia mondiale.

Erano dei geni, avevano talento e cuore, e interagivano costantemente con gli attori creando un rassicurante rapporto umano.



Ha rimpianti?

No, perché ho messo al primo posto sempre la famiglia, prima ancora del lavoro. Mi sono salvata con questa scelta. Non ho rimpianti perché ho avuto tutto quel che ho sognato. Però mi sarebbe piaciuto fare teatro con Luchino Visconti, ma la tbc mi aveva procurato qualche fastidio a un polmone. I medici me lo proibirono perché non potevo affaticarmi più di tanto.



Com’era Visconti?

Luchino era un uomo straordinario, un vero signore. Non si può dire niente di brutto su di lui. Ha insegnato qualcosa a chiunque abbia avuto il privilegio di avvicinarlo.



A un certo punto, nella sua vita professionale piombò Michelangelo Antonioni.

Ero a pranzo a casa di Luchino Visconti. Si presentò Antonioni alla disperata ricerca di un’attrice per il suo Cronaca di un amore. Luchino gli suggerì di prendere me. Michelangelo era scettico, mi considerava giovane e acerba per il ruolo di una trentacinquenne elegante e borghese, ma decise di farmi un provino che superai alla grande. Su quel set, per la prima volta, mi sentii bellissima; indossavo vestiti meravigliosi e cappelli strepitosi simili a quelli di Gala, la moglie di Salvador Dalì.



Cronaca di un amore è passato alla storia anche come Cronaca di uno schiaffone. 

È  vero, sì! Michelangelo sul set era molto severo, a tratti terribile. Ricordo che durante le riprese, nel bel mezzo di una giornata storta, Citto Maselli, che faceva l’aiuto regista, iniziò a dire sciocchezze per stemperare la tensione che si respirava. Dopo quaranta ciak, visibilmente stanca, sovrastata da un enorme cappello con veletta, mi scappò da ridere. Non lo avessi mai fatto, Michelangelo si avvicinò furioso e mi mollò uno schiaffo. La sala si svuotò, scapparono tutti. Il produttore temeva la mia fuga dal set. Io, invece, non ho fatto i capricci. Consapevole di non esser stata un'attrice, mi sono ricomposta e, senza far la sciocchina, ho chiesto di riprendere da dove avevamo bruscamente interrotto. La scena riuscì, finalmente.



Quando si parla con lei, non si può non menzionare Pablo Picasso.

Ah, Pablo. Un personaggio importantissimo nella mia vita. Tenne a battesimo mio figlio Miguel. È stato un grande amico. Non dimenticherò mai il suo Essere e le sue uscite insolite e bizzarre.


Ce ne racconta qualcuna? 


Certo. Quando andavo a cena da lui mi faceva mangiare sempre uova di rondine. Diceva che avevano 200 anni e che se li era fatti mandare dalla Cina perché erano una sorta di elisir di lunga-vita. E forse era vero, ho ottantasette anni e non ho ancora avuto un malanno. Pablo aveva un rapporto speciale con le rondini, era molto divertente. Amava anche cucinare. Preparava spesso la “minestra igienica”, fatta con cereali e frumento. A volte però era immangiabile, e mi permetteva di correggerla con del formaggio grattugiato.


Cosa vive del suo amico Picasso in lei?

Lo ascoltavo con ammirazione. Raccontava sempre cose interessanti, belle, poetiche, stimolanti. Ho fatto tesoro di una cosa che amava ripetere: «Se non sei creativo non sei nulla nella vita»- Ed è vero, la creatività è il carburante che ci spinge ad andare sempre più avanti.



A proposito di creatività. Picasso realizzò per lei dei piatti con degli angeli.

Le creature celesti sono la sua più grande ossessione.

Sono convinta che l’uomo non "discenda" dalla scimmia, ma dagli angeli. Credo da sempre nella presenza-amica degli angeli custodi perché sono il principio di tutto; ci proteggono, vivono al nostro fianco, ci osservano, e se chiediamo il loro aiuto intervengono subito. Essendo italiana, inoltre, non posso non ricordare la presenza degli angeli in molte opere del nostro patrimonio artistico, come il diciannovesimo affresco attribuito a Giotto delle Storie di San Francesco della Basilica superiore di Assisi.



A un certo punto della sua vita ha deciso di rinvigorire la figura dell’angelo, di renderla più contemporanea, dedicandogli un museo.

La folgorazione di aprire un museo dedicato a queste magnifiche creature mi venne proprio a Roma, sul Ponte di Castel Sant’Angelo. Quando vidi per la prima volta queste statue maestose e imponenti, decisi che un giorno avrei fatto qualcosa per loro. Ho realizzato il mio sogno qualche anno più tardi, acquistando una fabbrica abbandonata a Turégano (vicino Segovia, a nord di Madrid) che ho trasformato in museo. Le opere esposte sono state realizzate da molti pittori famosi. Trascorro molto tempo con quegli angeli. Rido con loro, piango con loro, canto per loro. Condivido con quelle creature d’arte contemporanea tutte le mie emozioni.



Ha conosciuto molti angeli nella sua vita?

Sì. Oltre a Luchino Visconti e a Pablo Picasso, anche Ernest Hemingway che ispirò molte sue storie alle leggendarie gesta nelle arene spagnole del torero.



Il torero è il suo ex marito Dominguin? Non è stato proprio un angelo.

Più diavoletto che angioletto. Non potrei neppure paragonarlo a Lucifero ché ci ha portato la luce. Tutti lo considerano un angelo cattivo, ma Lucifero in realtà ci ha insegnato riconoscere il bene dal male. Ho sposato Dominguin nel 1955, e dalla nostra unione sono nati tre figli. Sapevo della sua nomea di rubacuori-farfallone, ma speravo che cambiasse. Ciò non è mai avvenuto. Ho trascorso anche momenti felici, indubbiamente, ma ho sofferto molto, mi creda; e non perché non voleva che recitassi – al punto da farmi interrompere la carriera per fare la moglie e la madre – ma perché i tradimenti erano all’ordine del giorno. Ho sopportato fino a quando ho potuto, ma poi nel 1967, stanca delle troppe infedeltà, dopo dodici anni di matrimonio, ho detto basta, e ho deciso di divorziare. Non ho voluto risposarmi. Qualche anno più tardi mi sono legata a un’altra persona. Ecco, quello è stato vero amore.



Tutto passa dalla sofferenza?

Il dolore fortifica. Ci insegna a essere felici.



Lo scorso anno ha perso sua nipote Bimba, una modella molto famosa, a causa di un cancro al seno.

Quello è stato il dolore più grande della mia vita. Non avevo ancora affrontato l’argomento con la stampa, lo faccio oggi per la prima volta. È una sofferenza lancinante, una ferita ancora aperta per tutti noi. Mi consolo, però, quando penso a lei, felice e serena, in un altro luogo, finalmente lontana da tutto il dolore che le ha riservato l’esperienza terrena.



Il suo equilibrio da cos’altro ha origine?

La mia generazione ha fatto i conti con la guerra. Io ho sofferto la fame, ho toccato con mano la miseria, il freddo. Non potrei mai dimenticarmi di quel passato, di quando desideravo fortemente un pezzo di pane da mordere, ma il pane non c’era. Mio padre era un contadino che vendeva il latte nella Milano degli anni prima della guerra. Io andavo a scuola a piedi perché anche il tram era un lusso. Non posso farmi tentare dal materialismo sciocco che impera in questi ultimi anni.
 Francesco d’Assisi ha vissuto una vita serena e felice perché ha avuto il coraggio di spogliarsi di tutti i suoi beni materiali per abbracciare la natura la vicinanza al prossimo. Ecco, ho imparato anche grazie a lui a essere felice perché ci ha lasciato un grande insegnamento: se non rispettiamo il creato non saremo mai in grado di rispettare gli altri e soprattutto noi stessi.




Lei è un’attenta e iperbolica ragazza di ottantasette anni. Osserva mai i ragazzini in strada?

Mi piace molto questa definizione! Sì, mi succede spesso. Che gran confusione questo mondo! Vedo i ragazzini immersi totalmente nei loro telefoni e nei loro tablet, mentre il mondo scorre via. Dovremmo forse iniziare tutti a parlare loro del nutrimento da dare all’anima che abita i corpi. Un po’ come fanno Papa Francesco e il Dalai Lama. Due figure che ammiro tantissimo per la preziosa missione che svolgono.



Lei è credente?

Sono nata cristiana e vivo da cristiana. Ho conosciuto tanti personaggi illustri, ma avrei tanto voluto conoscere Gesù per bombardarlo di domande. Lui era un vero rivoluzionario. Non ci sarà mai più nessuno come lui, purtroppo.

Bene, signora Bosè, ha praticamente ricordato tutto con grande lucidità. 


Ma il merito è tutto suo, ma forse anche delle uova di rondine che mi ha fatto mangiare Pablo Picasso. Sono sicura che quell’insolita cura mi permetterà di arrivare a centocinque anni. Anche se non vorrei andare oltre. 


Perché? 


Ma perché tutto quel che vedo comincia a spaventarmi. Non ho mai avuto paura, ho affrontato sempre la vita a testa alta, ma oggi mi ritrovo con un po’ di malinconica in più a riflettere su questa società sempre più dominata dall’odio e dalla violenza tra simili. 




Sì, ma non può soccombere.

Certo che no. Sono italiana, capace di oltrepassare qualunque ostacolo e sopravvivere ai momenti duri. Continuerò a guardare al futuro in maniera creativa. Le svelo un segreto: ho ancora intatto lo spirito di quella ragazza ingenua, piena di sogni e illusioni che vendeva marron glacé a Milano nel 1947. Ma se dovessi andarmene prima dei centocinque anni, sarò felice perché andrò in un posto più bello di questo, che ha già accolto tutti i miei angeli.

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