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Il Sole24 Ore, Giorgino: Perché comunicare non significa essere connessi

Francesco Giorgino Freepik
Pubblicato il 24-01-2021

Il messaggio del Papa per la cinquantacinquesima giornata mondiale delle comunicazioni sociali affronta opportunità e insidie dell'ecosistema digitale

Un’istantanea dei giorni nostri con gli occhi rivolti al futuro. Il messaggio di Papa Francesco per la cinquantacinquesima giornata mondiale delle comunicazioni sociali affronta in poche righe opportunità e insidie dell'ecosistema digitale. In questo documento, nel quale si ricorda che San Paolo oggi avrebbe usato la posta elettronica e i social network, si argomenta intorno ad una questione cruciale: il valore della verità è recuperabile solo attraverso la partecipazione ai fatti della realtà che si intende rappresentare, solo attraverso il desiderio di testimonianza e l'incontro tra le persone. Il presupposto teorico-empirico dal quale ci si muove è sintetizzabile anzitutto con l'esigenza di uscire dalla comoda “presunzione del già saputo”.

Sovente infatti capita di assistere a manifestazioni di pigrizia intellettuale che incoraggiano il consolidamento della cultura del pre-giudizio (come tale limitata e limitante), inducendo i pubblici a muoversi solo al livello di superficie. Situazione quest'ultima resa ancor più evidente dall'equivoco (dai più coltivato) di reputare valida l'equazione “connessione uguale comunicazione” e dalla determinazione a considerare performanti tutte le soluzioni comunicative ispirate dalla logica della simmetria tra emittenti e riceventi, quasi si volesse disconoscere l'importanza delle mediazioni simbolico-culturali ad opera di organizzazioni e di soggetti professionalizzati.


Il tema della verità è cruciale a maggior ragione di fronte ad una realtà iper-complessa, che difficilmente potrà essere rappresentata e quindi percepita ricorrendo a chiavi interpretative semplificate. La questione delle fake news, alla quale il Papa fa riferimento indirettamente attraverso l'invito a “venire e vedere” per “imparare solo attraverso l'esperienza”, si affronta più correttamente se si annotano tre concetti chiave. Il primo. Sarebbe un errore concentrarsi solo sulla polarizzazione verità/falsità, poiché sono in circolazione molti messaggi verosimili, talvolta più dannosi di quelli non veri. Il secondo. Per affrontare seriamente questo tema non basta intervenire solo sui produttori dei contenuti, magari enfatizzando il divario tra media mainstream e new media, come se i primi siano sempre e comunque collocabili nella sfera dei buoni e i secondi sempre e comunque collocabili in quella dei cattivi. Occorre sviluppare attenzione selettiva nei confronti di quei fruitori che contribuiscono alla diffusione virale di messaggi falsi o verosimili in base alla tendenza, sempre più marcata ormai, a ricorrere al “pensiero veloce” che, come evidenzia Daniel Kahneman, si differenzia dal “pensiero lento” poiché a basso impegno cognitivo e frutto di atteggiamenti istintivi. Il terzo concetto chiave. Insieme alla distorsione volontaria, è utile prendere in esame anche quella involontaria, come per esempio la distorsione legata alle modalità di raccolta, selezione, gerarchizzazione e trattamento del materiale notiziabile. La seconda è molto più pericolosa della prima, poiché è generalizzata e difficilmente superabile a causa della crisi dell'editoria, a stampa e radio-televisiva.

I sintomi più evidenti della distorsione non intenzionale sono due: l'autoreferenzialità (specie del giornalismo) e la concorrenza omologante tra i media. L'invito “a vedere” la realtà che si intende raccontare coincide con l'invito rivolto agli operatori dell'informazione a sfuggire alla logica degli “arresti redazionali”, ma anche con quello indirizzato alla politica affinché rinunci alle parole vuote e insignificanti, all'economia affinché assuma una postura responsabile e alla sfera pubblica in modo che si attrezzi per ospitare messaggi positivi, sottraendosi così alla dittatura della “negatività delle conseguenze”, volendo usare un espressione di matrice sociologica. È un modo efficace e intelligente per affermare -qui la citazione dei primi incontri di Gesù sulle rive del fiume Giordano e del lago di Galilea- che la persuasione migliore è quella che si fonda sulle evidenze empiriche, sulla possibilità del coinvolgimento personale, sul falsificazionismo, avrebbe detto Karl Popper. Non è tanto un “dire per essere creduti”, quanto un “essere creduti dopo aver dimostrato ciò che si è detto”. Con impegno, passione e convincimento. Si ripropone nelle parole usate da Bergoglio il tema della necessità di ricercare un equilibrio (dinamico) tra la quantità delle informazioni e la qualità dell'informazione. Sembra un gioco linguistico, ma non lo è. Davanti all'overload informativo, trasformatosi durante l'emergenza pandemica in “infodemia”, non conta aumentare il flusso della comunicazione. Conta agire affinché verifica e capacità di discernimento diventino approcci diffusi. E naturali. Oggi più di ieri. Da Il Sole24 Ore del 24 gennaio 2021.

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