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I sacerdoti martiri della Resistenza

Antonio Tarallo
Pubblicato il 25-04-2020

Oggi, sabato 25 aprile, si celebra la liberazione dal nazifascismo

Ci sono volti, storie, episodi, biografie, frammenti di vite forse un po’ troppo spesso dimenticate dalla Storia. Il 25 aprile, data della Liberazione dell’Italia dal regime nazifascista, ancora reca con sé alcune “caverne oscure”: senza nulla togliere - ovviamente - all’importanza che ha avuto il Movimento di Liberazione nella lotta partigiana (con le sue bellissime testimonianze di martirio per la libertà della nostra Italia) esiste una storia che ancora sembra rimanere sepolta. E’ la storia - anzi la Storia, quella con la “s” maiuscola - di tanti sacerdoti che hanno trovato la morte durante il periodo della Resistenza.

Don Luigi Lenzini, parroco di Crocette (vicino Modena), fu prelevato con la forza dalla canonica. Portato in un campo, con la violenza, fu poi seviziato senza pietà: gli cavarono gli occhi, e dopo averlo strangolato, lo seppellirono in maniera indegna. Don Giuseppe Preci era un sacerdote di Montalto di Zocca, sempre nel Modenese. Nella notte del 24 maggio 1945, gli fu chiesto di andare a trovare un ammalato. Uscito sul sagrato, lo attese una scarica di mitra. Tutti episodi accaduti in quello che fu definito “il triangolo della morte”, o “triangolo rosso”: in quello spazio geografico tra l’Emilia e la Romagna, tra il settembre del 1943 e il 1949, avvennero circa 12.000 uccisioni a sfondo politico, attribuite - per la maggior parte - a gruppi autonomi di matrice comunista. La guerra porta con sè morte su morte, sempre. E, i colori della politica, si confondono, si fondono - come le onde si susseguono ad altre onde - nella marea della guerra. Furono 130 i martiri in abito talare.

Moltissimi furono, poi, i preti uccisi per aver nascosto o salvato ebrei. Don Aldo Mei, parroco di Fiano, vicino Lucca, fu arrestato e fucilato per aver dato rifugio a un giovane ebreo. Il suo testamento, in poche righe: “Muoio anzitutto per un motivo di carità, per aver protetto e nascosto un carissimo giovane. Raccomando a tutti la carità”.

Altri furono assassinati, perché cercarono di proteggere uomini e donne vittime della violenza nazifascista, come don Antonio Musumeci, parroco di Messina: aveva chiesto di risparmiare due anziani coniugi malmenati dai tedeschi. Don Gino Cruschelli era un sacerdote di Napoli, ucciso nel settembre 1943, per aver difeso alcuni giovani rastrellati dalle truppe naziste.

Don Pietro Pappagallo di Roma venne ucciso alle Fosse Ardeatine per aver dato rifugio a ebrei e ad altri perseguitati. Don Delfino Angelici fu ucciso perché aveva difeso alcune donne dalla violenza dei tedeschi. Fra tanti nomi - sarebbe impossibile elencarli tutti - spicca uno in particolare: don Pietro Morosini.

La sua storia sarà raccontata in uno dei film cult del regista Rossellini, “Roma città aperta”: Aldo Fabrizi interpreterà il famoso sacerdote trucidato nella campagna romana, dalle truppe del Reich. “Detenuto a Regina Coeli sotto i tedeschi, incontrai un mattino don Giuseppe Morosini: usciva da un interrogatorio delle SS, il volto tumefatto grondava sangue, come Cristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà: egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono.

Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede. Benedisse il plotone di esecuzione dicendo ad alta voce: “Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno”, come Cristo sul Golgota”. Questa fu la testimonianza di un partigiano della Resistenza che visse “da vicino” il martirio di don Pietro. Quel partigiano si chiamava Sandro Pertini.

Antonio Tarallo

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