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Gianfranco Ravasi ricorda Vincenzo Cerami: 'Il laico che cercava'

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Devo confessare che, sotto le volte del Pantheon lo scorso primo luglio, ho atteso che si compisse una sorta di piccolo prodigio. Sapevo che da qualche tempo Vincenzo Cerami era gravemente ammalato, ma speravo lo stesso di intravedere il suo volto tra coloro che in quel pomeriggio stavano partecipando a un evento suggestivo e significativo. Dovevo, infatti, consegnare ufficialmente le nomine dei nuovi membri della più antica Accademia pontificia, quella di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, riconosciuta da Paolo III nel 1542. Tra costoro Benedetto XVI aveva cooptato anche Cerami, noto al grande pubblico soprattutto per una delle sue tante fisionomie artistiche, quella di sceneggiatore cinematografico: aveva col regista Benigni approntato nel 1997 il copione de La vita è bella, affrontando la sfida di narrare visivamente in modo lieve un tema "indicibile" e pesante come quello dei lager nazisti.

Come è noto, lungo questa via artistica aveva incrociato altri registi importanti, a partire da Pier Paolo Pasolini nell'indimenticabile Uccel- Il "laico" Cerami entrò in questo orizzonte con una passione straordinaria, al punto tale che lo volli accanto a me nella Sala Stampa della Santa Sede a presentare il «Cortile di Francesco», l'incontro svolto ad Assisi il 5 e il 6 ottobre 2012 con il colloquio pubblico tra me e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel piazzale della Basilica di San Francesco, e con una fitta serie di "tende" tematiche ove intellettuali, politici, insegnanti, sindacalisti, manager si confrontavano su una serie di questioni etiche, sociali, culturali, spirituali. In quell'o ccasione egli aveva confessato di aver accostato il mondo della religione con timore ma anche con curiosità viva perché considerava il "Cortile" un «luogo in cui bisogna ascoltare e riflettere prima di parlare». Anzi egli era arrivato al punto di classificare quell'esperienza di dialogo come «l'unica cosa che si muove nel panorama culturale italiano piuttosto asfittico». Anche se non credente, si era affacciato con acutezza alla regione e alle ragioni della fede e lo aveva fatto in quell'incontro di Assisi. Infatti, egli era intervenuto con l'a rc h i t e t t o Massimiliano Fuksas e il regista Ermanno Olmi nello scenario impreslacci e uccellini. Ma l'arcobaleno della sua creatività era passato anche attraverso il romanzo, il racconto, la poesia, il teatro, la critica cinematografica. Anzi, proprio quest'ultimo suo impegno mi aveva messo in sospetto sul suo stato di salute (non avevo notizie indirette perché i nostri erano stati sempre e solo contatti personali): da molte settimane, infatti, non trovavo più la sua firma nelle recensioni filmiche sul supplemento letterario de «Il Sole 24 Ore».

Ovviamente ora il mio non vuole essere un profilo bio-bibliografico, ma un ricordo quasi intimo, sostenuto dai dialoghi, dagli incontri, dalle condivisioni ideali che abbiamo avuto. Sì, perché la mia conoscenza esplicita con Cerami, pur essendo recente, aveva acquistato subito i colori di una vera e propria amicizia. Certo, ricordo ancora la lontana ma forte emozione che provai da ancor giovane prete quando nel 1976 lessi il suo famoso Un borghese piccolo piccolo, un testo livido e tragico, illuminato dallo sforzo di sciogliere la disperazione e la violenza in un tentativo estremo di comprensione. Mai, però, avrei pensato che le nostre strade così diverse si sarebbero incrociate proprio nella città di Cerami, a Roma, quando, divenuto presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, pensai anche a lui, scrittore certamente "laico", per l'incontro degli artisti delle varie discipline e delle diverse ideologie con Benedetto XVI il 21 novembre 2009 nella Cappella Sistina. Fu da quell'esperienza che nacque tra noi un dialogo discreto, affidato spesso all'implicito e alla condivisione spontanea di argomenti, di giudizi, di attese. Il filo era tenuto vivo inizialmente proprio dal mio amore per la letteratura (avevo letto anche il suo Ragazzo di vetro, e poi La lepre e ancora Fattacci , così come i racconti de L'ipocrita). Cerami aveva, così, accettato di presentare il 18 febbraio 2012, nella festa del Beato Angelico presso la chiesa di Santa Maria sopra Minerva, il catalogo di un particolare omaggio che sessanta artisti diversi per genere e nazionalità avevano presentato a Benedetto XVI in occasione dei suoi sessant'anni di sacerdozio. In quell'occasione, di fronte a una folla che si accalcava in ogni angolo della Sala Santa Caterina, aveva letto un suo testo bellissimo ancora inedito, intrecciandolo con le altre testimonianze degli artisti di quel volume che recava un titolo emblematico: Lo splendore della verità, la bellezza della carità. Era una sorta di ballata modulata tematicamente e stilisticamente su Qohelet-Ecclesiaste, un autore biblico caro a entrambi.

Forse in quei versi egli esprimeva il succo delle sue interrogazioni, della sua essenzialità esistenziale, della sua fiera convinzione che «l'uomo è fatto anche di metafisica e che la speranza dà senso all'esistenza che altrimenti non sarebbe altro che apatico, passivo "passatemp o"», come mi aveva confidato un giorno. Ormai, però, era pronta un'altra tappa decisiva della nostra amicizia, ancora una volta fondata su un'iniziativa nata da una sollecitazione di Benedetto XVI, quella del Cortile dei gentili per l'incontro dialogico tra credenti e non credenti. sionante della Basilica Superiore di San Francesco davanti alle pareti affrescate da Giotto e con una folla assorta e in tensione di credenti e di atei (parola che però detestava). Proponendo ora quasi una memoria ultima e affettuosa di questo importante autore e operatore di cultura, uomo di pensiero e di passione, vorrei idealmente far risuonare nuovamente alcuni sprazzi della sua voce così come era risuonata in quel 6 ottobre 2012.

Sono parole che poi aveva anche cristallizzato in uno scritto destinato a diventare un articolo da pubblicare su «l'Unità». Penso che le frasi che affido adesso ai lettori de «L'Osservatore Romano » - giornale sul quale era intervenuto perché lo considerava aperto a coloro che sono «amanti del pensiero» serio e motivato, come mi aveva confidato - possano essere una sorta di suo testamento spirituale che da "laico" rivolge ai suoi compagni di viaggio ma anche ai credenti. Saranno anche il mio ideale saluto e l'espressione della mia gratitudine per la sua amicizia, non avendolo potuto raggiungere prima della sua morte. Tra l'altro, proprio lunedì scorso - non avendo stabilito un contatto con lui e con chi lo assisteva (avevo solo il numero "inerte" del suo cellulare) - avevo inviato al suo indirizzo romano il biglietto papale di nomina ad Accademico del Pantheon: lo potrà ora aprire e leggere nell'eterno e nell'infinito di Dio, con la stessa gioia che mi aveva manifestato quando gli avevo comunicato a febbraio questa nomina.

Ecco, allora, questo suo intenso e forte messaggio ultimo. «Non esistono uomini e donne che, prima o poi, non si interroghino sui grandi temi e sul significato del loro vivere. E a ogni domanda nasce un dubbio. Il dubbio è il sale della fede, ma anche la bussola del non credente. Il dubbio è il comune denominatore di tutti gli individui pensanti, atei e religiosi; è un enigma da risolvere, un segreto da svelare. L'artista, anche il più blasfemo, nutre in sé l'idea di un mondo alternativo, idealmente migliore. E rimane fatalmente incantato dall'infinito e sublime equilibrio dell'universo, dove anche le cellule, miracolosamente, meravigliosamente agiscono, si trasformano, lottano per dare continuità alla vita. Cos'altro fa se non tentare di mettere in scena, esplicitare tutto ciò che esiste e pure non si vede? Lo scrittore, al contrario del cronista, lavora con le presenze invisibili. L'uomo di fede non fa forse la stessa cosa? Egli non sarebbe tale se non evocasse la rivelazione certa, la sicurezza del giudizio. Ma Qohelet, l'Ecclesiaste, già prima della nascita di Cristo, ammonisce gli abitanti della Terra e spiega loro che Dio ha fatto in modo che "l'uomo non trovi nessuna traccia di lui". La fede non è data una volta per tutte, è quotidiano travaglio, come il racconto della realtà nascosta espresso dall'artista. In questi anni di depressione, crollato il mito totalizzante dell'edonismo merceologico, è necessario trovare in sé risorse spirituali che ristabiliscano le gerarchie dei valori».(Osservatore Romano)

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