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Intervista a Enzo Bianchi: coronavirus la nostra via crucis

Roberto Pacilio Ansa
Pubblicato il 09-04-2020

La morte degli abbandonati, nella quale anche Gesù si è trovato

Per questa “inedita” Settimana Santa abbiamo intervistato Enzo Bianchi fondatore della comunità monastica di Bose che ci ha raccontato come sarà la Pasqua ai tempi del coronavirus

Che Pasqua sarà?
Una Pasqua inedita per noi cristiani, che dovremo vivere il mistero pasquale ma senza la possibilità della liturgia all’interno della comunità cristiana. Una Pasqua che mai speravamo di vivere, che non ricordiamo nella storia recente sia stata vissuta e quindi una Pasqua nella quale dobbiamo più che mai rendere salda la nostra fede, esercitarci a seguire Gesù in quel suo cammino di morte, passione e resurrezione che è la nostra fede ma che è anche la nostra salvezza. Certamente una Pasqua faticosa, difficile ma anche un appello a noi cristiani a ravvivare la nostra fede e a verificare la qualità della nostra fede in Cristo.

A causa della quarantena, stiamo vivendo di fatto la passione di Cristo?
Di fatto sì, la viviamo tutti come fatica e sofferenza. Vediamo accanto a noi molti amici che si avviano verso questo tunnel spaventoso di una morte rubata, nella quale non hanno né il conforto dei cari, né dei sacramenti cristiani. Una morte molto difficile da accettare, molto difficile da vivere. La morte degli abbandonati, nella quale anche Gesù si è trovato, abbandonato da tutti i suoi e questo è un motivo per vedere in profondità anche il mistero scandaloso della passione e morte di Gesù, che ha voluto accettarla per essere vicino a noi in ogni situazione.

Coronavirus, la nostra via crucis
Quest’anno sì. La dovremo fare pensando a noi che subiamo restrizioni, ma soprattutto a quelli che sono su una via di malattia e morte e ai loro parenti.

Cosa pensa della benedizione solitaria di papa Francesco?
Molto importante, evocativa. Per i cattolici è stato un momento per sentire per quanto si può, in maniera virtuale, unità tra di loro e vedere il papa come un grande intercessore il quale si mette davanti a Dio e chiede al Signore di mandare davvero tutti i suoi doni, perché la chiesa e l’umanità possa vivere questo in una maniera in cui almeno la carità è accresciuta e non è offesa.

Il Papa ha parlato di eroi, ma chi sono?
Volti sconosciuti, quelli che vanno a lavorare e che per lavorare rischiano di prendere il virus. Quelli che curano i fratelli e sono eroi, soprattutto medici, sanitari, infermieri. Ma anche quei preti che pur di seguire qualcuno fino alla fine e non lasciarlo soli, cercano di essere vicini con la parola, i sacramenti, per quello che è possibile fare e non ci sia una morte solitaria e da disperati.

Ha paura della morte?
Nella mia vita per lunghi anni e decenni non ho mai avuto paura della morte. Ma nell’avvicinarsi dell’anzianità mi è venuta questa paura. La fede di cadere tra le braccia di Cristo resta abbastanza salda, ma l’evento della morte anche a me fa paura, come ha fatto d’altronde a Gesù, ce lo testimoniano senza vergogna i Vangeli. Gesù ha avuto questa paura, ha chiesto al padre di allontanare questo evento della morte violenta e in croce l’ha sofferta in maniera molto pesante. Io ho paura soprattutto di una morte in cui non ci siano i conforti religiosi e non ci siano quelli che io amo e che mi hanno amato attorno a tenermi la mano. Ho avuto la grande grazia di aver accompagnato sempre quelli che ho amato fino alla morte e di averli visti morire mentre tenevo loro la mano e dicevo loro “vai in pace”, quella è la morte che ho visto almeno quattro volte nella mia vita e vorrei che fosse anche la mia.

Un messaggio di speranza
Il mio messaggio di speranza è che purtroppo nella nostra precarietà e fragilità, noi uomini non dovremmo mai dimenticarlo, siamo soggetti a queste prove ed eventi. Ma che l’umanità poi ha sempre avuto la forza di rialzarsi e per noi cristiani c’è la speranza di una grazia di Cristo che può portarci anche a un rinnovamento. Coraggio tutti, per i vecchi e per i più giovani: il Signore è con noi, non ci abbandona, neanche nelle ore di angoscia ed è pronto sempre ad accompagnarci nelle vie della vita e della storia.

E’ giunto il momento di cambiare stili di vita?
Molti lo pensano, ci sono sociologi e teorici che dicono che nella catastrofe viene fuori il meglio dell’umanità. Questo per molti aspetti lo vediamo, che c’è di nuovo bisogno e voglia di comunità e solidarietà. È altrettanto vero però, questo lo testimonia sempre la storia, alcuni nel dolore e catastrofe si incattiviscono e finiscono su vie ancora più egoistiche e vite che non vogliono tenere conto degli altri. Alcuni certamente si risveglieranno verso una vita che ha più bisogno di maggior comunione e fraternità, altri in una vita ancora più di rancore, odio ed egoismo senza limiti.

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